domenica 9 dicembre 2012

Di cosa sono fatti i ricordi




La parola arriva dopo, prima c’è l’immagine, “l’unico documento reale, l’unica prova, l’unica verità” della storia e della strada in movimento. Dopo tanti scatti silenziosi, il fotografo Tano D’Amico, racconta e si racconta nel libro dal titolo sognante e nitido: “Di cosa sono fatti i ricordi” (editore Postcard). Le riflessioni partono da precisi fatti di un decennio, gli anni Settanta (di cui lo stesso D’Amico è fondamentale interprete oltre che emblema vivente) e su quelli si ritorna, per fare luce sui ricordi e restituire al movimento un obiettivo d’autore: rimanere nel tempo o, almeno, focalizzarlo.
Sul rapporto tra immagine e movimento Tano, non a caso, scrive: “non abbiamo un film che ci racconti, non abbiamo un romanzo, non abbiamo poeti. La mediocre produzione che abbiamo avuto è tutta di testa, a tesi, didascalica. Didascalica e noiosa insieme”. Tano riafferma la sua voce fuori da quel coro del riflusso che vuole lo “svecchiamento degli archivi”, dalle immagini trae i ricordi e le parole, perché un volto in una fotografia trabocca di giustizia e memoria.
Nel suo libro-mosaico, l’autore racconta l’episodio di “Franco di Primavalle” (Primavalle è un quartiere di Roma, forse si dice ancora “borgata”, ma a me che non sono di Roma non mi viene spontaneo). Soprattutto, Franco era uno di quelli che non voleva dimenticare e ricordava anche quando tutti volevano dimenticare. Nel movimento, il presente era passato, nessuno custodiva niente, tantomeno una macchina fotografica. Ecco perché è difficile raccontare e farsi raccontare gli anni Settanta e, cercando nei sempre più rari album di foto di un’intera generazione, manca un bel pezzo di vita che non si può più digitalizzare. Forse il migliore.




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