giovedì 30 agosto 2018

1978 - Nuntereggae più, il rosso e il nero di Rino Gaetano





A furia di sentirsi dire dall'amico del cuore: “Ahò, nun te reggo più”, Rino Gaetano tira fuori dal cilindro la canzone più esplosiva del 1978, tanto da volerla come titolo del suo quarto album. Maestro d'ironia, abile nel dissimulare i messaggi attraverso espressioni che ne confondono apparentemente il senso, dietro il gioco di parole con il “reggae”, genere musicale che spopola in quel momento, Rino Gaetano mette a segno il pezzo più dirompente e di denuncia della sua carriera. Parlare di questo album, significa soffermarsi su questo brano. Rino vuole portarlo a Sanremo, ma è costretto a cedere alle pressioni dei discografici che puntano su “Gianna”; vorrebbe cantarla nel programma “Discomare”, ma dietro le quinte televisive gli chiedono di sostituirla (Rino rifiuta l'ennesima imposizione e abbandona il programma). Troppi i nomi influenti di un’Italia dei compromessi, dei partiti, del petrolio, “ladri di Stato e stupratori”, delle tribune mediatiche, per non farci caso. Eppure, proprio sulle sue apparizioni tv bisognerebbe soffermarsi per valutare l'impatto di questo LP. Prima fra tutte la puntata di “Acquario”, in cui l'atmosfera di disagio creata dal conduttore Maurizio Costanzo viene ribaltata solo dalle due personalità invitate, il cantautore e l'ospite Susanna Agnelli, che smonta la tensione con garbo e semplice buon senso.

Timisoara Pinto
© Riproduzione riservata
pubblicato su "Vinile" Aprile 2018
Il tentativo, ogni volta, di spostare l'attenzione sulla leggerezza delle sue canzoncine-filastrocche e sul non-sense, non rende giustizia del valore artistico, sociale ed evocativo delle sue parole: “Vedo tanta gente / che non c’ha l’acqua corrente / e non c’ha niente / ma chi me sente / ma chi me sente?”. Tanti i temi legati al “mal d’Italia”: i privilegi, la corruzione e la speculazione edilizia in “Fabbricando case” (con il controcanto speciale di Francesco De Gregori); l’emigrazione, il dramma di chi è costretto a lasciare la propria terra, in “E cantava le canzoni”; l’emancipazione della donna e la comparsa della parola “sesso” in “Gianna”; la fine della rappresentanza politica e sindacale in “Capofortuna”. Era uno dei 33 giri più suonati da “Radio Aut” di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978.







giovedì 16 agosto 2018

Genova vista da Potenza

La prima volta che ho visto il ponte di Genova è stato su un libro di geografia alle elementari. Lo avevo scambiato per quello che attraversavo tutte le volte che partivo da Potenza, all’altezza di Balvano. Poi ho scoperto che, in confronto al Morandi "padre", quello era solo una miniatura.

Mi aveva colpito perché aveva i “piloni” al contrario, verso l’alto, e non sapevo che facessero parte, invece, di un calcolo ingegneristico preciso. Erano i “tiranti” e io mi immaginavo “tiranni”, in fondo altro non era per me che la stilizzazione di un vascello di pirati.

Guardandoli attraverso il finestrino e il lunotto posteriore, a quel ritmo regolare scandito dai giunti autostradali, mi provocavano le vertigini al contrario.

Il crollo mi ha sprofondato in un silenzio di assurdità e dolore. Mi ripetevo come un salmo “Genova per noi, Genova per noi”, perché mi vengono in mente le canzoni quando cerco la sintesi, la ragione o qualcosa cui aggrapparmi, e pur nella leggerezza del testo, vi ho trovato un fondo straziante.

Poi i miei spostamenti “da grande” mi hanno portato verso nord e la prima volta che ho visto e attraversato quel ponte ho pensato banalmente “prima o poi le ritrovi nella vita le foto delle elementari.”

Quel giorno ha compiuto 90 anni un gigante della cultura italiana, Lina Wertmuller. La notizia è passata in secondo piano per il lutto che ha stravolto il Paese. Eppure io ho pensato alla meravigliosa Lina che ha saputo costruire ponti tra le diverse arti e mostrare al mondo la tragedia della commedia umana.

viadotto Carpineto - raccordo autostradale Potenza-Sicignano


mercoledì 8 agosto 2018

Siamo uomini e caporali

Premessa: Tra il 2006 e il 2008 si svolge il tour “Avanti Pop” dei Tetes de Bois (un viaggio nell’Italia del lavoro che ho documentato nel librodvd “I Diari del camioncino). Un capitolo è dedicato alla schiavitù dei lavoratori stagionali, una realtà nota a tutti, ma tollerata o, a voler pensar bene, distrattamente sottovalutata…
A quel capitolo ho dato il titolo “Siamo uomini e caporali”, quasi in contemporanea con il romanzo di Alessandro Leogrande “Uomini e caporali”, uscito sempre nel 2008.

Facebook praticamente non esisteva, le band socializzavano con i fan su Myspace, ma io ho immaginato questo volumetto come una pagina aperta a tutti i contributi pieno di immagini e vignette (“I diari”, appunto), pubblicando i messaggi lasciati dal pubblico in ogni tappa. Una selezione di questi commenti, che è la cosa che mi sorprende di più, è alla fine del testo. Nel 2006 il caporalato non era ancora reato, la Camera ci stava lavorando, ma bisognerà attendere altri 10 anni per avere la legge 199/2016 (Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo).
Oggi, 8 agosto, nel giorno della marcia dei #berrettirossi a Foggia, voglio ricondividere quel viaggio a Borgo Libertà.




Gente, io ci sono stato 
nei campi di grano 
a mietere sotto lo sguardo vigile del sorvegliante, 
sotto il sole cocente
curvo dall’alba al tramonto
a non potermi dissetare…
no, qui non si può bere, non si può parlare, si deve solo lavorare… lavorare…
credetemi, io ci sono stato…”

Lu suprastante (Matteo Salvatore)

Passando per i campi di grano di Melfi, quando lasci l’autostrada a Candela e ti immergi in queste distese al confine con la Lucania, mi capita di ripensare a personaggi come Rocco Scotellaro o Matteo Salvatore. Oggi lu forastiero di Salvatore viene dall’Africa o dalla Romania, da qualche paese più sfigato del nostro, a caccia di una possibilità che lì non trova. Il lavoro. In quei campi, vicino Cerignola, due ragazzi senegalesi sono morti cercando acqua da bere. Nei campi non ce n’era, hanno trovato un invaso per gli animali, uno è scivolato nella melma, l’altro per aiutarlo è affogato con lui. Ecco, quando passo per quei campi e il grano si muove tutto insieme e c’è una luce particolare, mi rendo conto di quanto sia lunga l’ombra di questi poeti.

Il viaggio a Borgo Libertà ci ha svelato l’arcaicità del lavoro, nel rapporto tra chi lo fa e chi lo gestisce. Siamo stati in mezzo ai campi di pomodori dove lavoravano alcuni ragazzi africani che sembravano ripercorrere l’epopea degli schiavi raccoglitori di cotone. Un’epopea che dovrebbe restare tale, una vicenda lontana nel tempo, e invece oggi nelle nostre campagne punteggiate di antenne è possibile guadagnare pochi euro per lavorare dall’alba al tramonto, vivendo in case senza luce, né finestre. Ogni estate tantissimi ragazzi stranieri vivono lo sfruttamento più vergognoso nelle nostre campagne, eppure pochi telefoni squillano per denunciare questo scandalo. Dopo i pomodori, le castagne, i broccoletti, le olive e le arance. Migrano di regione in regione da anni, di alcuni di loro si perdono le tracce.

Negli stessi giorni in cui eravamo lì c’era anche Gatti, il giornalista che stava realizzando l’inchiesta poi uscita su L’Espresso e grazie alla quale si è cominciato a parlare di questa tragica vicenda di sfruttamento. Siamo andati a Borgo Libertà, un tempo “Torre Alemanna”, un piccolo centro circondato da chilometri di campagna aperta. La “borgata”, collegata alla strada provinciale Cerignola-Candela, riempie un vuoto preesistente che si estende per una lunghezza di oltre 30 chilometri e per una superficie a coltura estensiva di circa 15.000 ettari.


Fu il ministro dell’agricoltura, Amintore Fanfani, nel 1951 a proporre il nuovo beffardo nome di Borgo Libertà, perché – ironia della sorte – è proprio lì che ha inizio la tanto attesa Riforma Agraria. Un eccesso di ottimismo che doveva segnare una rottura col passato, dove l’animosità dei padroni aveva monopolizzato lavoro e coscienze nella pratica di vecchi sistemi feudali. Tutt’intorno la pianura distesa a perdita d’occhio, la cui monotonia è rotta solo dalle casette coloniche sparse nei campi, quel che rimane di quei ripostigli elargiti dalla Riforma degli anni ’50 agli assegnatari, oggi ridotti a dormitori fatiscenti per gli stagionali. E, grazie al passaparola, la sera di “Avanti Pop”, sono venuti al concerto anche un centinaio di ragazzi africani. Arrivano dai paesi del Maghreb e dell’Africa sub-sahariana come Sudan, Eritrea. Etiopia, Ghana, Camerun, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Guinea Bissau, Liberia, Mali, Mauritania, Nigeria, Senegal, Togo.
Una serata dedicata ai canti dell’aria, così venivano chiamati i canti intonati sulle aie, dove lavorava e riposava Lu furastiero.

Come arrivare a Borgo Libertà
da Cerignola prendere la strada per Candela e proseguire per 17,2 km;
da Foggia prendere la superstrada 655 fino a Candela, poi, dopo 36,7 km, girare a sinistra sulla Candela-Cerignola (direzione Cerignola) e proseguire per 16,5 km.

Tutto era pronto, anche le bandiere bianche di Medici senza Frontiere, ma a Borgo Libertà pioveva. L’unico giorno di pioggia dell’intera stagione. Il camioncino sembrava una clinica mobile, con la spina staccata e il service protetto da un telone. Così fino alle otto di sera. Mancava un’ora all’inizio dello spettacolo. Che fare? Dentro o fuori? Un parere del colonnello dell’aeronautica, l’esperienza del contadino, pari o dispari, un colpo al cerchio uno alla botte, il cuore tenero dei fonici. Lo spettacolo si farà dentro, salvo saltare sul carro-camioncino dei Tetes de Bois piazzato sotto un’americana di luci pronte a riaccendersi in caso di schiarita. La tappa diventa una staffetta con due palchi, gli artisti si esibiscono all’interno di un locale della Torre Alemanna e all’esterno sul palco-camion. Il pubblico si divide o cambia continuamente posizione, per vedere gli artisti da vicino o attraverso gli schermi che trasmettono fuori quello che sta accadendo al chiuso e viceversa. Come una tigre, Teresa De Sio canta e legge di Matteo Salvatore, Raiz racconta il suo sogno multietnico, Sergio Staino mette a nanna Bobo e disegna stagionali dotati di humor. C’è Ulderico Pesce con i racconti sulla terra e Stefano Pogelli con la ghironda a manovella che fa pensare alla solitudine degli ambulanti, al lamento dei mendicanti. Dice la sua in dialetto di Cerignola Michele Sacco, arzillo poeta-bracciante di 86 anni. Anche lui ha cominciato a scrivere poesie dopo aver letto Scotellaro.


Sono arrivati in tanti, in questa frazione sperduta. Grazie alla collaborazione dei responsabili di Medici senza Frontiere - Missione Italia, da anni impegnati sul territorio con progetti sull’immigrazione, alla ricerca di “storie di chi l’agricoltura la fa. Di nascosto”.
Avanti Pop Extra, questo il nome che assume la tappa dedicata ai non comunitari: il 72% dei lavoratori stranieri stagionali non ha un regolare permesso di soggiorno, secondo un calcolo effettuato dagli operatori di MSF, un immigrato stagionale deve sopravvivere con 240 euro mensili, considerando una media di 8 giorni lavorativi al mese con una paga giornaliera di 30 euro circa. Senza contributi, né assicurazione, né cassa malattia. La sua giornata inizia alle 4.30 del mattino quando si reca nelle piazze, agli incroci e in tutti i luoghi strategici del reclutamento, punto di incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro nero.
Dai tempi del “furastiero” di Matteo Salvatore nulla è cambiato. Vagano o stazionano nella speranza di essere i prescelti da caporali o proprietari terrieri.
«Chi non viene scelto torna a “casa” in attesa di un’altra “occasione”», scrive Riccardo, un operatore della Missione di Medici senza Frontiere che si batte perché vengano garantiti standard minimi di accoglienza e tutela a tutti gli immigrati impiegati in agricoltura a prescindere dal loro status giuridico. Ma il tempo passa e le cose in provincia di Foggia non cambiano e anche la scorsa estate, MSF è stata costretta a portare assistenza sanitaria attraverso un sistema di cliniche mobili, in attesa di ricevere la piena collaborazione dalle Asl locali.


Altri dati: il 69% non dispone di luce elettrica, il 62% vive in luoghi sprovvisti di servizi igienici e il 64% non ha accesso all’acqua corrente. Se fossero profughi di guerra avrebbero l’acqua a 150 metri al massimo. Lo dice il codice umanitario nei campi delle Nazioni unite.

Quello che sta di guardia, il caporale, uno che si vantava di fare bene il suo “commercio” (la fatica la fanno gli altri) sentite cosa ha detto: «non è vero che siamo razzisti, l’altr’anno gli abbiamo dato pure l’acqua!», suscitando indignazione a fine concerto. La regola del divide et impera va per la maggiore in situazioni di guerriglia psicologica e forme di controllo occulte dove abusi, minacce, maltrattamenti di ogni genere sono all’ordine del giorno e avvengono in un clima omertoso. Chi denuncia è spacciato: nella migliore delle ipotesi non riuscirà più a lavorare, mentre il caporalato in Italia non è ancora reato. Il disegno di legge attende l’approvazione della Camera.

Gli stagionali arrivano a gruppi, lasciano anche qualche messaggio nella cassetta delle lettere di Avanti Pop. Parlo con qualcuno di loro, l’idea è di coinvolgerli, magari sono qui per suonare, divertirsi come a una grande festa di paese. Qualche luce blu lampeggia, Avanti Pop è un evento all’aperto che coinvolge il Comune e i suoi uomini. Ne arriva qualcuno in divisa, ragioni di sicurezza, certo come a una sagra o a una processione. Niente di male. Ma i ragazzi africani si dileguano, dopo una foto ricordo, un messaggio (riportato qui sotto) e un sorriso gentile da lontano… Ogni rana al suo pantano, ogni rizz al suo paglizz (ogni rana al suo pantano, ogni riccio alla sua tana).


    I will ask god is blessing for italian government for taking good care of me refugees in this country and we thank him for giving is the opportunity to explain to him our problems.
    May the ministry god him and his government but there is one thing that we would like for us that is if we will get resident permit for us to get a good job so that we can also pay taxes.
    Thanks
AMojo Korankye


    My name is Steven Ramson and what I want to say is that we thanks italian government for what he done for us because he exepted us to stay here.
    We thanks him very much. But my problem is "documents", I don't have documents so the work is very hard for me. The place I sleep, the food I chop, all is things is very difficult for me. So I need help from Italian government about my documents.
    Thank you
    Steve Ramson
    Pescopagano
    Castelvolturno
    Caserta Italy


    Sensation....
    We thank you for your love and your fun and your concert for us.
    You know the salvation that we are in so palce try to help us to have documents so that we can work and have better place to sleep and care our selves.
Alex Frimpong

    This evening Steve is very painful because when you see the place where some people sleep is very very bad. Not only the way we sleep, the way we chop and our healty is very bad condition. So we need help because we don't have peace in our country does why we come here the some problems we meet here.
Steve

    Le storie di questi ragazzi devono essere una ricchezza per tutti. Anche L'Espresso ha dedicato un servizio a questa assurda vicenda. Com'è possibile che in Italia possano accadere ancora queste cose? Forse visto come va tutto il resto, è possibile. Ma non è detto che ci debba piacere. Informarsi è una primo modo per combattere.
Anonimo

Ho visto lacrime asciugarsi ancor prima di sgorgare. Lacrime cancellate e la sofferenza di chi, davanti ai corpi senza vita di parenti o amici, ha dovuto negare di conoscerli. Per non essere identificati come clandestini, per evitare l’espulsione. Per non perdere quel lavoro precario, malpagato e infimo… speranza di un’esistenza migliore.
Tonio di Bitonto



Tratto da "I diari del camioncino. Il viaggio dei Tetes de Bois nell'Italia del lavoro" a cura di Timisoara Pinto
(ilmanifesto, 2008)