giovedì 21 febbraio 2019

Fabrizio Gifuni nel Centenario della nascita di Primo Levi

Fabrizio Gifuni (Esther Favilla Photographer)

Il 31 luglio 1919 nasceva a Torino lo scrittore Primo Levi, le celebrazioni per il Centenario della nascita cominciano oggi nell’ex campo di concentramento di Fossoli, vicino Modena, con un reading di Fabrizio Gifuni, quali pagine ha scelto, Fabrizio?

"Abbiamo scelto, insieme naturalmente alla Fondazione internazionale Primo Levi che mi ha invitato ad aprire questo anno dedicato alle celebrazioni, il capitolo del viaggio, quello che apre “Se questo è un uomo”, in cui Primo Levi racconta il momento della sua cattura, la deportazione nel campo di internamento di Fossoli, i giorni precedenti all’annuncio della deportazione nel campo di Auschwitz, quindi leggeremo esattamente a 75 anni di distanza nello stesso luogo e ci sarà un cortocircuito di spazio e tempo abbastanza emozionante. Concluderemo con l’ultimo libro di Primo Levi “I sommersi e i salvati”, un libro straordinario, sicuramente di pari importanza, se non il più importante di Primo Levi".

Fabrizio Gifuni ha interpretato molti testi legati a personaggi simbolo del Novecento, da Cesare Pavese a Pasolini, Giovanni Falcone, Franco Basaglia. E’ la prima volta che si avvicina ai testi, alle parole di Levi?
No, mi era capitato l’anno scorso di leggere “La chiave a stella” e “Il sistema periodico”, all’interno dei quali c’è un Levi anche inaspettato, ironico, sferzante. Tra i personaggi che ricordavi e che ho avuto la fortuna di incontrare, c’è Franco Basaglia, molto legato a Primo Levi, perché la prima volta che fece il suo ingresso nell’ex manicomio di Gorizia nel 1961, ripescò nella sua mente le parole di "Se questo è un uomo”, che furono le prime che gli vennero in mente.
Il lavoro sulla memoria è molto complesso e delicato, non è soltanto legato al ricordo, ma a quello che la memoria deve innescare nel presente. Le parole di Levi che leggerò sono importanti soprattutto per oggi, per ricordarci e tenere alta la guardia su ogni tipo di muro, di discriminazione, di odio. Purtroppo sono giornate in cui siamo completamente circondati dalla vergogna e dall’ignominia".


Sono tanti gli episodi di antisemitismo in questi ultimi giorni, da Parigi a Lione. In Italia 25 casi dall’inizio dell’anno secondo l’Ossevatorio della Fondazione Centro di documentazione ebraica. Primo Levi diceva “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”, anche questo è il ruolo dell’attore. Lei, Gifuni, ha detto “Noi attori siamo in ascolto, viviamo il teatro come fatto politico, fatto per la polis”.

Sì, le parole di Levi sono di un’esattezza, di una precisione, provengono anche dalla sua consuetudine con la chimica: le parole e il linguaggio diventano sostanze da distillare. Tutte le nostre giornate si aprono con la lettura o assistendo a episodi ignobili, tutto questo ha riguardato e riguarda il concetto di straniero e di diversità nei campi di concentramento, ad Auschwitz, a Dachau, c’erano omosessuali, dissidenti e Levi lo scrive molto chiaramente. Parla di un’infezione latente, presente in ogni essere umano, di ritenere ogni straniero nemico a se stesso, questa infezione latente si manifesta spesso in episodi saltuari e non coordinati tra loro. Quando tutto questo diventa invece un sistema di pensiero, alla fine della catena di questo sillogismo c’è il lager, non si scappa da questo. Allora il lavoro di resistenza si fa in tanti modi, ma è soprattutto quello di contrastare i singoli atti fino al momento in cui restano atti non coordinati fra loro, atti ignobili, ma saltuari, quanto tutti questi gesti iniziano a unirsi in una catena, il pericolo diventa molto grande”.

Timisoara Pinto
per Radio1 in viva voce

Clip intervista


venerdì 8 febbraio 2019

Giornalismo sotto scorta – incontro con Sandro Ruotolo

“Quando si uccide il giornalista perché fa il giornalista perde la democrazia, non perde una categoria di lavoratori, perde la nostra democrazia”. Sandro Ruotolo

"Non c'è solo la minaccia fisica contro chi racconta i fatti a ogni costo. Quella più subdola è la minaccia economica da parte di un miliardario che fa causa anche se sa di aver torto: anzi, soprattutto. Si dicono "azioni temerarie". I soldi del giornalista sono pignorati in attesa del giudizio definitivo: intanto ti congelo la somma, poi aspettiamo di vedere chi ha ragione. Possono passare dieci, vent' anni". Concita De Gregorio

Il cuore del problema è sempre l’attacco alla libertà di stampa e il nostro diritto a essere informati.
Per approfondire

L'invisibile nemico della verità: così la minaccia economica uccide la libertà di informazione

Concita De Gregorio sta pagando per tutti

La legge sulla stampa è da cambiare

Queste vicende si intrecciano nel giorno in cui la FNSI ha indetto una conferenza con Sandro Ruotolo e l’incontro non può che cominciare così, con le parole del presidente della Federazione nazionale della stampa, Beppe Giulietti:

Non mi interessa dove siano i proprietari dell'ex Unità, li vadano a ripescare, si faccia garante il partito si faccia garante chi può, non possono pensare di non sapere quello che è accaduto. Questo governo ha annunciato un provvedimento sulle querele bavaglio, ma non ce n'è traccia. Ci sono depositati provvedimenti di maggioranza e d'opposizione: chiediamo a governo e parlamento di approvare subito queste proposte. I presidenti delle Camere devono calendarizzarle, altrimenti sarà chiaro che non c'è distinzione tra le forze politiche nell'invocare il bavaglio e nel tutelare delle leggi indecorose, sbagliate e liberticide. Se ne assumano la responsabilità senza nascondersi dietro alibi. Il Governo provveda a porre fine alle querele bavaglio che sono la nuova forma di lupara, se non lo fa, significa che vuole mantenere questa nuova forma di intimidazione nei confronti dei giornalisti sgraditi”.

Giulietti, prima di dare la parola al protagonista dell’incontro, Sandro Ruotolo (al quale è stata giorni fa revocata la scorta e poi riassegnata grazie alla sospensione del provvedimento di revoca), ha ricordato che sono 21 in Italia i giornalisti sotto scorta ma “Ci sono ancora Federico Marconi, un giovanissimo collega dell'Espresso, Giovanni Tizian, già minacciato dalla 'ndrangheta, Federico Giorvasoni di Brescia, Nello Scavo di Avvenire, Sara Lucaroni, Andrea Palladino e chissà quanti ne dimentico, lo dico perché chiediamo formalmente da qui al comitato ministeriale che si occupa di sicurezza di accendere i riflettori anche su queste situazioni”.


Intervista con Sandro Ruotolo per #Radio1inVivaVoce


Nelle ore di revoca della sua scorta, ha ricevuto tantissimi messaggi di solidarietà, ce n’è uno che l’ha colpita in maniera particolare, che vuole raccontare?
Io sono molto legato ai cittadini, perché il mio giornalismo è sempre stato quello di strada, ho sempre dato voce a chi voce non ha. Sono due i messaggi: mi hanno chiamato gli operai di Portovesme, dove anni fa raccontai la crisi dell’industria. L’altro che voglio citare è un messaggio su facebook di un gruppo di giovani che mi hanno scritto: “Abbiamo conosciuto il fenomeno mafioso grazie a te”. Sono ragazzi che mi conoscono per il lavoro che facevo sulla tv generalista, Rai, La7 e Mediaset, ma stanno seguendo anche il lavoro che sto facendo su internet. E’ bellissimo questo. Ecco, se c’è una cosa bella nella mia vicenda, è aver visto che migliaia di persone sono tornate ad essere opinione pubblica, a chiedere informazione, cultura. Nell’era dell’analfabetismo funzionale o dell’elogio dell’ignoranza, c’è una parte del Paese enorme che vuole invece l’informazione. Noi giornalisti abbiamo quindi una responsabilità enorme e non sempre ci meritiamo l’amore dei cittadini, dobbiamo tornare ad amare il nostro lavoro senza lacci e lacciuoli.

Che cosa ha influito di più, secondo lei,  sulla decisione di sospendere la revoca della scorta?
"Questo non lo so. Mi ha colpito moltissimo la dichiarazione del procuratore nazionale antimafia che è la massima autorità che ha detto che dovevo essere scortato. Ma il punto è quello che ha raccontato Marilena Natale: il clan Zagaria, la costola di cosa nostra in Campania, il Clan dei Casalesi, non si è pentito, stanno tornando fuori, è un clan attivo, recentemente la magistratura ha sequestrato 440 appartamenti realizzati in Romania. Insomma, non abbiamo ancora vinto, invece la politica sottovaluta. Non c’è nell’agenda politica la lotta alla mafia e alla corruzione, non c’è oggi, ma non c’era ieri e l’altro ieri, non Renzi, non Letta, non Gentiloni e non conte, quindi non è una questione di parte, è una questione che, da anni, la politica ha messo da parte. Pensate che nel 2018, 23 consigli comunali d’Italia sono stati sciolti per mafia e non ne parliamo? Nei territori se ne parla. Paradossalmente nei quartieri c'è più consapevolezza che nei palazzi della politica, questo è il punto sul quale riflettere. La strada è pericolosa non solo per il cronista ma anche per il cittadino: quante vittime innocenti abbiamo? La storia di Manuel che doveva avere un futuro da nuotatore, mia cugina morta a 39 anni, in Campania abbiamo 200 vittime innocenti, bambini di 3 anni, ragazzi quattordicenni, morti per le pallottole".

Lei in conferenza stampa ha detto che il clan Zagaria la voleva squartare.
“Nel 2016 a Casapesenna andai nella sede di Libera dove mi diedero una targa per il giornalismo coraggioso, il giorno dopo il referente di Libera ha ricevuto una testa di maiale con tre proiettili, una pistola, tre zampe di capretto e le interiora. Questo voleva dire che a me Zagaria mi voleva squartare vivo. Sono andato a Ottaviano a intervistare la sorella di Raffaele Cutolo, Rosetta Cutolo, latitante per dieci anni, in carcere per dieci anni, e lei durante l'intervista nella sua abitazione mi dice in dialetto due volte “Se non ve ne andate, arriva mio fratello Pasquale e ci pensa lui a mandarvi via”, ma di fronte alle minacce, mi sentivo tranquillo perché avevo la scorta”.

Timisoara Pinto