tag:blogger.com,1999:blog-70964796923709330372024-03-14T11:48:03.457+01:00i miti di timiTimisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.comBlogger75125tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-19937295949547596442023-03-28T18:16:00.000+02:002023-03-28T18:16:31.913+02:00Laurea honoris causa a Ivano Fossati in Letterature moderne e spettacolo. La lectio magistralis di un "narratore da 3 minuti"
<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSvqpJ7GGA9ql4SwropjlXUlsQy0gBnI80rDLsFQxJruPn0s8OUGK8q6GoTeKA9veu5dvY2J-_HzTOPdVN7IeuvdYwAsR_Cje8gtMktJzbQFxxmqaxnnRj8G6c_gV7haWi-Z8qRtIZNgqj4ocm1CltrrL3CNwGUxyO6RULE7tBY3TKqImXXiGsw5s7zA/s1600/WhatsApp%20Image%202023-03-27%20at%2021.23.46.jpeg" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; "><img alt="" border="0" width="320" data-original-height="1200" data-original-width="1600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSvqpJ7GGA9ql4SwropjlXUlsQy0gBnI80rDLsFQxJruPn0s8OUGK8q6GoTeKA9veu5dvY2J-_HzTOPdVN7IeuvdYwAsR_Cje8gtMktJzbQFxxmqaxnnRj8G6c_gV7haWi-Z8qRtIZNgqj4ocm1CltrrL3CNwGUxyO6RULE7tBY3TKqImXXiGsw5s7zA/s320/WhatsApp%20Image%202023-03-27%20at%2021.23.46.jpeg"/></a></div>
“Con la sua lunga e brillante carriera ha scritto un importante capitolo della musica leggera e per riflesso un importante capitolo della nostra vita, perché la musica fa parte della vita di ognuno di noi e quando le canzoni riscuotono un successo intramontabile come quelle di Ivano Fossati, è impossibile non averle ascoltate e persino trovarvi similitudini e assonanze con momenti della nostra vita”. E’ l’inevitabile premessa del Rettore Francesco Delfino che rimanda a quelle che Proust ha definito “intermittenze del cuore” e che Pier Paolo Pasolini ha codificato nelle sue riflessioni sul significato e la forza delle “canzonette”, quel soprassalto emozionale ed esistenziale provocato da brani come “La costruzione di un amore”, “Carte da decifrare”, “C’è tempo”, “Treno di ferro”, e mi fermo qui perché da “Un’emozione da poco” in poi l’elenco sarebbe lunghissimo.<br><Br>
“Nella diffusione della cultura ha dato prova di sensibilità e profondità, capace di instaurare un dialogo e veicolare contenuti proprio come ha sempre fatto con le sue canzoni”, prosegue il Rettore, facendo riferimento al laboratorio tenuto da Fossati presso l’Ateneo genovese dal 2016 al 2018, dal titolo “Linguaggi, figure professionali e meccanismi produttivi della canzone”.<br><Br>
Ed ora lì, dopo la pausa per la pandemia, nell’aula San Salvatore di Sarzano dell’Università di Genova, nel cuore antico e autentico della città, Ivano Fossati ha ricevuto la laurea honoris causa in Lettere moderne e spettacolo.<br>
Prima di dare la parola al neolaureato, il saluto di Duccio Tongiorgi, direttore del Dipartimento di italianistica, romanistica, antichistica, arti e spettacolo, e la “Laudatio” affidata al Preside della Scuola di Scienze umanistiche, il musicologo Raffaele Mellace.<br>
“All’arido elenco di gesta, ho preferito la forma artistica dell’acrostico” ha detto il professor Mellace : 7 parole che rimandano a 7 mondi espressi dal “candidato” alla Laurea ad honorem “per attraversarli con qualche consapevolezza”. Li riporto in sintesi.<br>
<b>F come FIATO</b>, l’elemento essenziale della musica e del canto.<br>
<b>O come ORCHESTRA</b>, l’importanza dello strumentale nella ricerca di Ivano Fossati, polistrumentista, collezionista di strumenti<br>
<b>S come SCRITTORE</b>, l’immaginario poetico che abbiamo interiorizzato<br>
<b>S come SUONO</b>, un timbro e un sound inconfondibile, pacato, introspettivo con impennate melodiche<br>
<b>A come ALTRI REGISTRI</b>, dal piano pianissimo alla vitalità ritmica<br>
<b>T come TEATRO</b>, un artista che vive di lenta costruzione, che si sgancia dalla macchina della produttività forzata per vivere il proprio flatus artistico in un’altra dimensione, rinunciare ad alimentare l’illusione dell’eterna giovinezza<br>
<b>I come IDEA</b> osservare prima di raccontare: prima che con il talento, le canzoni si scrivono con gli occhi.<br><br>
<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkXVOP-FvBcQuYxp7986lOom4wkdhqT9k2-eL0T0V3PpfpO0gtCG1FaLZBLuyxVb6lPUCbFvvfFNbj3_PKUSib4KvUXxQwnFff0Pqi0nbU5Mj73QCz_lRFwqZyP9NrqHu-epyFLKvw7Y-ZAH_mdCHfOXXQMzqHqHoR8jLmwkcllCuimoTfzNnsDSxXcg/s1425/WhatsApp%20Image%202023-03-27%20at%2021.27.19.jpeg" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; clear: left; float: left;"><img alt="" border="0" height="320" data-original-height="1425" data-original-width="1341" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkXVOP-FvBcQuYxp7986lOom4wkdhqT9k2-eL0T0V3PpfpO0gtCG1FaLZBLuyxVb6lPUCbFvvfFNbj3_PKUSib4KvUXxQwnFff0Pqi0nbU5Mj73QCz_lRFwqZyP9NrqHu-epyFLKvw7Y-ZAH_mdCHfOXXQMzqHqHoR8jLmwkcllCuimoTfzNnsDSxXcg/s320/WhatsApp%20Image%202023-03-27%20at%2021.27.19.jpeg"/></a></div>
Dopo la laudatio, la vestizione di Fossati, la formula di rito, ecco l’attesissima lectio magistralis. Il titolo è “Ispirazione, pensiero e sintesi nella musica discografica” e comincia con questa frase: “L’ispirazione non ha limiti” ed è il filo conduttore del discorso di Fossati durato una ventina di minuti. In questo territorio "sconfinato" arriva il "miracolo della riproduzione", la prima tecnologia discografica alla fine dell’Ottocento, il fonografo: <br>
“Doveva sembrare un miracolo portarsi a casa le grandi orchestre, le arie d’Opera, i più celebri cantanti lirici, ora siamo assediati dalla sovrapproduzione di musica o di qualcosa che vorrebbe somigliarle. E’ anche troppo. Quell’antico stupore non lo possiamo nemmeno immaginare. Le arie d’Opera vengono mutilate per poter essere contenute nei fatidici quattro minuti. Via l’introduzione orchestrale, via gli interludi, spesso via anche parti cospicue della composizione, si salva solo quello che tutti conoscono, l’aria celeberrima che a casa la gente canticchia con le parole sbagliate dentro la vasca da bagno. Di conseguenza in quel periodo si produce un gran numero di dischi che fanno inorridire gli intenditori, ma accontentano i primi audiofili di bocca buona che faranno il successo dell’industria discografica che sta nascendo. Gli autori di canzoni, allora si diceva canzonette, erano musicisti preparati, venivano dal Conservatorio, avevano in mente la canzone declinata come un’opera lirica in sedicesimi, le partiture con lunghe introduzioni orchestrali, lunghe strofe, brevi interludi e poi la parte centrale che qui, da noi, chiamiamo ritornello, o meglio, chiamavamo ritornello, seguito da ripetizioni e pomposo finale. Questi autori però non si fanno grossi problemi se la canzone viene tagliata nella sua versione discografica.<br><br>
Nasce così il primo patto degli artisti con l’industria e il patto è sacrificio e asservimento dell’ispirazione in cambio di notorietà e possibilmente di ricchezza, una sorta di patto col diavolo, ma io mi permetto di avere qualche dubbio in proposito, ma ci arriveremo più tardi…<br><br>
Tra la fine degli anni Cinquanta e i primissimi anni Sessanta del secolo scorso accade qualcosa di mai visto prima, l’incontro-scontro (oggi si direbbe la tempesta perfetta) fra una nuovissima tecnologia, il disco microsolco a 45 giri, la riverberazione massiccia attraverso l’Inghilterra, di molta musica del Sud del mondo, soprattutto il blues che è il padre di quasi tutta la musica discografica leggera, una nuova generazione di musicisti autori, autodidatti, spesso di grande talento e grande determinazione che però, la porta di un Conservatorio, non l’ha mai varcata.<br>
E’ curioso che la musica del Sud del mondo ci sia arrivata dall’Inghilterra, il rhythm’n blues ha preso forza in Europa e soprattutto qui da noi fra il 1968 e 69, mentre già nel ’62 i musicisti inglesi portavano verso di noi il blues.<br><br>
<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiG-JZXjS8_LUXSvxPz2440fYr6JEV_7a4EfAxkUCkTEDQ7S0073iHDxDhcKfg-6-qdbrN2dulKCNVUuBh9oc9GkPKST3oNastqP4-PoJnKZsXiTLWbxP1JemxtV9_01ec3_8h9iJAjgBODMM6DmbSgzRw1Rf18MV3PWRcHJ6VicftiJS2KCfe96QFprA/s1511/WhatsApp%20Image%202023-03-27%20at%2021.27.19%20%281%29.jpeg" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; clear: right; float: right;"><img alt="" border="0" height="320" data-original-height="1511" data-original-width="1129" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiG-JZXjS8_LUXSvxPz2440fYr6JEV_7a4EfAxkUCkTEDQ7S0073iHDxDhcKfg-6-qdbrN2dulKCNVUuBh9oc9GkPKST3oNastqP4-PoJnKZsXiTLWbxP1JemxtV9_01ec3_8h9iJAjgBODMM6DmbSgzRw1Rf18MV3PWRcHJ6VicftiJS2KCfe96QFprA/s320/WhatsApp%20Image%202023-03-27%20at%2021.27.19%20%281%29.jpeg"/></a></div>
Adesso il tempo disponibile su disco scende addirittura a 2 minuti e mezzo. Utilizzano slogan, crasi, espressioni gergali e invenzioni fonetiche. La sintesi nelle primissime canzoni dei Beatles è da manuale, nessuna parte necessaria viene tralasciata, tutto è fulmineo, organico, simmetrico, in una parola efficace. La musica nera che hanno molto ascoltato è una grande scuola di sintesi e nelle loro canzoni ce n’è più di una traccia. Il resto viene dal talento e dalla curiosità.
Qualche anno fa con il professore Ferdinando Fasce abbiamo fatto una piccola ricerca, eravamo curiosi di capire quanta musica nera ci fosse nelle canzoni dei Beatles che apparivano, appaiono, come la cosa più inglese che si potesse immaginare. Ebbene, un quinto delle loro canzoni sono innestate sopra un impianto di musica che deriva dal blues, basti pensare a titoli come “Come toghether”, forse la canzone più nera che abbiano scritto, a “Taxman” che è un vero rhythm ‘n blues. Così il pensiero viene addomesticato dall’intelligenza, costretto ad abitare in spazi ristretti. Anche artisti come Bob Dylan e Paul Simon, soprattutto all’inizio, combattono la loro battaglia contro il tempo e allora cambiano la forma canzone dall’interno, dal contenuto, con la forza dell’ispirazione e del pensiero che la sovrasta. Gli artisti, i migliori, i più grandi hanno sempre guardato verso l’alto. Le loro biografie e le confessioni fatte a vario titolo sono piene di riferimenti alla letteratura e alla poesia, quasi tutti citano un ispiratore, una guida: Faulkner, Kerouac, Ferlinghetti, Gregory Corso, chi si dice folgorato da Henry Miller e chi da Céline. In tanti, uomini e donne, ammettono di dovere qualcosa alla scrittura asciutta e diretta di Hemingway. Paul McCartney mentre scriveva “Lady Madonna” sappiamo che frequentava i concerti di musica contemporanea, per esempio la musica di Luciano Berio, il leader degli Who, Pete Thownshend, mentre faceva a pezzi la chitarra sul palcoscenico per la gioia del suo pubblico, si faceva ispirare quasi in segreto dalla musica minimalista di Terry Riley e Jimi Hendrix da Stravinsky. Di questa ispirazione rimane sempre una traccia nitida, <b>l’ispirazione piove dal cielo sì, ma occorre essere pronti e curiosi e guardare verso l’alto</b>. <br><br>
Per me, invece, quando avevo 18 anni c’è stato Cesare Pavese col suo sguardo modernissimo, quasi cinematografico sulle cose, con i suoi scenari allargati, le colline delle Langhe filtrate attraverso tanta letteratura americana che lui amava, descritte col grandangolo, vaste come scenari alla Joseph Conrad, vaste come in fondo non erano mai state. E poi George Simenon che non ha troppo tempo per gli aggettivi e ci concede per immaginare le sue ambientazioni solo brevi tratti di penna e di colore, il lavoro lo fa fare a noi che leggiamo. È tutto perfetto, funziona, noi immaginiamo e vediamo come vuole lui, è una grande lezione per un narratore da tre minuti, come sono anch’io e quella di Simenon è esattamente la tecnica delle canzoni. Non c’è spazio in 3 minuti e mezzo per dire tutto, bisogna fare dei tratti e dei tagli che aiutino l’immaginazione degli altri, tu scrivi ed è il pubblico che costruisce. Mi viene in mente “Eleanor Rigby”, ma non lo sa neanche McCartney cosa vuol dire, non lo dico io, l’ha detto lui. È un’associazione di idee, ma è perfetta, ed è talmente giusta ed evocativa, che noi ci abbiamo lavorato sopra per cinquant’anni e ognuno di noi l’ha vista a modo suo. Per fortuna non è stato mai fatto un video, perché il video che ci siamo immaginati noi è molto meglio e soprattutto è personale, per ognuno di noi è diverso. Quello è il mestiere che bisogna saper fare, scrivere pochissimo e lasciare immaginare molto.<br><br>
E poi, per puro esempio, voglio citare anche uno scrittore più vicino a noi nel tempo attuale, Irvine Welsh, che mostra magistralmente solo il necessario ma efficacemente, anche quando il necessario deve essere duro, intricato, turpe, cinico, sarcastico insieme. Anche Irvine Welsh è di grande utilità, dato che oggi tutti noi parliamo più come lui che come Dostoevskij. E il linguaggio si modifica rapidamente, giorno dopo giorno. “Il segreto di annoiare sta nel dire tutto” sono le parole di Voltaire che bisogna tenere a mente, soprattutto quando sappiamo che la musica è un nastro trasportatore che non aspetta.<br><br>
Metodi di sintesi letteraria musicale li ho sempre personalmente ricavati dai nostri dialetti e dalle lingue diverse dalle mie ritraducendo poi in italiano. Le espressioni napoletane messe in musica si prestano a rapide dolcezze carezzevoli, il nostro caro genovese, utilissimo nella ricerca di forme stringate, è lapidario e sarcastico insieme. Le formule di costruzione semantiche dell’inglese risultano quasi sempre scorrevoli e adattabili, anche se con il rischio di qualche eccessiva semplificazione e poi c’è il portoghese, una delle lingue più musicali che si conoscano, che dal suo interno offre soluzioni inaspettate di grande aiuto. Il nostro italiano è amabile, completo ricchissimo di sfumature e di profondità, ma spigoloso e non sempre è amico della metrica musicale più attuale. Sappiamo che garantisce bellissimi risultati solo a costo di cura, inventiva e laboriosità.<br><br>
E veniamo a oggi. Oggi nemmeno la tecnologia digitale ha vinto sulla durata della musica, adesso che quest’ultima non avrebbe più limiti, nessun network trasmetterebbe brani di 6/7 minuti o più. In rete è diverso, ma nella pratica produttiva comune poco è cambiato, e forse è un bene, dico io. La musica che può permettersi spazi più ampi è un’altra, è differente, ha altre strutture e obiettivi diversi. E intanto, la lunga marcia della musica proveniente dal Sud del mondo si può considerare conclusa, la black music ha vinto quasi su tutto, ha arricchito, impreziosito, snellito le nostre modalità espressive, le classifiche sono dominate dal rap in tutte le sue forme, e da un r’n’b che col rhythm ‘n blues delle origini non ha niente a che fare o poco. La capacità fonetica, vocale di alcuni rapper a volte è notevole, agiscono sul ritmo come percussionisti, scomponendo il tempo e creando fra il significato e il suono delle parole vere e proprie poliritmie complesse. Mi chiedo cosa ne penserebbero i futuristi. Marinetti, ascoltando il rap si sentirebbe finalmente appagato? Chi può escluderlo? Questi generi musicali, figli e nipoti del blues, della black music, con influenze latine e caraibiche, si fondono e si influenzano a vicenda, accerchiano e assediano anche la forma canzone che conosciamo e la canzone si concede volentieri a questa trasformazione, lascia entrare dentro la propria struttura modalità e linguaggi differenti, non nuovi però, perché il rap viene da lontano e non è certo una moda del momento. Anch’esso si modificherà, già adesso si lascia integrare da forme ritmiche e melodiche di origine orientale e maghrebina, ma è qui per restare. <br><br>
Se oggi penso alla trasformazione della musica e dell’ispirazione che la genera, in prodotto discografico, in emozione portatile istantanea come un file digitale, allora penso a quel maestoso insieme, rotolante, in continuo movimento, fatto di alto e di basso, di musica sublime, di arte, di idee folgoranti, letteratura, di parole toccanti che ha sempre condiviso il proprio cammino con tanta piccola musica forse insignificante e presto dimenticata. E’ quell’insieme, quel tutto, il prodotto meraviglioso di cui parliamo. Musica alta, musica leggera e musica leggerissima: io ho amore per tutte. Quell'insieme rumoroso, chiassoso, incessante, che ci ha cresciuti e che ci accompagna, ci spinge avanti guardando verso l'alto, al nostro posto, soprattutto quando noi ci stanchiamo o non siamo più capaci di farlo. Musica e pensieri nati per essere commercializzati e per fare soldi, che tuttavia dall’interno di un enorme ingranaggio, sono in grado di mostrare i cieli più alti, di mettere le anime a nudo, di insegnarci qualcosa, passo dopo passo, e senza l’aria di volerlo o di poterlo fare. Se questa meraviglia è il risultato del patto fra gli artisti e l’industria discografica e se, come si dice, in questo patto faustiano c’è lo zampino del diavolo, allora non sono certo che l’industria sia il diavolo, sarebbe un diavolo perdente. L’ispirazione è ancora lassù al suo posto, integra, fulgida, pronta a tutto come sempre, pronta per nuove generazioni di artisti visionari, mentre l’industria, dobbiamo riconoscerlo, ha conosciuto tempi migliori. Per questo ho il sospetto che nel vecchio patto, ispirazione e talento, in cambio di fama e denaro, la parte del diavolo astuto l’abbiano fatta in realtà e di certo inconsapevolmente gli autori e gli artisti, proprio tutti, i grandi e i dimenticati. Ho il sospetto che quel lontano giorno, per una volta, forse, il diavolo eravamo noi".
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Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-31335846402105992302022-09-08T15:28:00.001+02:002022-09-08T15:35:31.964+02:00Che cosa sono le canzoni? Un "Capriccio all'italiana" - Intervista possibile: Pier Paolo Pasolini e la musica<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3BuOI_FYfUO2jXkc2D92eCkH9pthvsezBZZabU4ZWz9-xBNKxkfnTESWgOl2XAorFUqKldHXkbkCot4Zof1NPDQ3ZI9zeF3CJmnPxi5ILbLezbDERm0NUR7wnIXjfi9W4vYPr-Hsy5pfX_KDF1Fo2HKRzCAK90t0NfqIueKQvxZHTDvdo9QMJ1QNsyQ/s766/pasolini.jpg" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; "><img alt="" border="0" height="400" data-original-height="766" data-original-width="536" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3BuOI_FYfUO2jXkc2D92eCkH9pthvsezBZZabU4ZWz9-xBNKxkfnTESWgOl2XAorFUqKldHXkbkCot4Zof1NPDQ3ZI9zeF3CJmnPxi5ILbLezbDERm0NUR7wnIXjfi9W4vYPr-Hsy5pfX_KDF1Fo2HKRzCAK90t0NfqIueKQvxZHTDvdo9QMJ1QNsyQ/s400/pasolini.jpg"/></a></div>
<b>Se non avesse fatto lo scrittore e il poeta, cosa avrebbe scelto di fare Pier Paolo Pasolini?</b><br><br>
Avrei fatto lo scrittore di musica.<br><br>
<b>Che musica ascolta?</b><br><br>
Genericamente della musica classica, sono ossessionato da Bach e da Mozart e quando non ascolto musica classica, allora cerco la musica popolare, ma quella vera, quella raccolta dagli etnologi, quella che ho adoperato nel commento musicale di “Medea”, i canti tibetani popolari, i canti d’amore iraniani, ma non riesco mai a staccarmi da Bach e da Mozart.<br><br>
<b>La musica leggera quindi non le interessa?</b><br><br>
Amando la vita sotto tutti i punti di vista, la amo, in un certo senso, anche in questo suo aspetto che io considero intellettualmente piuttosto volgare, di basso livello in Italia.<br><br>
<b>Quale aspetto, dunque, la incuriosisce?</b><br><br>
La musica leggera italiana mi sembra veramente brutta, però ci sono certi dei momenti in cui non si può prescindere dal fatto che questa musica leggera ci sia. Risentendo certe canzonette di dieci anni fa, c’è quel fenomeno che Proust chiama “Les intermittences du coeur”. Sentendo delle note, pur stupide, di dieci anni fa, improvvisamente quel brano appare ai nostri occhi… nel ricordo acquista un’altra valenza, attraverso il sentimento che ci mettiamo, ma di per sé, la canzonetta ha scarso valore. Voglio dire che le canzoni, anche se non sono belle, possono essere importanti per noi per i ricordi che evocano. Quindi la musica leggera è misteriosamente legata alla nostra vita quotidiana e di conseguenza un certo amore ce l’ho, ma a livello intellettuale devo fare delle scelte piuttosto rigorose.<br><br>
<b>Lei non ha qualche ricordo legato a una canzone?</b><br><br>
Un ricordo particolare non direi, le canzoni non sono mai entrate così a fondo nella mia vita privata da legarsi a un episodio privato della mia vita, più che altro evocano atmosfere, ricordi di certi periodi. In questo senso potrei dire che c’è una canzonetta, “Amado mio” cantata da Rita Hayworth, che mi evoca i tempi in cui andavo a ballare nelle balere friulane, quindi le estati un po’ umide del Friuli della mia gioventù.<br><br>
<b>Ci dica almeno un nome nell’ambito della musica leggera che ha ascoltato recentemente…</b><br><br>
L’unica musica contemporanea che mi è piaciuta di questi tempi è quella dei Beatles e dei Rolling Stones, in Italia forse l’Equipe 84…<br><br>
<b>Allora qualche “canzonetta” che ha attirato la sua attenzione c’è…</b><br><br>
Sulle canzonette potrei dare due tipi di risposte del tutto contrarie, niente meglio delle canzonette ha il potere magico abiettamente poetico di rievocare un tempo perduto. Sfido chiunque a rievocare il dopoguerra meglio di quello che possa fare il boogie woogie o l’estate del ’63, meglio di quel che possa fare “Stessa spiaggia stesso mare”. Les intermittences du coer più violente, cieche e irrefrenabili, sono quelle che si provano ascoltando una canzonetta. Chissà perché i ricordi delle sere o dei pomeriggi o dei mattini della vita si legano così profondamente alle note che infila nell’aria una stupida radiolina o una volgare orchestra, e anche la parte odiosa, repellente di un’epoca aderisce per sempre alle note di una canzonetta. Pensate a “Pippo non lo sa”. Ad ogni modo, non sono un buon giudice. Soffro di antipatie e simpatie profonde per i cantanti e le melodie, il massimo dell’antipatia è per la canzonetta crepuscolare, di cui potrei dare come paradigma “Signorinella pallida”. Aggiungo infine che non mi dispiace il timbro orgiastico che hanno le musiche trasmesse dai juke-box. Tutto ciò è vergognoso, lo so, e quindi devo dire che il mondo delle canzonette è oggi un mondo sciocco e degenerato, non è popolare, ma piccolo borghese e come tale profondamente corruttore. La tv è colpevole della diseducazione dei suoi ascoltatori anche per questo. I fanatismi per i cantanti sono peggio dei giochi del circo.<br><br>
<b>In questo scenario decadente, nemmeno un barlume?</b><br><br>
Occorre operare un esercizio critico, rischiare l’impopolarità ma andare contro la componente passiva e fanatica, soprattutto nei giovani.<br><br>
<b>Quindi lei pensa che attraverso la canzone non si possano lanciare messaggi dire cose importanti…</b><br><br>
Io non generalizzo, ci sono certe canzoni napoletane della fine dell’800 e del principio del Novecento che non davano nessun messaggio di carattere politico o ideologico, erano semplicemente canti d’amore o d’allegria o di vitalità, eppure erano bellissimi e così certe canzonette francesi, molto poetiche. Io stavo parlando, in particolare, della musica leggera italiana dagli anni ’30, quando ero ragazzo io, ad oggi, credo che non abbia mai avuto un momento di poesia o realismo, è stata sempre una cosa superficiale, puramente commerciale.<br><br>
<b>Da Scapricciatiello a corde della mia chitarra, nei suoi libri cita alcune canzoni, che funzione hanno in quel caso le “canzonette”?</b><br><br>
Fanno parte di quello che in letteratura si chiama il discorso libero indiretto. Nel mio libro ci sono molti brani in cui non esprimo i miei pensieri, ma parlo attraverso i pensieri del mio personaggio e quindi attraverso i suoi miti, il suo modo di mettersi in rapporto con il mondo, il suo modo di giudicare gli altri uomini, e quindi anche attraverso le parole delle canzoni. Io queste parole non lo so, ho dovuto andarmi ad informare, ma siccome so che dentro i miei personaggi, mettiamo Tommasino Puzzilli de “La vita violenta”, queste parole ci sono e fanno parte della sua cultura, allora ho citato brani interi di canzoni. In qualche modo, Claudio Villa di allora o Giacomo Rondinella, in un modo, certo, sempre falsato, manipolato e alienante, avevano un punto di contatto col reale gusto culturale musicale del sottoproletariato del tempo. L’epoca di “Scapricciatiello”, “Io sono carcerato”, oppure “Luna rossa” ha rappresentato un momento in cui le canzoni hanno colto un momento popolare abbastanza vero.<br><br>
<b>Cosa le piace di Claudio Villa?</b><br><br>
Mi piace il repertorio delle canzoni melodiche di Claudio Villa perché mi piace il pubblico che ama questo stile popolare e verace. Approvo che Villa scriva, musichi e interpreti le sue canzoni. Lui lo fa nel suo piccolo come Charlot ha fatto nel suo grande. In quanto agli atteggiamenti da bullo, la presunzione e gli atteggiamenti d’insufficienza che gli si imputano, io trovo che nella sua qualità di cantante-attore e di personaggio dello spettacolo tali atteggiamenti gli si addicano, perché fanno, appunto, spettacolo. Disapprovo invece che Claudio Villa sia dia a interpretazioni del genere urlato, anche perché io credo nella canzone come mezzo verace d’espressione e penso che il genere urlato non sia genuino. Le canzoni andrebbero portate a un livello d’espressione più interessante.<br><br>
<b>Su “Il Tempo” del 15 febbraio 1969 lei ha scritto: "È cominciato ed è finito il Festival di Sanremo. Le città erano deserte; tutti gli italiani erano raccolti intorno ai loro televisori. Il Festival di Sanremo e le sue canzonette sono qualcosa che deturpa irrimediabilmente una società”</b><br><br>
Le cose sono andate ancora peggio del solito: perché c’è stata una contestazione, seppur appena accennata, al Festival. Si contestano i prezzi dei biglietti per ascoltare quelle povere creature che cantano quelle povere idiozie: e si protesta moralisticamente contro il privilegio di chi può pagare il prezzo di quei biglietti. Non ci si rende conto che tutti i sessanta milioni di italiani, ormai, se potessero godere di questo famoso privilegio, pagherebbero il prezzo di quel biglietto e andrebbero ad assistere in carne e ossa allo spettacolo di Sanremo. Non è questione di essere in pochi a poter pagare quelle miserabili ventimila lire ma è questione che tutti, se potessero, pagherebbero. Tutti, operai, studenti, ricchi, poveri, industriali, braccianti... I centomila disgraziati che si tappano le orecchie e si coprono gli occhi davanti a questa matta bestialità, sono abitanti di un ghetto che si guardano allibiti fra loro, senza speranza. E i più non osano neanche parlarne: perché parlarne, sinceramente, fino in fondo, fino all'indignazione, è impopolare come niente altro. E' per non rischiare questa impopolarità, che i contestatori sono in questo caso tanto discreti. Ma è un calcolo sbagliato, che li rende degni degli "innocenti" cantanti integrati e del loro pubblico."<br><br>
<b>Attualmente molti registi scelgono cantanti come attori anche in film impegnati, ad esempio Germi ha scelto Celentano per il ruolo di Serafino, Morandi ha recitato in diversi “musicarelli”. Lei sceglierebbe qualcuno dei nostri cantanti come attore?</b><br><br>
Sono cose che non posso mai dire prima, perché io scelgo un attore soltanto in funzione del personaggio. Se avessi scritto un certo personaggio con certi caratteri fisici, potrei benissimo scegliere Gianni Morandi, perché no? Ha un bel viso, è un ragazzo simpatico, avendo un personaggio con quelle caratteristiche potrei scegliere lui, ma non lo posso calcolare a priori.<br><br>
<b>Nel frattempo, però, è diventato anche un autore di canzoni. Com’è nata la collaborazione con Sergio Endrigo per il brano “Il soldato di Napoleone”?</b><br><br>
E’ stato il direttore artistico della RCA, Ennio Melis, a farci incontrare. Endrigo aveva 27 anni, era di undici anni più giovane di me e aveva già scritto “Io che amo solo te”, “Aria di neve”, “Viva Maddalena” e altre. Tra queste altre c’era anche “Via Broletto”, un testo che poteva far pensare ad alcune ambientazioni o atmosfere che ho descritto nei miei romanzi, ambientati a Roma e nelle sue periferie. Tuttavia, di Endrigo mi interessava la sua storia di esule istriano, le nostre comune origini, lui è nato a Pola, io a Casarsa della Delizia, Trieste a metà strada. Così gli chiesi di cercare fra le mie poesie friulane pubblicate ne “La meglio gioventù” e di musicarne una a suo piacimento e lui scelse “Il soldato di Napoleone”. In calce all’originale friulano, c’era già una mia versione in italiano ed Endrigo partì da quella, senza modificare nulla, se non lo stretto necessario per adattarlo alla metrica della musica che aveva scritto. Per cantarla in televisione ci chiesero di eliminare alcuni versi che la commissione censura ha definito “disgustosi”, noi naturalmente rifiutammo.<br><br>
<b>Erano versi ispirati alle memorie di famiglia, tra realtà e leggenda.</b><br><br>
E’ il racconto delle gesta di un avo della famiglia di mia madre che si era arruolato con i francesi ed era andato a combattere in Polonia. I versi non graditi dalla televisione sono quelli legati a un particolare che nella famiglia Colussi si tramanda oralmente da generazioni. Una notte il giovane soldato, per non morire di freddo, squarciò il ventre al suo cavallo caduto in battaglia e si scaldò con le sue viscere.<br><br>
<b>Alcune di queste canzoni saranno cantate anche tra cinquant’anni...</b><br><br>
Ho scritto due canzonette per Laura Betti, e poi facendo una specie di collage prendendo dei versi da “L’Otello” di Shakespeare, una breve canzone da inserire in un mio episodio che si intitola “Che cosa sono le nuvole” che faceva parte del film “Capriccio all’italiana”, queste mie parole le ha musicate Modugno, e devo dire che l’ha fatto molto bene.<br><br><br><br>
<b>(Le risposte di Pier Paolo Pasolini sono tratte da alcuni suoi scritti, da dichiarazioni di Sergio Endrigo e dalle interviste in diversi programmi Rai, raccolte recentemente da Elisabetta Malantrucco nello speciale di RaiPlaySound “Pasolini, appunti musicali”)</b><br><br>
<b>Testo di Timisoara Pinto inserito nel libro "Scritti su Pasolini. Il cammino è cominciato e il viaggio è già finito a cura di Gianfranco Blasi e Novella Capoluongo Pinto (Universosud)</b>Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-76668252156897937402022-05-12T15:00:00.001+02:002022-05-12T15:00:22.143+02:00Altro che Arrivederci, Giorgio e Zsa Zsa decisero di non vedersi più... Il ricordo di un amore e di una canzone nel giorno della nascita di Umberto Bindi<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhS_lSZzNjNBN44oG1KaCTeABenIq6wf3ZgLk3QY_XHRAet2XwSoPV1FBkpiDRD2ikP_8d0IX5RqsVUToouTPy-ne5k8VKfHCHrtGrHK3c34SKQw4-ZqqS3PMJqFDorKUGSpxg3R6zu35EpCnT49C7HBXfWLxK4hXupsOdvzIRWURVSdHS24zTTmOEyvw/s812/bindi.webp" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; "><img alt="" border="0" height="320" data-original-height="812" data-original-width="598" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhS_lSZzNjNBN44oG1KaCTeABenIq6wf3ZgLk3QY_XHRAet2XwSoPV1FBkpiDRD2ikP_8d0IX5RqsVUToouTPy-ne5k8VKfHCHrtGrHK3c34SKQw4-ZqqS3PMJqFDorKUGSpxg3R6zu35EpCnT49C7HBXfWLxK4hXupsOdvzIRWURVSdHS24zTTmOEyvw/s320/bindi.webp"/></a></div>Non esisteva ancora l’espressione “Canzone d’autore” (creata da Enrico de Angelis nel ’69) e Umberto Bindi, padre della cosiddetta scuola genovese dei cantautori, in un’intervista della fine degli anni Cinquanta definisce i suoi brani “Canzoni a stato d’animo”, canzoni “che creano un’atmosfera passionale e serena”.<br> Oggi, per i 90 anni della nascita del “George Gershwin della canzone”, come lo definì Bruno Lauzi, mi torna in mente il racconto dettagliato che mi fece Giorgio Calabrese di “Arrivederci”. Lo intervistai perché il mio pezzo su questa canzone sarebbe finito in un bel libro collettivo a cura di Maurizio Becker e pubblicato nel 2011 da Coniglio editore, intitolato “Da Mameli a Vasco. Le 150 canzoni che hanno unito gli italiani”.<br><br>
“Sai una cosa Zsa Zsa? Sono passati più di cinquant’anni, ma quando torno a Genova, ancora mi guardo attorno sperando di incrociare un viso che ti ricordi. E che potrebbe essere di tua figlia. Di tua nipote, chissà? Non ho più saputo nulla di te…”. Questo avrebbe voluto dirle non dirle, come in un film francese in bianco e nero. Certo, se ci fosse stato Facebook, Calabrese l’avrebbe rintracciata la sua Marisa, da Maria Luisa, detta Zsa Zsa. E invece da quella volta non si videro più. <br>
<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjO2gsOviXYO_9zerTPEa1GGdy_FY-E8C1SdhjdQR-ib0m9p9BdzrcjRfieG-xv4JGIiBgP91OVbYYH7k1H5jo-dFYieJ9gybxamZd_kexsEucoZ99mfi5pwzE4GJW4vXrI_4C1QtYqlx524IYbCoxKWCk6Wc5-CcCNTqlyKz_OXOteFtmFwEnxI_-hNQ/s1401/arriverco55.jpg" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; clear: left; float: left;"><img alt="" border="0" height="320" data-original-height="1401" data-original-width="1000" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjO2gsOviXYO_9zerTPEa1GGdy_FY-E8C1SdhjdQR-ib0m9p9BdzrcjRfieG-xv4JGIiBgP91OVbYYH7k1H5jo-dFYieJ9gybxamZd_kexsEucoZ99mfi5pwzE4GJW4vXrI_4C1QtYqlx524IYbCoxKWCk6Wc5-CcCNTqlyKz_OXOteFtmFwEnxI_-hNQ/s320/arriverco55.jpg"/></a></div>Lo struggimento è già nell’eleganza del capoverso: arrivederci.<br>
E’ la primavera del ’59, l’autore del testo incontra per caso una vecchia fiamma dei tempi della scuola, e accade l’irreparabile, ma lui è sposato e lei sta per farlo…<br> “Meglio lasciare in pace la gente che avrebbe dovuto vivere con noi”, mi ha raccontato lui qualche anno fa. “Si era appena consumato un grosso strappo, come quando ti tirano via un cerotto in malo modo. Carta e penna sul marmo bianco di un tavolo da cucina, a Genova. Poi, sono salito su un treno per Milano e non sono più tornato”. Calabrese consegna i suoi versi ad Umberto Bindi che impiega solo 5 minuti per musicarli e il brano entra in classifica il 6 giugno 1959 nella versione di Don Marino Barreto jr. (n.1 per 8 settimane), tirando la volata anche al 45 giri inciso dal co-autore che fa capoccetta in hit parade l’8 agosto. La prima ad inciderla, tuttavia, è una donna, Flo Sandon’s, perché suo marito, Natalino Otto, si innamora della canzone, ma si lascia andare al terzinato e sbaglia, non è più tempo... L’arrangiamento vincente si deve a Giulio Libano che vuole farne una ballad all’americana, ancor più indovinato l’interprete, Marino Barreto, che con la sua pronuncia cubana dice “con una estreta di mano”, che diventa il verso-tormentone.<br>
“Quell’estate – racconta Calabrese – andai a trovare degli amici a Rimini. Una sera una ragazza mi chiese di ballare, finì il primo brano e dal juke-box partì “Arrivederci”. Sempre abbracciati, lei mi sussurrò “bella questa canzone di Bindi e Barreto”, ed io “Eh no, le parole sono mie”. Mi scansò dicendomi “ma fammi il piacere” e mi mollò solo, in mezzo alla pista. Ecco, questo è stato il mio primo successo personale come autore di canzoni”.<br> Innumerevoli le versioni: da Ernesto Bonino a Fred Bongusto, da Bruno Martino a Gianni Morandi, da Nilla Pizzi a Caterina Valente, da Ornella Vanoni ad Antonella Ruggiero. Nel 1960, proposta in duetto da Nicola Arigliano e Miranda Martino, si classifica seconda a “Canzonissima” e sempre del ’60 è la memorabile versione di Chet Baker, che la esegue voce e tromba, con l’arrangiamento di Piero Umiliani, nelle sequenze finali del film “Urlatori alla sbarra” di Lucio Fulci.<br><br>
Timisoara PintoTimisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-39707253034265020882022-04-21T13:57:00.003+02:002022-04-21T23:26:12.142+02:00Il 21 aprile 2002 Patti Smith inaugurava l'Auditorium Parco della Musica, oggi intitolato ad Ennio Morricone. L'intervista di 20 anni fa<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQY0M5DHWl3vpjSQFsKBZ88Tm5tRDjW6BIdnGIls6HgZ1-k9kCILHtguYOwu6SzgsOztloatJ0fgfv52qGm3OSlMUgTkA753wClJ-UvW9PZ0YxhgeTQloyNC_mrS0GYPqGStVypZ_yL6XugSfNUq9j8cVFCP9t3jpt1eT8-NigR-J1Apdhb6HiighujQ/s1280/275837728_514945030177154_4674845541804323326_n.jpg" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; "><img alt="" border="0" width="320" data-original-height="842" data-original-width="1280" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQY0M5DHWl3vpjSQFsKBZ88Tm5tRDjW6BIdnGIls6HgZ1-k9kCILHtguYOwu6SzgsOztloatJ0fgfv52qGm3OSlMUgTkA753wClJ-UvW9PZ0YxhgeTQloyNC_mrS0GYPqGStVypZ_yL6XugSfNUq9j8cVFCP9t3jpt1eT8-NigR-J1Apdhb6HiighujQ/s320/275837728_514945030177154_4674845541804323326_n.jpg"/></a></div>
Per ogni piccola domanda ha sempre pronta una lunga e suadente risposta. Patti Smith è ancora una volta in Italia e all’areoporto di Fiumicino, dove è scesa ieri pomeriggio, ha incontrato la stampa per raccontare il suo “words and music”, concerto con cui l’artista di Chicago inaugurerà domani sera l’Auditorium-Parco della Musica.
Accompagnata dal suo compagno, il chitarrista Oliver Ray, Patricia Lee (questo il suo vero nome), ha raccontato la sua passione per il nostro paese, l’amore per Puccini con parole farcite di elementi letterari (ha anche mostrato la biografia di Maria Callas, sua ultima lettura), riferimenti alti ed altri, dettati dal background poetico che la caratterizza. <br>L’evento che la vedrà protagonista solo apparentemente stupisce per l’accostamento di due mondi così distanti, la Rimbaud del rock ed il tempio della classica. In realtà coniuga perfettamente le due anime della Smith: quella affascinata dall’opera (“ultimamente ascolto la Callas – dichiara l’artista - perché sto studiando la mia voce) e quella devota alla "musica giovane". All’età di nove anni, infatti, due cose hanno segnato la sua vita: una rappresentazione di “Madama Butterfly” e Little Richard.<br><br>
Che effetto le fa essere la prima artista rock ad esibirsi nel nuovo auditorium di Roma?<br><br>
Sono veramente onorata, anche perché in America per le idee che ho, non mi avrebbero mai invitata ad un’inaugurazione di tale importanza. Da una parte sono anche un po’ sorpresa, ma dall’altra no, perché in Italia sono sempre stata ricevuta con grande calore. Ricordo la prima volta all’aeroporto di Firenze nel 1979. Fui accolta da un gruppo di paparazzi, ma non capii subito che stessero inseguendo proprio me. Con i miei musicisti ci guardammo intorno, pensando che forse dopo di noi fossero scesi dall'aereo Marcello Mastroianni e Federico Fellini.<br><br>
Il suo ultimo concerto tenuto a Roma l’estate scorsa lo ha dedicato ad Anna Magnani. Quello di domani sera?<br><br>
Lo dedico al Papa. So che in questo momento non sta molto bene e vorrei trasmettergli un po’ della mia forza e della mia energia. Io non sono cattolica, ma in lui non vedo la religione, vedo solo un uomo che sta tentando di tenere il mondo unito.<br><br>
Il suo pensiero sul terrorismo<br><br>
Sono americana, ma la mia filosofia del terrorismo è diversa dalla filosofia del mio paese. Nessun paese può ambire ad essere il numero uno. Io amo il mio paese, in senso patriottico ma non nazionalistico. La cosa più pericolosa non è la bomba in sé, ma quel meccanismo che fa di un semplice corpo una carica di energia distruttrice. Il più grande pericolo che c’è oggi è la forza spirituale, se usata negativamente.<br><br>
Che ricordo ha del pubblico italiano?<br><br>
In Italia ho trovato sempre grande rispetto e ospitalità per il mio spirito rivoluzionario. Una volta sono finita in un posto enorme senza rendermi conto di dove fossi. C’era tantissimo pubblico e quella gioia, quell’eccitamento che li animava mi hanno subito contagiata. <br><br>
Timisoara Pinto
<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhT8WDdBofWH367tlCKowQqcPmLYq2HKeUiXs2iXMz7VYy4ps4Om6Cpc3s-prRs30e3yYSjIeX-XWlN3VKK6VOe-MVk7LQ21mbXMAE7qriTnEqul8PnhBqO8785HnkLWcsrAtr5WbcalWYIV93i0aTcowPCZevoaYpFZ5SAbLOuhDNvjHHLcruaQmfZoA/s600/20100929_054056_ITALY_AUDITORIUM_PATTI_SMIT.webp" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; "><img alt="" border="0" width="320" data-original-height="400" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhT8WDdBofWH367tlCKowQqcPmLYq2HKeUiXs2iXMz7VYy4ps4Om6Cpc3s-prRs30e3yYSjIeX-XWlN3VKK6VOe-MVk7LQ21mbXMAE7qriTnEqul8PnhBqO8785HnkLWcsrAtr5WbcalWYIV93i0aTcowPCZevoaYpFZ5SAbLOuhDNvjHHLcruaQmfZoA/s320/20100929_054056_ITALY_AUDITORIUM_PATTI_SMIT.webp"/></a></div>
Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-48294552421848645922022-02-24T23:14:00.008+01:002022-02-25T00:11:22.132+01:00ENNIO MORRICONE: "L'America non mi avrà" Intervista del 2002 in occasione della laurea honoris causa in DAMS all'Università Tor Vergata di Roma<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjaZQ-pE7M79U_uwGu00juDnWj9hkISK46I9SEXBWeXqL5M5ID-Kp3yJlRU8QnwzKHdNigdoV28CQyT09KqKQbXKZEoSJe3Fxkixyu66Ag00m--AzZ_CeO82ddjQDC7rdiLCID778AKzLr5UpgrHek3niJz9V9ZDzIKcnyBf5Cz6f5kCzCEmI7b-h__og=s480" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; "><img alt="" border="0" width="320" data-original-height="480" data-original-width="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjaZQ-pE7M79U_uwGu00juDnWj9hkISK46I9SEXBWeXqL5M5ID-Kp3yJlRU8QnwzKHdNigdoV28CQyT09KqKQbXKZEoSJe3Fxkixyu66Ag00m--AzZ_CeO82ddjQDC7rdiLCID778AKzLr5UpgrHek3niJz9V9ZDzIKcnyBf5Cz6f5kCzCEmI7b-h__og=s320"/></a></div>
L’Università di Roma Tor Vergata conferità questa mattina la laurea honoris causa in DAMS ad Ennio Morricone. Un riconoscimento accademico di grande prestigio per il settantaquattrenne maestro romano e per tutta la musica italiana, da qualche anno al centro di studi e di un dibattito più ampio da parte del mondo accademico. “Morricone – si legge nella motivazione – non è solo un grande autore di bellissime musiche che hanno caratterizzato tanti films di questi ultimi anni, ma è anche un compositore saldamente radicato nella musica colta contemporanea e nelle esperienze dell’avanguardia musicale non solo italiana”.<br><br>
<b>Maestro, non è la prima laurea honoris causa che riceve?</b><br><br>
Ne ho ricevuta una in Lingua e letteratura straniere dall’Università di Cagliari , e l’Università di Madrid mi ha insignito del titolo di Claustro universitario delle arti.<br><br>
<b>Che significato ha per lei la cerimonia di questa mattina?</b><br><br>
Si tratta, senz’altro della laurea più adatta e più giusta che potessero conferirmi. E poi, riceverla qui a Roma, nella mia città, mi rende orgoglioso.<br><br>
<b>Lei ha composto 400 colonne sonore in 41 anni di carriera: a cosa vorrebbe dedicarsi di più oggi? </b><br><br>
Il cinema è sempre la mia principale attività, i prossimi film saranno “Senso 45” di Tinto Brass e “Il Papa Buono” di Ricky Tognazzi, ma vorrei più tempo per comporre solo per me. Sto preparando un pezzo per il Festival di Ravenna, dal titolo “Voci dal silenzio”, che, in quell’occasione sarà diretto da Riccardo Muti con l’Orchestra della Scala.<br><br>
<b>
Come direttore d’orchestra nel suo curriculum figurano anche due Sanremo, nel 1964 e nel 1966. Guarderà quest’anno il festival?</b><br><br>
No, non lo guarderò perché vado a dormire presto. Feci Sanremo perché a quell’epoca lavoravo per la RCA e mi occupavo della cura dei pezzi di alcuni artisti. Tra questi mi ricordo Paul Anka che nel 1964 andò al festival e la RCA mi chiese di accompagnarlo.<br><br>
<b>Lei ha sempre privilegiato la sua ‘romanità’ anche nelle scelte lavorative, come ha fatto a non cedere mai alla tentazione di andare in America?</b><br><br>
Non mi sposterò mai da Roma. Pensi che una volta mi avrebbero persino regalato una villa, se avessi accettato di andare a lavorare negli Stati Uniti. Sono riusciti a portarmi lì per la nomitation ottenuta con “Malena”, il film di Tornatore. Ma sentivo che anche quella, la quinta nella mia carriera, non sarebbe stata la volta buona.<br><br>
Timisoara Pinto
Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-57504505636662101672022-02-17T22:06:00.006+01:002022-02-17T22:16:55.116+01:00Agelo Branduardi: "Ho rubato tante diverse marmellate, ma il pubblico mi ha sempre perdonato"<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEg4dST6jCm1pIqWTUt0c__dF9Rssz-5KVQBOoLyja0TcA1bZptuU872ma4bjz1fQHShfuiFUCyhCixImblr0RYsZ6Jsb0EmuQZwcVbE56poyrqYenHgdDMfK1zrIzjkbmNE9SEBDJ4Axtfj_HnR5lIZnrofeSR9wQRfv-788d6R915V_cdFtAXVIzfQDg=s1000" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; "><img alt="" border="0" width="320" data-original-height="573" data-original-width="1000" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEg4dST6jCm1pIqWTUt0c__dF9Rssz-5KVQBOoLyja0TcA1bZptuU872ma4bjz1fQHShfuiFUCyhCixImblr0RYsZ6Jsb0EmuQZwcVbE56poyrqYenHgdDMfK1zrIzjkbmNE9SEBDJ4Axtfj_HnR5lIZnrofeSR9wQRfv-788d6R915V_cdFtAXVIzfQDg=s320"/></a></div>
<b>Riprendiamo il cammino dove si era interrotto. Alla fine del 2019 era uscito un nuovo album, poi il tour bloccato per la pandemia. Come ha trascorso questo tempo sospeso e che effetto le fa ora tornare in teatro?<br><br>
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"Per un anno e mezzo non ho fatto praticamente nulla, non sono riuscito a suonare una nota, né ad ascoltare la mia musica preferita, Bach e Springsteen, per cui sono ripartito con grande emozione, ma anche con la speranza che le cose si possano sistemare in maniera definitiva. Il primo pensiero, guardando il pubblico, è bentornati alla vita".<br><br>
<b>Però ha scritto due nuovi brani durante il lockdown…</b><br><br>
"Sì, è vero, aver mantenuto una certa creatività anche in un momento così drammatico, non mi dispiace. Ho scritto “Kirie Eleison (Signore abbi pietà)” , e “Piccolo David”. Con il primo brano, pensavo di aver alzato un grido di dolore e invece la gente l’ha interpretata al contrario, come spesso succede. Gli artisti fanno delle cose e poi gli viene spiegato dal pubblico che è tutt’altro. Nel “Kirie” che è tutto in SOL minore, una tonalità triste, metto alla fine 15 secondi di SOL maggiore che invece è un accordo grande, pieno di speranza e il pubblico ha colto quello. “Piccolo David”, invece credo che uscirà per Pasqua perché si parla di “Alleluja”, un brano abbastanza sfrenato, pieno di gioia, non certo adatto ai momenti che abbiamo vissuto. Solo le uniche due cose che sono riuscito a fare".<br><br>
<b>
E li ascolteremo in questo tour, insieme ai brani dell’album “Il cammino dell’anima” con testi, come sempre a cura di sua moglie Luisa Zappa, tradotti e rielaborati dall’opera di Ildegarda di Bingen. </b> <b>Molti ragazzi sono affascinati dalla figura di Hildegard von Bingen, una vera icona. Nel 2012 è stata dichiarata dottore della Chiesa da papa Benedetto XVI. Lei cosa ha voluto cogliere della sua opera?</b><br><br>
"Io non la conoscevo, devo essere sincero l’ho scoperta per caso,. Mi interessava sapere se esistesse una donna che avesse scritto musica in passato e ho trovato Ildegarda. Una figura straordinaria: alla fine dell’anno Mille compare questa donna che preannuncia il Rinascimento, l’Umanesimo, sa fare tutto, scrivere parla da pari a pari con Papi e Imperatori, è un medico, una fitoterapista e, soprattutto, è una grande musicista. Ha fondato questo suo ordine in cui le suore interpretavano le sue musiche, le danzavano, vestivano semplici tuniche bianche e non avevano copricapo, che è una cosa incredibile per delle monache".<br><br>
<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgsEXUkn_4DAbOBRh7nrI2rCswRAbGFX6TtM31ge7NoSxBqzeE_nGNTCV0Un3ymw5QVV-hrM_NKDhrmI7044OtOgTOoMQ20hvNAO7ODkAmvnCdD7xEK3vyYEz_tENyBOF7BVzttEOYTHTs9k1aiYwkK-XpbXh3NVU9wwkRDO1VvjxX1EcvbkiqijIwgcA=s620" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; clear: left; float: left;"><img alt="" border="0" height="320" data-original-height="620" data-original-width="460" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgsEXUkn_4DAbOBRh7nrI2rCswRAbGFX6TtM31ge7NoSxBqzeE_nGNTCV0Un3ymw5QVV-hrM_NKDhrmI7044OtOgTOoMQ20hvNAO7ODkAmvnCdD7xEK3vyYEz_tENyBOF7BVzttEOYTHTs9k1aiYwkK-XpbXh3NVU9wwkRDO1VvjxX1EcvbkiqijIwgcA=s320"/></a></div><b>Cos’era la musica per Ildegarda nell’anno Mille?</b>
"Lei la chiama “Sinfonia”, ritiene che la musica sia la forma più alta forma di espressione, è l’arte più astratta che ci sia. Scrive sugli stilemi dell’epoca, ma poi, a volte, esula completamente dal momento storico. C’è un brano, che è quello che conclude il mio album, che si intitola “Generosa”, che potrebbe essere un’aria romantica. Aveva visto lontanissimo anche sui diritti delle donne, è una protofemminista di mille anni fa, già solo per il fatto di pensare un brano musicale in cui la donna viene chiamata “generosa”. E' fuori da ogni schema il termine generosa".<br><br>
<b>Della scena attuale, la cosiddetta musica che piace ai “giovani”, cosa la incuriosisce, cosa le piace e cosa non le piace.</b><br><br>
"Come sempre c’è il bello e il brutto. La musica di oggi a volte è un po’ inutile, ma non mi sento in grado di dare giudizi".<br><br>
<b>Nella seconda parte il concerto diventa antologico, con brani entrati nella memoria collettiva come “Cogli la prima mela” e soprattutto “Alla fiera dell’est, un tormentone attraverso le generazioni.</b><br><br>
"Nulla sarà risparmiato al pubblico. Io tengo molto alle cose che ho fatto e hanno avuto successo, a differenza di altri miei colleghi che le rifiutano, io no, vorrei averne fatte mille di Fiere dell’est! Mi garantisce un pochino di immortalità, perché i bambini che la cantano a scuola non sanno chi sia Branduardi, però il topolino lo conoscono, e questo vuol dire che il brano non mi appartiene più, è di tutti, è diventato patrimonio popolare. Poi, ragionevolmente, questi bambini la canteranno a loro volta ai loro figli, quindi diventa una catena di Sant’Antonio".<br><br><div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhpd0RBKMJ-oYZ3tti21rXOC51rRx5WQoIBXIi26Z97JJGdxfYY10E-7lYZQpO_dExAbBHoQYymmezbfjoLi-qscdQe-y6MBtyh6RHUJQkoKBtXfhNYt0jCFgn63d0UCmpG6meDmf3QvB4VKGFFiYO1RZC2hRvHGhMSb5S6a69czGIyUxZp2DOm8h2MlQ=s900" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; clear: right; float: right;"><img alt="" border="0" height="320" data-original-height="900" data-original-width="692" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhpd0RBKMJ-oYZ3tti21rXOC51rRx5WQoIBXIi26Z97JJGdxfYY10E-7lYZQpO_dExAbBHoQYymmezbfjoLi-qscdQe-y6MBtyh6RHUJQkoKBtXfhNYt0jCFgn63d0UCmpG6meDmf3QvB4VKGFFiYO1RZC2hRvHGhMSb5S6a69czGIyUxZp2DOm8h2MlQ=s320"/></a></div>
<b>Una musica del mondo, in cui sono confluite varie ispirazioni, comprese le musiche di tradizione popolare, la musica antica, sacra, il prog, non sempre ha tentato di replicare quel successo…</b><br><br>
“Se posso essere immodesto, la world music la praticavo quando ancora non esisteva, perché mi veniva naturale, io sono molto curioso. Dopo aver fatto studi musicali classici, mi piaceva andare ad ascoltare ciò che classico non era ritenuto, a torto o a ragione, e quindi soprattutto la musica popolare e quella antica che ai miei tempi non venivano insegnate. Ho fatto addirittura otto dischi di musica antica che si chiamano “Futuro antico” per vedere se per caso la crisi della musica occidentale che non ho inventato io, fosse risolvibile facendo un passo indietro, che significherebbe farne due avanti, poi questo non so se succede, ma in questo modo, pur sbagliando tante volte, sono andato in quella direzione. Io agisco soltanto per il mio istinto e per il mio piacere e so che quando il mio piacere e la mia sorpresa sono grandi, normalmente lo sono anche per il mio pubblico. Un pubblico fedelissimo che ha accettato anche delle cadute che posso aver fatto, perché sperimentando, toccando di qua e di là, rubando tante diverse marmellate, posso aver commesso degli errori, anzi senz’altro li ho commessi, però mi sono stati perdonati. Per cui, non posso che essere grato al mio pubblico".
Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-7080900110075296712021-10-31T22:06:00.012+01:002021-11-01T14:50:31.017+01:00Da una buona novella all'altra: De André nei panni di Pasolini<b>Con Dori Ghezzi e Francesco Giunta, in occasione dell'uscita dell'album "La buona novella" in siciliano</b><br><br>
<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0y_Ec6m34O4E-VcICLyYS4FaqacPRClbZmPeAMHnwjH2DP5xYsKqL6cRNgz2-Vyy19OK_6Mefho-9mUUnHze-Qardv1w4slVpupbREl7UK-7Tt09ZDGnJdtA2Mh1UxIOWxEllBPjMaggY/s1000/La-Buona-Novella-in-siciliano-front.png" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; "><img alt="" border="0" width="320" data-original-height="1000" data-original-width="1000" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0y_Ec6m34O4E-VcICLyYS4FaqacPRClbZmPeAMHnwjH2DP5xYsKqL6cRNgz2-Vyy19OK_6Mefho-9mUUnHze-Qardv1w4slVpupbREl7UK-7Tt09ZDGnJdtA2Mh1UxIOWxEllBPjMaggY/s320/La-Buona-Novella-in-siciliano-front.png"/></a></div>
<b>T.: Francesco Giunta ha tradotto, con la consulenza del linguista Giovanni Ruffino, un intero album di Fabrzio De André. Perché proprio “La buona novella”?</b><br><br>
F.G.: “La buona novella” si è innestata nella mia vita diventandone parte, avevo solo diciotto anni quando è uscita. La collaborazione di Ruffino e i consigli anche di un altro linguista, il professor Roberto Sottile, sono arrivati in una fase successiva di revisione e di verifica di ciò che avevo fatto. Ho scelto questo album di De André perché è stato un faro per me.<br><br>
<b>T.: Lei nel libretto, infatti, scrive: “Appartengo alla schiera di quanti sono convinti che l’opera di Fabrizio De André sia stata fondamentale nel suggerire loro la possibilità di essere e di diventare migliori rispetto a quanto previsto dal pensiero dominante ai loro tempi”</b><br><br>
F. G.: Mi aiutò a crescere, ne sono assolutamente convinto. Non vuole essere un giudizio positivo su me stesso, dico che è stato fondamentale poter essere migliori grazie al lavoro di De André . Così, ho sentito l’esigenza di riavvicinarmi a quelle parole che tanto avevano seminato dentro di me, rileggendole nella lingua con cui da anni ho scelto di esprimermi. <br><br><div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6F1r8q6ICDfq_j1zgNUBzhaD2vdW9Y6AbQkNVG9qSx0I0g8jXdkeP_nbK7D_0LvBAbh0u8VnjNEGsFeKr_1cWm7wd2PUlCfPIziY6-M5R4t4f1_q6tAgv5MlkveZ1AnISCHQvRx7trTRP/s2000/244894268_3069444033296317_1104128583245377288_n.jpg" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; "><img alt="" border="0" width="320" data-original-height="1500" data-original-width="2000" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6F1r8q6ICDfq_j1zgNUBzhaD2vdW9Y6AbQkNVG9qSx0I0g8jXdkeP_nbK7D_0LvBAbh0u8VnjNEGsFeKr_1cWm7wd2PUlCfPIziY6-M5R4t4f1_q6tAgv5MlkveZ1AnISCHQvRx7trTRP/s320/244894268_3069444033296317_1104128583245377288_n.jpg"/></a></div>
<b>T.: Prendiamo “Il testamento di Tito”, il testo si discosta molto dall’originale.</b><br><br>
F.G.: Sì perché un’opera come “La buona novella” non poteva essere tradita perché tradotta, era necessario riadattarla. Un altro esempio è “Il ritorno di Giuseppe”. De André canta: “Un asino dai passi uguali compagno del tuo ritorno”, io in siciliano non potevo usare “sciecco”, perché ha un’accezione negativa. Così l’asino è diventato “l’armaluzzo compagno a l’arsura”. Questo è stato il lavoro più delicato, cercare delle metafore alternative che non tradissero l’intenzione originale.<br><br>
<b>T.: E’ solo per una coincidenza anagrafica, perché “La buona novella” è l’album che ha segnato i suoi 18 anni o perché ha un significato particolare rispetto ad altri dischi di De André?</b><br><br>
F. G: Amo tutta l’opera di Fabrizio e questo è evidente, non ha neanche senso che io lo dica. Però credo che con “La buona novella” Fabrizio abbia raggiunto il suo apice, un lavoro di una sintesi e di una profondità uniche, è un disco fuori dal tempo. <br><br>
<b>T.: Dori Ghezzi, per lei è così?</b> <br><br>
D.G.: E’ incredibile come Francesco Giunta sia stato fedele nella traduzione e sia riuscito a dare alle parole scelte la sonorità che Fabrizio cercava. Il complimento che Leonard Cohen ha fatto a Fabrizio è stato quello: si è stupito per la fedeltà della traduzione e per la sonorità delle parole che usava. E questo è quello che ha fatto Francesco.<br><br>
<b>T.: Francesco cosa vuole aggiungere rispetto a quello che ha appena detto Dori Ghezzi sul suono dell’album?</b><br><br>
F.G.: Volendo tradurre senza tradire, è stato necessario rimanere fedeli, per quanto possibile, al suono originale. In tal senso, l’aver fatto ricorso solo al pianoforte e alle percussioni, laddove l’incedere e l’incalzare dei brani lo richiedeva, mi ha consentito di stare vicino all'impianto classico dell’orchestra utilizzata dal maestro Giampiero Reverberi nell’album di De André. Per quanto riguarda il testo e quindi la parola cantata, ho cercato di mantenere lo schema delle rime voluto da Fabrizio e quindi la rima baciata, la rima alternata o l’assonanza, dove ricorreva. Tutto questo evitando un uso meccanico di questo criterio.<br><br>
<b>T.: Possiamo dire che “La buona novella” sia l’album più pasoliniano di De André?</b><br><br>
D.G.: “Forse più che Pasolini, mi ricorda un altro autore, Josè Saramago che ha scritto “Il Vangelo secondo Gesù Cristo”, dove è evidente che anche lui si sia ispirato ai Vangeli apocrifi. E' impressionante come alcune frasi siano identiche, la cosa mi ha colpito moltissimo, e Saramago l’ha scritto dopo Fabrizio. Nessuno ha copiato da nessuno, non voglio dire questo, evidentemente entrambi si sono rifatti molto fedelmente ai Vangeli apocrifi. E’ incredibile come la loro visione sia molto vicina, nell’intendere la spiritualità e rispettare l’emblema femminile e “La buona Novella” è impostata, soprattutto sulla presenza di Maria”.<br><br>
<b>T.: “La buona novella” in siciliano con la pianista Beatrice Cerami e le quattro voci di Cecilia Pitino, Alessandra Ristuccia, Laura Mollica, Giulia Mei diventa, così, un’opera corale femminile.</b><br><br>
D.G.: La scelta di quattro donne, contrariamente al fatto che la voce sia soltanto maschile nell’originale di Fabrizio, arriva profondamente. <br><br>
F.G.: Ti dirò di più: le donne intorno a questo lavoro sono nove. In scena ci sarà una percussionista, poi c’è Maria Cristina Di Giuseppe che ha scritto una parte dei testi in italiano che faranno parte dello spettacolo teatrale, di cui sarà la regista, ci sarà un’attrice che li reciterà, e c’è Dori che le raccoglie tutte e che, dall’alto della sua affettuosa complicità, ci ha dato il coraggio per affrontare un progetto così grande.<br><br>
<b>T.: Qual è l’attualità de “La buona Novella”?</b><br><br>
D.G.: E’ quella, come Fabrizio ha fatto, di continuare a salvaguardare gli idiomi locali che poi sono idiomi internazionali, secondo me. Fabrizio sarebbe stato un fanatico di questa operazione.<br><br>
<b>T.: Qual era il rapporto di De André con il dialetto siciliano, con la Sicilia?</b><br><br>
D.G.: Ma sai, lui ha cantato in napoletano, piemontese, genovese, in lombardo addirittura, è uno che non si è mai tirato indietro. Non l’ha solo detto, l’ha sempre fatto. Poi, il siciliano è comprensibile a tutti, lo sentiamo circolare, contrariamente al lombardo che non lo conosce più nessuno e questa è una carenza enorme. <br><br>
G.G.: Questo problema della perdita dei dialetti è grave, un grande linguista ha detto “I dialetti sono gli affluenti della lingua italiana”. Senza i dialetti la nostra lingua sparirà. Mantenere gli idiomi non è un richiudersi, ma è mantenere viva questa ricchezza, questa grande varietà.<br><br>
<b>T.: Dori, qual era invece il rapporto tra De André e Pasolini?</b><br><br>
D.G: Non so se Pasolini ascoltasse Fabrizio, nessuno me ne ha mai parlato. Però Fabrizio ha letto molto Pasolini e abbiamo libri con i suoi appunti, sottolineature, annotazioni, commenti e ci sono delle cose molto interessanti e mi piacerebbe fare un lavoro su questa sua ricerca. <br><br>
<b>T. : Forse anche spunti per canzoni?</b><br><br>
D.G.: No, sono commenti dove lo trovi d’accordo o in disaccordo.<br><br>
<b>T.: Un esempio?</b><br><br>
D.G.: C’è un libro soprattutto, quello che è stato pubblicato postumo.<br><br>
<b>T.: “Petrolio”?</b><br><br>
D.G. : Sì, Fabrizio sosteneva che se Pasolini fosse stato in vita non avrebbe permesso di pubblicarlo. Lo trova un po’ snaturato, non giudica tanto Pasolini, ma l’operazione di libertinaggio degli editori. Si è un po’ messo nei panni di Pasolini. <br><br>
<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6_yDIcOKPyWMuUBnzKzRHhdMjketfVAjQNimPNH4EJF4umZi1Y8a9ZOEb0A4y6Pl-IYKIaH3CrTCVoXJWMHiRgumzpOr7SwQeH6985pyCTPJ7aIZD5fSGpl_nltzNbRekXpGTZZyGnUA8/s2000/245015144_3069444659962921_4102036825134767131_n.jpg" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; "><img alt="" border="0" width="320" data-original-height="1500" data-original-width="2000" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6_yDIcOKPyWMuUBnzKzRHhdMjketfVAjQNimPNH4EJF4umZi1Y8a9ZOEb0A4y6Pl-IYKIaH3CrTCVoXJWMHiRgumzpOr7SwQeH6985pyCTPJ7aIZD5fSGpl_nltzNbRekXpGTZZyGnUA8/s320/245015144_3069444659962921_4102036825134767131_n.jpg"/></a></div>Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-78094935385146137872021-05-02T23:37:00.010+02:002021-05-03T10:57:40.373+02:00I mondi della cultura e dello spettacolo. Dalla spedizione dei Mille (Bauli) a Unomaggio Taranto<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4aFPjhHp_zgI_38HMUIavPD8Y_xJ23zrTklQyCkLEY-xu0zdycbDeR7W5ZFlliP3THk1fGFHy4G1c2HCY9WiRkxJSzwF6bD9V2adL_J4gD_vvWicD9sVPhm1KyW4B0ZJdOq0kEjKRgs4R/s1161/unomaggio.jpg" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; "><img alt="" border="0" width="320" data-original-height="607" data-original-width="1161" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4aFPjhHp_zgI_38HMUIavPD8Y_xJ23zrTklQyCkLEY-xu0zdycbDeR7W5ZFlliP3THk1fGFHy4G1c2HCY9WiRkxJSzwF6bD9V2adL_J4gD_vvWicD9sVPhm1KyW4B0ZJdOq0kEjKRgs4R/s320/unomaggio.jpg"/></a></div>
<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPRcOVwIdKmWJubDyHYIbdRlKy-vx8fZO0RcQuRGtWGFGvuQcdtVHxy97QW_SxdW8uaxkkfWkKWPE2r502pwcQ-iSKmwqAfcLy-6nc8b5nfSlwa4tz_0S2ja7Z97hWBcKL2LQE1m2t2eKP/s680/bauli.jpg" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; "><img alt="" border="0" width="320" data-original-height="679" data-original-width="680" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPRcOVwIdKmWJubDyHYIbdRlKy-vx8fZO0RcQuRGtWGFGvuQcdtVHxy97QW_SxdW8uaxkkfWkKWPE2r502pwcQ-iSKmwqAfcLy-6nc8b5nfSlwa4tz_0S2ja7Z97hWBcKL2LQE1m2t2eKP/s320/bauli.jpg"/></a></div>
“La spedizione dei Mille” Bauli a Piazza del Popolo è un titolo degno di un’impresa risorgimentale. Ci pensavo mentre ero lì, giorni fa, il 17 aprile per l'esattezza. Poi ieri, mentre tutti parlavano del Concertone del Primo Maggio, io seguivo la lunga diretta facebook di “Unomaggio Taranto” organizzata dal Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti. Un’edizione senza palco e senza musica, ma aperta alla riflessione sui temi del lavoro, della salute, dei diritti, del clima, dell’ambiente e della precarietà del settore dello spettacolo a cui hanno partecipato, come ogni anno, associazioni e attivisti da tutta Italia e i tre direttori artistici Diodato, Roy Paci e Michele Riondino. Roy Paci ha usato subito un’immagine da “Quarto stato” (il quadro icona di Pellizza da Volpedo per il quale la questione sociale è un tema imprescindibile dell’arte), dicendo che lavoratori dello spettacolo e i braccianti sono uniti nella stessa marcia, quella degli “invisibili”. <br><br>
La pandemia ha fatto emergere la questione degli “invisibili”, anche quelli della cultura, che lavorano dietro le quinte, nei camerini, sui furgoni, al telefono, al volante, su una scala, quelli che portano i bauli, che organizzano, gli uffici stampa, i fonici, e tutto un mondo di talenti artistici che vivono tra passione e precarietà, un lavoro intermittente, indipendente, senza diritti e senza tutele.
“Dopo tanti anni dobbiamo dedicarci a loro – ha detto Roy Paci. - Questo limbo insopportabile è anche dovuto a una mancanza di risposte e interlocutori. Bisogna uscire dal cantuccio viscido dei non diritti”.
I lavoratori dello spettacolo chiedono una ripartenza che consenta a tutti, di ripartire, con aiuti concreti per tutti gli spazi culturali, dal più grande e importante al più piccolo e sconosciuto. Chiedono un tavolo interministeriale che coinvolga lavoratrici e lavoratori del settore dello spettacolo e cultura con il Ministero del Lavoro, il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, per una riforma strutturale necessaria di tutto il settore. A piazza del Popolo Daniele Silvestri mi aveva detto: “Quello che è successo è un’ecatombe, quindi ripartire significa dover essere aiutati a farlo. Questo settore è una fonte di pil e di indotto a cui lo Stato sta di fatto rinunciando. Chiediamo al ministro Franceschini di finire di ascoltarci, perché un po’ già l’ha fatto”.<br><br>
Tutti quelli con cui ho parlato hanno indicazioni precise su come procedere, vorrebbero poter portare la loro esperienza e la loro testimonianza a quel tavolo interministeriale. Quello che molti denunciano è un sistema che “premia” gli interessi dei grandi enti, delle grandi aziende e delle fondazioni, ma non tutela lavoratrici e lavoratori, specie quelli indipendenti.
In questa edizione di “Unomaggio Taranto”, Roy Paci, che ha abbracciato il sindacalista Abubakar Sumaoro e la sua idea di “marcia degli invisibili”, ha spiegato:
“Quando parlo di invisibili, parlo di una realtà che conosco fin da bambino perché sono figlio di contadini e so quello che accade nelle campagne. Gestisco da venticinque anni un’azienda che dà da mangiare a venticinque persone, tra operatori e musicisti, che si sono ritrovati di fronte a realtà assurde, senza avere la possibilità di godere neanche di quei pochi contributi previsti, perché c’è sempre stato un mercato nero difficile da inghiottire e l’hanno inghiottito soprattutto quelli che sono stati da sempre schiavizzati nelle campagne o nelle grandi strutture capitalistiche e importanti dello show business nazionale”.<br><br>
E’ per questo, hanno spiegato i tre direttori artistici, che anche quest’anno il concerto di Taranto è saltato: “Ci manca molto quel palco – ha detto Diodato - , ma abbiamo deciso di non relegare tutto a una diretta streaming con le esibizioni degli artisti, per solidarietà e rispetto nei confronti di tutti quei lavoratori che vivono una situazione insostenibile e inaccettabile. Vogliamo dare voce a coloro che restano nel backstage, i professionisti dietro le quinte che ci permettono di fare il nostro lavoro”.<br>
Michele Riondino, rivolgendosi a chi il primo maggio ha fatto scelte diverse, ha aggiunto: “Quei lavoratori dello spettacolo dovrebbero avere uno scatto di dignità e dire che lo streaming non è la soluzione, è una toppa che è peggio del buco, perché lo streaming non può sostituire uno spettacolo vero con il pubblico”. Riondino non ce l’ha solo con lo streaming e con gli artisti che hanno aderito ad altre manifestazioni, molti dei quali sono stati anche sul palco di Taranto più volte, ma anche con i sindacati: “Ci sarebbe da fare uno sciopero generale contro Cgil Cisl e Uil perché si occupano solo di prodotto e attività produttiva. “Come comitato siamo nati per combattere l’ostracismo dei sindacati. Cgil Cisl e Uil oggi festeggiano senza considerare la precarietà del lavoratore dello spettacolo, senza considerare che come main sponsor di quella manifestazione c’è l’Eni, facendo della coerenza un elemento che manca nel sindacalismo italiano. Noi non siamo mai stati contro il sindacalismo, ma contro questo tipo di sindacalismo, che favorisce il sistema produttivo industriale più che il lavoratore, quindi tradisce addirittura il proprio statuto”. <br><br>
Tornando al lavoratore invisibile e precario, Annarita Masullo di “La musica che gira” ha detto: “Non ci conoscono, chi deve legiferare non conosce nemmeno il vocabolario del nostro settore, non conoscono la differenza tra un manager, un tecnico altamente specializzato, uno che si occupa di booking. Si parla sempre di riaperture di cinema, teatri, musei, ma in tanti paesini d’Italia, dove tutto questo non c’è, spesso c’è un piccolo live club che è un presidio culturale, è la possibilità per tanti giovani d’aggrapparsi a qualcosa. Siamo completamente deregolamentati, e in un paese come l’Italia che ha inventato il concetto di economia culturale, tutto il mondo ci guarda per l’arte e la cultura, è la nostra caratteristica suprema, non considerare questo è un tradimento della nostra identità e del nostro futuro”.<br><br>
Molte le realtà piccole e indipendenti, l’anello più debole della catena. “Il covid ha scoperchiato il vaso di Pandora – dice Marzia Ercolani, attrice. Il sistema spettacolo è una giungla fatta di lavoro in nero, di tantissimi lavoratori che, per questo, non hanno maturato le giornate lavorative e quindi non hanno potuto ottenere nessun ristoro e, soprattutto, la grande discriminazione tra lavoratori di serie A e di serie B, tutto il circuito mainstream, pur tra mille difficoltà, è riuscito a ripartire, la televisione, i teatri stabili, non sono ripartiti al meglio, ma hanno potuto riaprire il percorso lavorativo, grazie a sovvenzioni pubbliche o private. Noi vogliamo che tutti lavorino, ma abbiamo bisogno di farlo in sicurezza”. <br>Giada Lorusso, attrice diplomata al Piccolo di Milano: "Chiediamo un sistema di tutele e di welfare che oggi non c'è, contro il lavoro nero. Vogliamo essere riconosciuti come tutti gli altri lavoratori, non vogliamo più scendere in piazza ed ‘esibire’ con il canto, la danza, il nostro lavoro. Noi facciamo quel lavoro che serve alla cultura e questo dovrebbe bastare". <br><br>
Hanno nomi, volti, sigle, tante sigle e avamposti di una realtà frammentata per cui quando si dice “il mondo dello spettacolo”, sarebbe più corretto parlare di “mondi dello spettacolo”. “Le misure pensate per la pandemia non sono arrivate a tutti, non sono arrivate fin dove dovevano arrivare – dice un rappresentante della rete Risp (Rete intersindacale professionisti dello spettacolo e della cultura). I lavoratori guardano al modello francese: “Il sistema deli Intermittents, che tutela il lavoratore culturale in Francia, prevede che di anno in anno si possa accedere allo status di “intermittente”, perché il nostro è un lavoro discontinuo, ma non siamo pagati quando studiamo, creiamo o facciamo le prove, abbiamo la paga solo per quando andiamo in scena”.
Bisogna immaginare una riforma che parli di reddito, ammortizzatori sociali, di un contratto nazionale unico di diritti e tutele per un settore che non ha mai avuto garanzie, nemmeno prima della pandemia. Dopo un anno ci siamo stufati che i nostri unici interlocutori siano i nostri datori di lavoro, e i nostri datori di lavoro sono, dal pubblico al privato, quelli che nella stagione 2019-20-21 hanno preso il fus, quelli a cui Franceschini ha erogato un extra fus senza neanche il paletto del mantenimento occupazionale: hanno preso i soldi e non sono stati obbligati a riassumerci. Io non mi voglio reinventare, voglio continuare a fare il mio lavoro con più tutele e diritti”.<br><br>
In questa indagine nei “mondi dello spettacolo”, Maurizio Cappellini rappresenta invece “Bauli in piazza”, i lavoratori degli eventi dal vivo musicali, aziendali e fieristici: “Con la riapertura per noi cambia molto poco, i numeri consentiti non rendono sostenibili i grandi eventi, diverso sarebbe creare una capienza sulla base dei metri quadri, di dati certi, stabiliti da ogni commissione provinciale di vigilanza perché dare un numero che sia una percentuale indipendente da tutto, non ha molto senso e non crea i presupposti per un investimento economico. Quindi, poiché a livello imprenditoriale, nessuno organizza eventi in perdita, per noi cambierà poco o nulla”. Si spera che questo sia uno dei punti di analisi e approfondimento dei vari tavoli interministeriali che ci saranno. “Siamo in attesa che questi criteri vengano dichiarati e stabiliti. Per carità, ben vengano artisti che fanno eventi per mille persone all’aperto, sono virtuosi che non ci guadagnano nulla e lo fanno sostanzialmente per muovere i lavoratori e l’economia di mercato dello spettacolo, ma è un’aspirina, non risolve il problema. Questo ambiente va totalmente rianimato e foraggiato”. Rispetto ai lavoratori dei circuiti piccoli e indipendenti, quelli che lavorano per le grandi produzioni dovrebbero essere avvantaggiati. “Certamente sì – aggiunge Cappellini – siamo una realtà abbastanza sfaccettata, per cui dovremmo fare chiari riferimenti alle parti datoriali di cui stiamo parlando. Alcune sì e alcune no. Felicissimo per chi ha preso del denaro, perché credo che avere un’imprenditoria in salute sia comunque una speranza per il futuro. Di contro, tutto quella che è la parte ‘tecnica’, banalmente di manodopera, chiamala come vuoi, non ha avuto niente di tutto ciò, se non qualche ristoro o sostegno come si chiama col nuovo decreto, abbastanza casuale. Una delle nostre richieste è che sia un sostegno strutturato perché non è possibile non sapere cosa succederà di te”. Non spetterebbe al datore di lavoro che ha ricevuto l’indennizzo, trasferirlo poi alla manodopera? “Io sono un libero professionista e questo discorso per me non vale, ma sono d’accordo conte, qualcuno l’ha fatto, altri no, ma qui si entra nella coscienza dell’imprenditoria. E’ una delle cose che abbiamo lamentato nei confronti del ministero. Ci siamo sentiti rispondere “Noi i finanziamenti li diamo, ma dove vanno a finire non possiamo saperlo. Ecco, non mi aspetto una risposta così dalle istituzioni, no?” Chi ti ha dato questa risposta? “L’ho ricevuta più volte all’interno del ministero della cultura”.
Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-65271834077041486402021-03-12T17:55:00.031+01:002021-03-15T19:13:36.803+01:00“La musica triste mi rende immensamente felice” (Astor Piazzolla, Mar del Plata 11-03-1921 - Buenos Aires 4 luglio 1992)<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSVz8RmysBFQDewBXURR3TdS25HP8cgbePzaJWuNgDN9jKMyajeP5ssOkSqw9eN0OpduQ6CezhBdkBz7RiUC_xaYU6_99JGSpbvwyXg7YEEuCxOPnrYr2qZInV27BNkdR714gP6rKs07pA/s640/cover+piazzolla.jpeg" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; "><img alt="" border="0" height="320" data-original-height="640" data-original-width="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSVz8RmysBFQDewBXURR3TdS25HP8cgbePzaJWuNgDN9jKMyajeP5ssOkSqw9eN0OpduQ6CezhBdkBz7RiUC_xaYU6_99JGSpbvwyXg7YEEuCxOPnrYr2qZInV27BNkdR714gP6rKs07pA/s320/cover+piazzolla.jpeg"/></a></div>
<b>“Il tango evapora, si volatilizza, arriva il bolero, il boogie woogie, arriva il rock, e automaticamente un tango muore perché non si balla più.
Ma al contempo nasco io”</b><br><br>
E’ un’intervista inedita di Astor Piazzolla tratta del documentario di Daniel Rosenfeld, “Piazzolla, la rivoluzione del tango”, che uscirà in Italia con la riapertura delle sale cinematografiche. La vita del musicista italo-argentino raccontata con riprese in Super8, fotografie, nastri vocali, conservati negli archivi della famiglia Piazzolla. In tutto il mondo si celebra il centenario della nascita del musicista che ha saputo trasformare il tango in un linguaggio universale, come spiega Maria Susanna Azzi autrice del libro “Astor Piazzolla, una vita per la musica” , tradotto in 5 lingue e pubblicato in Italia da Sillabe editore.<br><br> <b>
Maria Susana Azzi com'è avvenuto il suo incontro con la musica del maestro del tango d’avanguardia?</b><br><br>
Come antropologa culturale trovo che il tango sia una finestra incredibile sull’emigrazione europea in Argentina, cosa che poi mi ha permesso di conoscere non solo la storia, i processi sociali, culturali, la politica e l’economia, ma anche la musica e il ballo. Attraverso le arti era inevitabile arrivare ad Astor Piazzolla. <br><br>
<b>Una biografia realizzata dopo aver intervistato 260 persone. L’edizione italiana in cosa si differenzia dalle altre?</b><br>
<br>Una galleria fotografica molto più completa di altre edizioni pubblicate in inglese dalla Oxford University Press, in spagnolo, coreano, giapponese e polacco e contiene anche degli omaggi da parte di Salvatore Accardo, Milva, Pino Presti, Gianni Mestichelli, Daniel Hugo Piazzolla, il figlio del maestro, e di Walter Santoro, presidente della fondazione internazionale Carlos Gardel.<br><br>
<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhu8RMShlJi7N0gidGti2Y9SIKEp3w6lWsEiXjfGA102P2BvjxTdoM8pIrDt9kAT2Uk_qkXk91z9TErB7Psr7LB-__fzS0REuOu9c5Bhg41b2Z3g8-Ey2fQn39u8H_KZrpq4QOKlYUowA23/s2709/piazzolla+locandina.jpg" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; clear: left; float: left;"><img alt="" border="0" height="320" data-original-height="2709" data-original-width="1161" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhu8RMShlJi7N0gidGti2Y9SIKEp3w6lWsEiXjfGA102P2BvjxTdoM8pIrDt9kAT2Uk_qkXk91z9TErB7Psr7LB-__fzS0REuOu9c5Bhg41b2Z3g8-Ey2fQn39u8H_KZrpq4QOKlYUowA23/s320/piazzolla+locandina.jpg"/></a></div><b>Il sogno di Piazzolla era diventare un compositore di musica sinfonica ed è lui a raccontare il suo primo incontro con la musica in un’intervista del 1976: “<i>Avevo l’età di nove anni, quando mio padre arriva a casa con uno strumento con una grande custodia. Era un bandoneon, un bandoneon a New York nel 1930. Io non sapevo nulla sul tango, ma io ero affascinato da un uomo che suonava il pianoforte nella casa accanto, era un ungherese allievo di Serjei Rachmaninov e io ascoltavo Bach tutta la giornata. Passavo il giorno accanto alla finestra, invece di giocare, per sentire quell’uomo meraviglioso suonava Bach e così ho finito col suonare il tango come se si trattasse di Bach</i>”.
La fisarmonica ha un suono acido, tagliente, è uno strumento molto vivace. Il bandoneon ha un suono vellutato, religioso. E’ stato costruito per suonare musica triste, diceva Piazzolla - Questo lo rendeva ideale per il tango, con i suoi forti elementi di nostalgia e malinconia. La fisarmonica con il suo timbro allegro, non renderebbe giustizia all’essenza della nostra musica. Al posto di un giocattolo, Piazzolla riceve una scatola magica che segnerà per sempre la sua vita...</b><br><br>
“Piazzolla bambino rimase molto deluso perché come regalo si aspettava una mazza da baseball. Con questo dono del bandoneon, strumento musicale, ma anche simbolo culturale, il padre ha voluto dirgli: ‘Sentiti argentino, non sentirti immigrato senza radici come mi sento io’.”<br><br>
<b>Maria Susana Azzi, Piazzolla disse che "La cumparsita" era il peggiore dei tanghi, nel suo libro lei scrive che inserendo nel suo gruppo strumenti come l'organo Hammond, il flauto, la marimba, il basso elettrico, la batteria, le percussioni, la chitarra elettrica, voleva creare uno “scandalo nazionale”, che gli argentini non erano pronti per le “creazioni audaci”. Nel docufilm di Daniel Rosenfeld, Piazzolla difende il suo tango dagli attacchi dei tradizionalisti. Si sentono gli ascoltatori di un programma radiofonico che lo chiamano “killer”, “degenerato”. Era il 1960 e Piazzolla con molta ironia risponde “They made me popular”. Poi racconta di un taxi a Buenos Aires che non accetta la sua corsa e gli grida “comunista!” Insomma, un trasgressore, senza mai smettere di essere un tanguero, Piazzolla voleva trasformare il tango in qualcosa di più universale, ma per molti anni nel suo paese non fu capito.</b><br><br>
Astor Piazzolla è il prodotto di una tradizione e, al tempo stesso, rappresenta la rottura di quella tradizione. Piazzolla ha rotto il paradigma del tango e i tradizionalisti non l’hanno mai perdonato. Nelle sessioni di registrazione a Parigi, nel 1955, Piazzolla adottò l’abitudine di suonare il bandoneon in piedi, con una gamba appoggiata ad una sedia a dispetto di tutte le convenzioni. ‘Non riuscivo a vedere i musicisti al mio stesso livello’. In un’altra occasione ha dichiarato: ‘Dovevo sentirmi al di sopra di loro’. Da quella posizione poteva guardare e dirigere l’intera orchestra. Non gli era mai piaciuto suonare il suo strumento seduto, gli ricordava molto una signora anziana che fa la maglia. ‘Penso anche che balliamo insieme io e il bandoneon” avrebbe detto anni dopo. Quella postura simboleggiava il mondo che stava cercando di rinnovare. Suonare in piedi era la sua dichiarazione di indipendenza. La lotta in argentina tra i piazzollisti e gli antipiazzollisti è durata decenni. Promotore di un profondo rinnovamento della muscia del tango, Piazzolla era in continua evoluzione e il suo lavoro rifletteva Buenos Aires, il rumore della società contemporanea e l’intera gamma delle emozioni umane. Venerato e insultato, è morto nel 1992, oggi è considerato una delle glorie della cultura argentina.<br><br><div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhzzlzrFiyqUpEfeYDgu-8He696E3HP0lwn9RYmZwF3Rq21DEixZtmS2NaKQ47BLtYpRb85aMKhZW-n_sbo7cAZP1k7jUCK4FOgvsOnbmK_ItvFK8rvIAqE9ke6isyracA2H46kwD0dSDEW/s493/piazzolla+e+mina.jpg" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; clear: right; float: right;"><img alt="" border="0" height="320" data-original-height="493" data-original-width="372" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhzzlzrFiyqUpEfeYDgu-8He696E3HP0lwn9RYmZwF3Rq21DEixZtmS2NaKQ47BLtYpRb85aMKhZW-n_sbo7cAZP1k7jUCK4FOgvsOnbmK_ItvFK8rvIAqE9ke6isyracA2H46kwD0dSDEW/s320/piazzolla+e+mina.jpg"/></a></div>
<b>Maria Susana Azzi, Astor Piazzolla ha introdotto nel tango nuovi elementi armonici e ritmici, qual è la sua modernità?</b><br><br>
E’ molto difficile fare un tango nuovo senza l’influenza di Piazzolla. La sua musica è una fusione intelligente tra il tango, il jazz e la musica classica contemporanea. Da ragazzo aveva vissuto a new York e lì ascoltava il blues, il ragtime, il klezmer. I suoi idoli musicali sono stati Bach, Béla Bartók, Stravinsky, Vivaldi, Hindemith, Ravel. La sua melodia è pucciniana e, guarda caso, Puccini è nato a Lucca e i nonni materni di Piazzolla sono nati a Villa Collemandina, in provincia di Lucca”.<br><br>
<b>Toscani di Massa Sassorosso dove nel 2013 è stata inaugurata piazza Astor Piazzolla e i nonni paterni erano di Trani in Puglia. L’Italia amava e ama Piazzolla. Astor Piazzolla amava l’Italia?</b><br><br>
“Piazzolla amava l’Italia, quando si trasferì dall’Argentina all’estero per la seconda volta, da adulto, ha scelto l’Italia e ha vissuto a Roma. Si sentiva italiano, nel mangiare, nel bere, adorava le donne, i film e la musica italiana. E’ tornato in Italia tante volte, è stata la sua collaborazione con Milva che l’ha reso famoso in Italia. La storia di Piazzolla è anche una storia simbolo dell’emigrazione italiana. Mi hanno chiesto tante volte se Piazzolla fosse italiano, era un italo-argentino che come tanti di noi, aveva l’Italia nel cuore. E’ la nostra seconda patria”.<br><br>
<b>La sua casa romana era in via dei Coronari, ha collaborato con Mina e Milva e, nel 1974, ha scritto e inciso uno dei suoi brani più celebri, “Libertango”, proprio in Italia. Con Pino Presti al basso elettrico, Tullio De Piscopo alla batteria e percussioni, Andrea Poggi, ai timpani e alle percussioni, Filippo Daccò alle chitarre, Felice Da Vià al pianoforte e organo, Giovanni Zilioli, organo e marimba, il violino di Umberto Benedetti Michelangeli, la viola di Elsa Parravicini, il violoncello di Paolo Salvi, il flauto contralto di Marlaena Kessick e il flauto soprano di Giann Bedori e Hugo Heredia. Libertango è un capolavoro inciso dalle orchestra di tutto il mondo, è diventato un successo anche nella versione elettropop di Grace Jones, è un brano che quando parte non può lasciarci indifferenti, in qualche modo risveglia qualcosa in tutti noi. Che pensava Piazzolla di Libertango?</b><br><br>
"E’ stata una rivoluzione anche per lui, pensava alla libertà, infatti le parole di Horacio Ferrer parlano di libertà, quella libertà con responsabilità che ha sempre cercato Astor Piazzolla".<br><br>
<b>A Cuba, un giornalista gli chiese: lei esprime in musica ciò che non può dire in Argentina? Ma lui, che definiva la sua musica rivoluzionaria, non rispose.</b><br><br>
“Glielo impedì il suo manager, chiudendogli il microfono. Piazzolla non è mai stato un animale politico, è stato soltanto un musicista tutta la sua vita, fino alla fine”.
<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3-cyxKC3LTJKT4cJ_0E_aNk-OJElI_DBeIMX4Rh5OMQRMhYvgEHlNBnKpW2ZQ67WKQlniZ63S_4abJMU44ETuOBF1rpy3572R_NNvW0rWSQVpRA1T9LCYG4_0AeoFsk3_B1OzxVLKf90V/s270/gracejones_5.jpg" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; "><img alt="" border="0" height="320" data-original-height="270" data-original-width="220" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3-cyxKC3LTJKT4cJ_0E_aNk-OJElI_DBeIMX4Rh5OMQRMhYvgEHlNBnKpW2ZQ67WKQlniZ63S_4abJMU44ETuOBF1rpy3572R_NNvW0rWSQVpRA1T9LCYG4_0AeoFsk3_B1OzxVLKf90V/s320/gracejones_5.jpg"/></a></div>
<br>Timisoara Pinto<br><br><a href="https://www.raiplayradio.it/audio/2021/03/PRIMA-FILA---Compie-50-anni-la-canzone-4-marzo-1943-di-Lucio-Dalla-a4f4f8e8-d8ae-4f49-9367-018b67846ca2.html" target="_blank">Il servizio a "Prima fila" su Radio1</a>
Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-44772741194654606052021-03-08T14:21:00.006+01:002021-03-08T15:26:42.597+01:00Sanremo 2021. La tua banda suona il rock... in un’eterna ripartenza<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcEMP5hb7rwysbXhJyV_hweYjoWOpmQnYriKNi2PZmAHGBhqZ6m5IjYX1JWcBx0dsGm-KiBy5yBv3T-tin-zk7P1AqmJvzauSOF2wiu_ESRuggT3DgkH5REq5POgoV-IOF4JYzrQ66LMST/s1400/Ev4PqApXAAI5GUG.jpeg" style="display: block; padding: 1em 0; text-align: center; "><img alt="" border="0" width="320" data-original-height="933" data-original-width="1400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcEMP5hb7rwysbXhJyV_hweYjoWOpmQnYriKNi2PZmAHGBhqZ6m5IjYX1JWcBx0dsGm-KiBy5yBv3T-tin-zk7P1AqmJvzauSOF2wiu_ESRuggT3DgkH5REq5POgoV-IOF4JYzrQ66LMST/s320/Ev4PqApXAAI5GUG.jpeg"/></a></div>E’ appena finita la settimana in cui tutto si sanremizza: la musica, la tv, i giornalisti, i gusti, le parole.
Sanremo è un grande rito nazionalpopolare e tutto viene riparametrato all’internodi quel recinto. Un esperimento di psicologia sociale, oltreché di comunicazione di massa. "Rivoluzione” riferito ai Maneskin, un termine utilizzato da uno dei maggiori quotidiani e intorno al quale giustamente si è scatenato il dibattito sui social, risuona troppo sbilanciato, eccessivamente ottimistico, almeno così arriva ai tanti che guardando Sanremo a distanza, al di fuori del meccanismo festivaliero, non sono travolti dallo stesso entusiasmo e neanche lo capiscono.
Per il Giornale Radio ho trasmesso il commento a caldo del critico Stefano Mannucci, grande penna del giornalismo musicale, che ha dichiarato: “I Maneskin hanno ribaltato l’Ariston, hanno portato quell’energia che manca ovunque nel paese. La loro vittoria certifica l’approdo del rock italiano al tavolo importante della musica. Il loro brano, dedicato a un professore che diceva solo “State zitti e buoni”, alla vigilia del ritorno di tantissimi studenti alla didattica a distanza, può essere interpretato come un segnale importante. E’ il rock italiano che dice qualcosa di sensato”. Ecco quello che ci è mancato soprattutto, la reazione del pubblico in sala, la standing ovation sull’intonazione e il possesso del microfono da parte di Orietta Berti, 77 anni e senza ear monitor. Avrei voluto vedere il pubblico, se davvero si sarebbe scatenato sui Maneskin, perché quello che riempie le poltrone dell’Ariston è un pubblico di età medio-alta, insomma una fascia anagrafica diversa da quella che con il televoto ha decretato la vittoria del gruppo romano. E’ chiaro che il termine utilizzato è una metonimia, dove l’Ariston sta per “pubblico che guarda Sanremo da casa” (quest’anno l’unica modalità possibile peraltro) quindi, il ribaltamento a cui allude Mannucci, riguarda il coinvolgimento di un pubblico che si è avvicinato alla musica attraverso i social e i talent tv. E’,infatti, con il televoto e la Sala Stampa, che i Maneskin hanno ribaltato la classifica: dopo le prime due serate erano quindicesimi nelle preferenze della giuria demoscopica, (quella composta da 300 persone, un campione statisticamente rappresentativo selezionato tra abituali fruitori di musica). Alla fine della terza serata, i Maneskin erano decimi con la cover di “Amandoti” dei CCCP, eseguita con il loro talent scout Manuel Agnelli, e grazie al voto dell’orchestra del Festival. Con il voto della sala stampa, i Maneskin sono risaliti al quinto posto e, infine, giornalisti accreditati e televoto sono le due giurie che, nella terna finale, hanno consegnato leone e palma d’oro alla band romana. Sono i risultati del televoto che hanno fatto gridare al miracolo. Nel Sanremo della pandemia, il pubblico degli adolescenti esulta e si commuove per il trionfo dei Maneskin, “Zitti e buoni” è un pezzo energico, un serenata sfrenata al "chiaro di luna" (Maneskin in danese) che incarna la voglia di urlare di tanti ragazzi, in questo anno difficile per la loro crescita, ragazzi che si sentono improvvisamente rappresentati da un festival che ha appena compiuto 71 anni. Collezionano like e visualizzazioni, come del resto i secondi Fedez e Michielin e il terzo classificato, Ermal Meta. L’equazione “forti sui social, forti a Sanremo” quest’anno ha funzionato, ma sono il coprifuoco, la socialità filtrata dagli smartphone, che hanno rivoluzionato la classifica. Decisivo è stato il voto di quella fascia d’età,la stessa o poco meno, di Victoria, Damiano, Ethan e Thomas, che sono belli, ammiccanti e sexy e si scatenano cantando "Siamo fuori di testa". Da un punto di vista musicale, rivoluzionaria è stata la vittoria di un brano che strizza l’occhio ai canoni trasgressivi del glam-rock e non un brano rap e o trap, ad esempio. Quello che era rivoluzionario fino all’anno scorso per stampa e addetti ai lavori, improvvisamente non lo è più? Insomma, la vera notizia è che ha vinto la trasgressione tradizionale delle rockband, hanno vinto le chitarre (per il mainstream sembrava che dovessero sparire) e non la moda dell’autotune. Togliete l’autotune dal bel pezzo di Madame (la mia preferita insieme a La Rappresentante di Lista e Colapesce/Dimartino) e apprezzerete meglio anche quello che dice in “Voce”, che guarda caso, ha vinto il premio Sergio Bardotti per il miglior testo. Quello che alla fine non torna è perché tutto questo tripudio? Perché dovremmo sentirci meglio per la vittoria di un artista che rappresenta i giovani e non, ad esempio, per un quarantenne o cinquantenne? A Sanremo quest’anno fortunatamente ci sono stati ottimi debutti, artisti fortemente voluti proprio perché arrivavano da palchi e contesti lontani dalla grande discografia, ma ci sono stati anche artisti “sanremesi”, dei veri e propri habitué. Ecco, alcuni di questi, finiti in mezzo o in fondo alla classifica, sono apparsi quasi come dei classici, più vicini a Orietta Berti che ai Maneskin, su cui neanche i bookmakers hanno scommesso qualcosa. Eppure sono i quarantenni e i cinquantenni i “giovani” ascoltatori di musica, quelli cresciuti con la capacità di apprezzare l’emergente e il veterano. Diciamo che purtroppo tra quelli, la categoria “e allora noi cosa rappresentiamo?”, una canzone che emergesse sulle altre, non c’era. Ma torniamo al punto: perché dovrebbe essere un valore piacere agli adolescenti, rincorrere il loro gusto? Ci poniamo questo problema nelle altre arti? Perché l’artista che fa musica deve rincorrere un linguaggio comprensibile ai ragazzi? Quando scriviamo un libro, realizziamo un film o uno spettacolo teatrale accade questo? In quei campi esistono, infatti, settori specifici come la letteratura per ragazzi. Attenzione, perché da qui discende la considerazione della musica, la distinzione in etichette come musica leggera o di consumo, commerciale, in cui va a finire anche il meglio del pop universale. Un’idea ce l’avrei. Fino ai 18 anni tutti scrivono poesie, diceva Benedetto Croce, poi rimangono a scriverle due categorie di persone, i poeti e i cretini.
E così anche nella musica. Fino ai 18 anni tutti “consumano” musica, poi crescendo,restano solo due categorie ad amarla e a viverla completamente, pochi appassionati e noi “addetti ai lavori”, i poeti e i cretini.
Con amore.
Timisoara PintoTimisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-66550668914744047772021-01-31T16:04:00.009+01:002021-01-31T19:01:51.112+01:00 “Mannaggia a me” di Piero Brega: il distillato della coscienza umana è la canzone popolare<p><b>Da Dylan alla musica popolare, dal vicolo della desolazione alla borgata romana. Andata e ritorno.</b></p><p><i>“E non m'importa dei quattrini </i></p><p><i>non m'importa del successo </i></p><p><i>tale difetto m'ha permesso </i></p><p><i>di evitare me stesso”</i></p><p>(Piero Brega “Il sorriso di un pensatore”)</p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKpWckKtXv2F4HTme3uhlrs9krDKz5s-S7IJtO5ro1uDzNjiOp1cD2NIrVqyMrb83HOcPArNKzHokBQAh45CWO3fyp2WaJaoKY66ejwS3bTLhmRRDB7NPLDvpOGUeTPT1oQ8Kg6yO-y4N5/s680/brega.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="510" data-original-width="680" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKpWckKtXv2F4HTme3uhlrs9krDKz5s-S7IJtO5ro1uDzNjiOp1cD2NIrVqyMrb83HOcPArNKzHokBQAh45CWO3fyp2WaJaoKY66ejwS3bTLhmRRDB7NPLDvpOGUeTPT1oQ8Kg6yO-y4N5/w400-h300/brega.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;">Mannaggia a me (Squilibri) Uno splendido caos (Stampa Alternativa)</span></td></tr></tbody></table><br /><p>Si apre con l’autobiografica “Il sorriso di un pensatore”, il nuovo album di Piero Brega e basta arrivare alla terza quartina (che ho inserito sotto il titolo di questa intervista) per capire perché abbia scelto un titolo solennemente ganzo come “Mannaggia a me”. Ad ogni modo, non posso fare a meno di chiederlo direttamente a Piero e partire da qui, in questa lunga chiacchierata da soffitta a soffitta, Attigliano-Roma.</p><p><b>Dopo 11 anni, un nuovo disco generoso di sentimenti per le tue radici e per tutto quello che oggi ci circonda, perché il titolo “Mannaggia a me”?</b></p><p>E’ un po’ un ventaglio di tante cose, c’è dentro un po’ di blues, di avanspettacolo, un po’ di Dylan probabilmente, e un po’ di musica popolare italiana, però sono canzoni che mi riguardano. Quando nella vita hai enumerato diversi fallimenti e cominci ad avere un rapporto con te stesso che è di considerazione della tua limitatezza, la cosa che ti viene in mente più spesso è “Ma guarda un po’ come diavolo sono fatto io”</p><p><b>E allora, come diavolo sei fatto?</b></p><p>Ho cercato di raccontare proprio questo, come diavolo sono fatto, e poi anche attraverso un libro di racconti brevi dal titolo “Uno splendido caos”, ho provato a fare il punto della situazione. Diciamo che ho la capacità di vedere come stanno le cose ma non per cambiarle.</p><p><b></b></p><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUV01I63tMgB3Quk06-3-gJkbfYek3xhAdzCUhSsbI-fSM6ILV3Z7DYrka2Wo4C-XAaN2mAMaeJW2c1S35PQJ6WtdmsECsO-pZfsFgjSO539lcNgrK1iDiUL_EntdJ4nc0sG19GD6S_OJ9/s1015/brega+3.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1015" data-original-width="749" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUV01I63tMgB3Quk06-3-gJkbfYek3xhAdzCUhSsbI-fSM6ILV3Z7DYrka2Wo4C-XAaN2mAMaeJW2c1S35PQJ6WtdmsECsO-pZfsFgjSO539lcNgrK1iDiUL_EntdJ4nc0sG19GD6S_OJ9/s320/brega+3.jpg" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;">Foto di Timisoara Pinto</span></td></tr></tbody></table><b>Quindi sei "uno splendido caos" come il titolo del libro?</b><p></p><p><br />“Sicuramente oggi le cose sono molto confuse, c’è la morte della politica, una crisi di instabilità, c’è un’America spaccata in due, forse anche un’Italia spaccata in due, raccontare le storie, raccontare come siamo messi, è la cosa che mi interessa. <br />Uno splendido caos si riferisce anche a quello strano equilibrio che c’è nell’universo, dove enormi forze contrastanti si scagliano l’una contro l’altra e sembra che tutto rappresenti un’eterna disfatta, un’eterna battaglia, però, tutto quello che ci circonda ci regala delle albe e dei tramonti meravigliosi e la natura intorno a noi è sempre sorprendente, sia nei dettagli che nell’insieme, cerchiamo di non perdere il coraggio, la voglia di cambiare, la voglia di andare avanti. Credo che, in questo periodo così racchiuso dentro le case, ognuno immagini dentro di sé una specie di ripresa ideale che avverrà prima o poi, in cui finalmente si potrà dire qualcosa di nuovo, perché il mondo è comunque cambiato”.</p><p><b>Sei un pensatore che, malgrado tutto, sorride sempre e anche un vecchio marinaio senza mare, due brani che sono due autoritratti in parole e musica</b></p><p>“Un marinaio senza mare è il colmo della nostalgia, della mancanza, dell’assenza, che però si aggira per le strade senza rabbia, quasi con ironia nel vedere la sua sorte così difficile, ma nel frattempo continua a guardare le sue nuvole e a ragionare sul mondo”.</p><p><b>Prima hai detto “sono canzoni che mi riguardano", ma riguardano, per citare un altro brano, anche questo "tempo arido", tra disillusione e riconoscimento dei nostri limiti</b></p><p>“Tempo arido” è la covid-song dedicata alla solitudine di questo tempo che accomuna tutto il mondo, in cui il mare che mi manca è il mare del movimento, delle manifestazioni pubbliche, il mare che c’era quando c’era il movimento degli studenti, quando c’erano i partiti, quando c’era qualcosa per cui il tuo interlocutore, anche sconosciuto, che incontravi per la strada, era in grado di sostenere un dialogo sui massimi sistemi, perché tutti quanti stavamo agganciati ai massimi sistemi. Adesso accendi la televisione, e ti trovi in mezzo al luogo comune, anche se scritto in lettere maiuscole, ma sempre luogo comune è. Poi c’è anche “In mezzo al mare” che parla di un uomo che nuota di notte, e in questo nuotare sopra un mare colmo delle sue bugie, della sua vita mediocre, tutto sommato, recupera con l’accettazione del suo destino, un minimo di felicità”.</p><p><b>L’ultima canzone si chiama “centomila pensieri fuggono”, quali sono questi pensieri che ci sfuggono?</b> </p><p>Non è una canzone sull’Alzheimer, i pensieri che ci sfuggono, che si nascondono alla nostra coscienza, sono quei pensieri che non vogliono essere sprecati per sopravvivere nell’attimo. Tutto sembra non avere tempo, il tempo è tagliato, le risposte vanno date immediatamente, forse alcuni pensieri che noi facciamo più profondi, più larghi, più sapienti, poi li nascondiamo dentro di noi, e non ce ne ricordiamo neanche conto, invece dovremmo starci attenti.</p><p><b></b></p><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-jk5MKIBWDfwoMrv_HTEc9bwzwvqGi_zNzj6dg3dBf8CLBm84uS_Xe3C3gwXjaeIJXtAj8l_BGL7yDDN2JdCC7VoY-rRVDYZZ7oGO2eONLIHvX79ThhvQJIqh8Arwdv8fXXPecD8H77ES/s786/brega+2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="786" data-original-width="635" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-jk5MKIBWDfwoMrv_HTEc9bwzwvqGi_zNzj6dg3dBf8CLBm84uS_Xe3C3gwXjaeIJXtAj8l_BGL7yDDN2JdCC7VoY-rRVDYZZ7oGO2eONLIHvX79ThhvQJIqh8Arwdv8fXXPecD8H77ES/s320/brega+2.jpg" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;">Foto di Timisoara Pinto</span></td></tr></tbody></table><b>Hai scritto da qualche parte, nel libretto: "E' più facile apostrofare il mondo con un canto popolare", lo immagino, ma parla tu</b><p></p><p><br />Sì, è più facile apostrofare il mondo standosene belli protetti dentro una canzone popolare, dentro un documento storico. Questo implica il fatto di non prenderti nessuna responsabilità, sei soltanto l’esecutore di un modo bello, se sai farlo bene, di cantare una storia, che però è già stata raccontata.Va bene una storia antica, magari bella, magari da ricordare, ma non è quello che ti passa per la mente, nel senso che tu devi anche un po’ raccontare delle storie nuove. Succedono delle cose, senza tradire la tradizione, questo ho provato a fare in questo ultimo cd e continuerò a farlo. Naturalmente, racconto di questi tempi che sono aridi, senza politica, completamente sprecati. La canzone “Dal lago della giovinezza” parla proprio di questo, con una specie di pastore errante per l’Asia che se la prende con la luna e ho preso un po’ Leopardi a testimone di questa storia. E' un modo di rapportarsi alla divinità in una maniera pagana, se tu mi dai quello che ti chiedo, ti rispetterò, ti adorerò e ti farò delle offerte, ma se le cose non vanno come voglio io, allora ti dirò che sei una luna bugiarda, sei una luna biancastra che non sai dirmi nulla di nuovo. Ecco mi sembra che oggi ci sia questa specie di scontentezza, un atteggiamento un po’ pagano nelle preghiere in cui tutti pretendono qualcosa. Mi viene in mente quella frase di Kennedy, “Non chiederti che cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa tu puoi fare per il tuo paese”, e infatti alla fine la luna si rivolge a questo povero pastore e lo bacchetta in tutti i modi perché, insomma, non è questo il modo di rapportarsi con il destino. Mettiti in gioco, fai le cose, e invece, mi pare che non ci sia una gran volontà di fare le cose, soprattutto in politica, ma di rivendicare, arrabbiarsi e soprattutto di chiedere, chiedere, chiedere.</p><p><b>Non c'è solo Leopardi, "Nella città dolente", inizio di "Strada scura" ci porta subito a Dante. Cos'è Dante per te, che, tra l’altro, hai intitolato un tuo disco “Fuori dal Paradiso”?</b></p><p>Ho letto la Divina Commedia quattro volte, c’è anche Pascoli, abbiamo tanti grandi poeti, del resto, come si dice, il nostro è un Paese di santi, poeti navigatori, transmigratori… io non è che voglio essere un poeta, ma mi piace leggere questi grandi che ci hanno dato la linea. Dante diceva io scrivo in italiano perché è la lingua dell’amore, è la lingua con cui si parlavano i miei genitori quando mi hanno messo al mondo, l’italiano rappresenta l’amore.</p><p><b>Piero, non c’entra niente con te e con quello che stiamo discendo, ma lo sai che ora, mi hai fatto tornare in mente alcune interviste che Rino Gaetano fece in radio, e avete la stessa cadenza, la stessa romanità nella voce. Lo hai conosciuto Rino Gaetano?</b></p><p>No, in quel periodo frequentavo il mondo della musica popolare, anche se gli riconosco la capacità di raccontare una storia con quattro parole. ‘Il cielo è sempre più blu’ è veramente l’analisi di un dramma, Rino Gaetano scherzando, saltellando e giocando con il suo cilindro in testa, raccontava dei drammi, delle storie molto forti, però la sua capacità di sintesi era veramente un po’ troppo. Bisognava entrare nelle sue strofe, fatte di tante ripetizioni, per capire poi cosa c’era sotto. Io non è che ci sono riuscito molto, però, dalla sua popolarità, vedo che altri ci sono riusciti molto bene, e non credo che cogliessero soltanto la spensieratezza e l’allegria della parte musicale. Rino Gaetano è solo una persona che non ho incontrato, ma il suo messaggio mi è arrivato lo stesso.</p><p><b>Di quell’allegria, cosa condividi? </b></p><p>Il mio disco è musicalmente anche allegro in certi punti, anche se io allegro lo sono solo per brevi momenti, di solito sono più meditativo e introspettivo. La mia giornata è abbastanza silenziosa, il mio essere allegro, il mio scherzare, forse viene fuori solo per non affrontare il tema serio quando sono insieme agli altri, i temi profondi me li aggiusto e me li affronto per conto mio.</p><p><b>Tu eri più battistiano?</b></p><p>Battisti mi è piaciuto molto, quando l’ho visto le prime volte ho detto, questo ragazzo si farà. Non mi identifico neanche con lui, anche se ha detto tanto e quel “Signore, chiedo scusa anche a lei”, ne è un esempio. Poi, all’epoca se uno non si dichiarava apertamente comunista o compagno, automaticamente veniva sbattuto dall’altra parte. Ora, probabilmente, lui era soltanto un individualista come lo siamo tutti, però c’è da dire la verità: nei suoi pezzi mi pare ci siano soltanto delle storie private, c’è un poca società .</p><p><b><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsgXI4G9fsrKLLn4nfz1jPm4J_ntKSgjk53dNGc7yXhMeC0kcfTl9yE_PHT7uZfk1w9x1OIJAsghfxMLYFbS7Hk8iGK7ce2R0gf78N9fZ7yptAmYb3mS4i6qkjBnU5ig_IzIviF6k4EVMK/s1800/piero-brega-foto-alberto-marchetti.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1107" data-original-width="1800" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsgXI4G9fsrKLLn4nfz1jPm4J_ntKSgjk53dNGc7yXhMeC0kcfTl9yE_PHT7uZfk1w9x1OIJAsghfxMLYFbS7Hk8iGK7ce2R0gf78N9fZ7yptAmYb3mS4i6qkjBnU5ig_IzIviF6k4EVMK/s320/piero-brega-foto-alberto-marchetti.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;">Foto di Alberto Marchetti</span></td></tr></tbody></table></b><b>Però i testi li scriveva Mogol…</b></p><p>Sì indubbiamente ma uno non canta una cosa che non condivide. Mogol e Battisti hanno girato l’Italia insieme a cavallo, erano culo e camicia, l’uno valeva per l’altro. </p><p><b></b></p><b>E oggi ti piace il rap, almeno così hai scritto da qualche parte <br /></b>Il rap in generale mi piace tutto, preferisco quello americano perché ha delle interruzioni, dei punti di stop, delle ripartenze ritmiche basate sul suono e sulla ritmica delle parole che mi interessa molto. Anche in Italia ci sono dei geni perché una volta ho visto una gara tra rappisti che improvvisavano ed era veramente molto interessante, anzi addirittura li ho invidiati, ma in realtà molte volte, specie nel rap più di successo, incontro solo quei versetti che corredavano le illustrazioni del Corriere dei Piccoli, “il signor Bonaventura… I veri maestri sono negli Stati Uniti.<p><b>Musicista e architetto, conosci e interpreti il linguaggio delle città, il tessuto urbano con cui abbiamo a che fare quotidianamente, le stratificazioni territoriali e sociali che si traducono in versi. Piero, il tuo modo di leggere e interpretare i luoghi da architetto, ha influito sul tuo "folk urbano"?</b></p><p>Sicuramente. Io non avevo mai fatto il punto su questa cosa, anche se spesso ad Architettura me lo chiedevano, ma io non trovavo nessuna relazione, invece in tarda età, mi sono reso conto che la musica e l’architettura hanno un legame strettissimo nel loro elemento più importante, la struttura. In particolare, Roma per me è il posto che ho girato in motorino da sempre, forse la conosco come potrebbe conoscerla un tassinaro, è chiaro che ha influenzato tantissimo le parole delle mie canzoni. Roma è un libro di pietra, ha nelle sue stratificazioni, se le sai leggere, tutta la sua storia. Adesso abito in Umbria, sono come un antico romano che sta in villa, ma Roma è dentro di me, io sono Roma. </p><p><b>“San Basilio”, “Mannaggia a me”, è ancora Roma lo sfondo di tante storie cantate, com’è <table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgOjpZ3j6b6Nhsw3bOf-BB636J7y4ICSHLIjfczhJoilY-QHkS8KT6y8qV1p9mvpuUp1J7wE1Khv9PtEr1ZEn4Heg5n_MpjMJakCeu34sOQZFG9S26fQuYO3tVcS4WP2YBOQEu6UyCU_EU3/s640/piero+brega+5.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="640" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgOjpZ3j6b6Nhsw3bOf-BB636J7y4ICSHLIjfczhJoilY-QHkS8KT6y8qV1p9mvpuUp1J7wE1Khv9PtEr1ZEn4Heg5n_MpjMJakCeu34sOQZFG9S26fQuYO3tVcS4WP2YBOQEu6UyCU_EU3/s320/piero+brega+5.jpg" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;">Piero Brega nel 1975</span></td></tr></tbody></table><br />cambiata dagli anni 70? </b></p><p>Forse sono solo i ricordi giovanili che soffondono di una luce dorata gli anni 70, però mi sembra che allora ci fosse più una mobilità intellettuale, una capacità di capirsi, una volontà di parlare con gli altri, quindi c’era più dialogo, interazione, c’era più interesse per quello che diceva un altro, adesso siamo tutti un po’ più soli, il nostro vicino non è più lo spunto per un dialogo, ma forse è uno sguardo di invidia, se non di odio. C’era una canzone di Enzo Del Re su San Basilio, suonava la sedia e raccontava di un’occupazione di case, interventi della polizia. Poi ci sono tornato una volta con Alessandro Portelli, quando era assessore, mi ero portato la chitarra prima del suo intervento, voglio molto bene a Portelli e in quel momento eravamo legatissimi, siamo arrivati a San Basilio e in quella piazza c’erano cinque persone, io mi ricordo che negli anni ‘70 quando c’era il PCI che parlava in piazza, c’era l’enorme folla, le migliaia. Rimpiango un po’ quella cosa lì, augurandomi che possa succedere di nuovo, perché non possiamo tirare avanti per sempre come stiamo, su questo non c’è dubbio.</p><p><b>“Mannaggia a me”, oltre al titolo del cd, è anche la terza canzone dell’album.</b></p><p>“C’è un riferimento abbastanza fisso nel mio disco, che è il percorso che facciamo seguendo quel barbone felice della prima canzone, quello che sorride malgrado il suo stato di povertà assoluta, che decide di abbandonare la società nel suo complesso e ci porta in giro per diverse stazioni. Ci si presentano prima dei barboni che litigano sotto la stazione Termini e uno che scaglia tutti i suoi anatemi, li scaglia, in realtà, anche contro di me, che sono lì a guardare con occhi sgranati e queste maledizioni le sento anche addosso a me, perché se lui sta in quella condizione è anche colpa mia.</p><p><b>Tornando a “San Basilio”, già inserita in “Come li viandanti”, album del 2004 che svelò il Piero Brega cantautore, la riproponi qui con un nuovo arrangiamento e la band al completo</b></p><p>Mi interessa molto questo modo nuovo di raccontare le storie, in una forma quasi di rock, un po’ americana, con l’ausilio di una nuova band, un sestetto clamoroso.</p><p><b>Ti accompagnano, infatti, Oretta Orengo all’oboe, corno inglese e canto, Ludovico Piccinini alle chitarre e charango, Emanuele Marzi al basso, Piero Fortezza alla batteria, Luciano Francisci alla fisarmonica. Con Piccinini, da qualche anno, porti in giro il concerto su Bob Dylan, di cui hai tradotto molte canzoni. Qual è stato l’impatto di Bob Dylan per i cantautori della tua generazione?</b></p><p>In un’epoca di grandi gruppi elettrici e spettacoli musicali con decibel esagerati, viene fuori questo uomo né alto, né basso, né brutto, né bello, che canta con voce che viene, lì per lì, dichiarata voce da ubriaco e intona delle ballate, delle storie americane che sembrano portate avanti da un cowboy, con una semplicissima chitarra acustica e un’armonica a bocca. Le prime canzoni di Dylan parlano di un mondo semplice, interessante che ci incuriosisce. In una classe di 25 studenti, potevi trovarne la metà che suonavano la chitarra e tutti che volevano imparare il fingerpicking.<br /><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwuphVblmTqCfHPI4t7EBiPAy5zvx-5bcKiKfoa1ggG8lzfAJ_I5WvZ_XZrIzAZUaFLOqm7UxJCyaYNhmYPBFnF-5tDxtvcVB0Of7gQPcYJqXmOKRiE6lL1Zw8zuKM63q4DP4sUS1Ym1CK/s720/brega+orengo.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="540" data-original-width="720" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwuphVblmTqCfHPI4t7EBiPAy5zvx-5bcKiKfoa1ggG8lzfAJ_I5WvZ_XZrIzAZUaFLOqm7UxJCyaYNhmYPBFnF-5tDxtvcVB0Of7gQPcYJqXmOKRiE6lL1Zw8zuKM63q4DP4sUS1Ym1CK/s320/brega+orengo.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;">Piero Brega e Oretta Orengo, <br />coppia straordinaria sul palco e nella vita</span></td></tr></tbody></table></p><p><b>E per te, nella tua vita, cosa ha rappresentato l’arrivo di questo personaggio fuori dagli schemi?</b></p><p>Sarà stata l’estate del ’66 o ’67, a Fano, c’erano le comitive al mare, nascevano amori estivi, dei flirt brevi, ma molti intensi. Conobbi Veronica, una ragazza francese, figlia di un romano che lavorava al Consolato a Parigi. Fu lei a regalarmi il 45 giri di ‘Desolation row’, e proprio lì nel porto di Fano, Veronica arriva una sera con un mangianastri, lo poggia sulla tolda di un vecchio peschereccio in disarmo, e ci mettiamo ballare su questa canzone. Non capivo il testo, né mi interessava, in quel momento tutto era tranne che quel mondo assurdo di una strada malfamata, dove accade una rappresentazione terribile.
Più tardi mi ci sono avvicinato con l’intento di studiarlo. Naturalmente sono partito dalla bandiera iniziale, ‘Blowin’ in the wind’, che parlava di un cannone che non doveva più sparare colpi, di una colomba che doveva attraversare il mare e di un vento di liberazione che soffiava. Il fatto di dirlo così e non in pompa magna come i grandi gruppi rock, dava l’idea, a noi studenti, che forse, molto semplicemente, potevamo rimontare il mondo con una chitarra e un’armonica, non c’era più il bisogno di comportarci in un certo modo, bastava dire quello che avevamo in testa e questo è il grande merito di Dylan. Poi c’era un Dylan diverso, quello della cosiddetta seconda ondata, dagli anni 80 in poi, quello che si interessa all’occultismo, alla politica internazionale, che spazia imperturbabilmente in tutte le filosofie mondiali, ma trovati i limiti di tutte le ideologie, Dylan a un cero punto dice “Io credo nelle canzoni, l’ultima forma di saggezza dell’umanità”, alla fine, l’unica cosa che rimane in piedi è la canzone popolare, il distillato della coscienza umana è la canzone popolare.</p><p><i>Timisoara Pinto</i></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5SKPstRskjRXBNfQ8Fla3YcSwFtcrWEvgAneIF7saX-U8rVytba-LJkXkLibT3kFf731l3HDtQ57c5ZL4jZYX_s_ziPNFUcNVWWuPrY5r3v3i8qLgPIbOr0K2vRIKoE9Gi1TFBFh40EG9/s1800/piero-brega-foto-cristina-canali.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1800" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5SKPstRskjRXBNfQ8Fla3YcSwFtcrWEvgAneIF7saX-U8rVytba-LJkXkLibT3kFf731l3HDtQ57c5ZL4jZYX_s_ziPNFUcNVWWuPrY5r3v3i8qLgPIbOr0K2vRIKoE9Gi1TFBFh40EG9/s320/piero-brega-foto-cristina-canali.JPG" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;">Foto di Cristina Canali</span></td></tr></tbody></table><br /><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p>Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-34452973891926637042020-12-28T15:33:00.009+01:002020-12-28T15:37:37.860+01:00Olivia Bertè: "Il più bel Natale a Santa Maria della Neve con Mimì"<p>Dal vinile al digitale: "Suan Edizioni" pubblica in streaming alcune rarità mai uscite su Cd. Tra i tanti brani da riscoprire, anche due canzoni inedite di Mia Martini, ritrovate da Christian Calabrese, collezionista, esperto musicale e figlio di Giorgio Calabrese, autore dei testi di alcuni classici della canzone italiana come “E se domani”, "Arrivederci", “Il nostro concerto”<br /><br />L'intervista con Olivia Bertè, la più piccola delle quattro sorelle Bertè.</p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAzvPQl5UeN1mz9rvfMSg69iNGEUszzeuIMqaWKdOU2KwW7UZV4y-BAyVZCsK3nDBWU-Iw2sWt2-EvvU36inXnDefOJgoJlGlJP9QbbjVnf9qE3Se7jUdhyphenhyphenXFyOHy6VkV5nKAWCzncbvw0/s1578/mim%25C3%25AC-bert%25C3%25A8-disegno-olivia.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1578" data-original-width="1140" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAzvPQl5UeN1mz9rvfMSg69iNGEUszzeuIMqaWKdOU2KwW7UZV4y-BAyVZCsK3nDBWU-Iw2sWt2-EvvU36inXnDefOJgoJlGlJP9QbbjVnf9qE3Se7jUdhyphenhyphenXFyOHy6VkV5nKAWCzncbvw0/s320/mim%25C3%25AC-bert%25C3%25A8-disegno-olivia.jpg" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;">Mimì Bertè di Olivia Bertè, disegno per la copertina</span></td></tr></tbody></table><br /><p><b>Una regalo di Natale per i fan di Mia Martini: "Soli ad amarci" e "Per sempre resterò con te" sono due canzoni inedite ritrovate tra le “lacche” e i provini conservati dalla famiglia di Giorgio Calabrese, autore dei testi. Si tratta di brani del 1965, lei era molto piccola, aveva 11 anni meno di Mimì, che effetto le ha fatto questo ritrovamento? Cosa le ha ricordato?</b><br /><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvPOqEbk8R6N8pHLE5hGmPYI6B7V8SjjzQa2DR15rx8WaQIdYgBFbqqCjAtkqK2a3k3uzXjBF18Yvp7CyGdJukidRE6x-1PAawRgIryCKejL5agiPf5pbuo4AfwFypDDjKskD_p78FXe3J/s360/mim%25C3%25AC+bert%25C3%25A8+2.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="360" data-original-width="265" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvPOqEbk8R6N8pHLE5hGmPYI6B7V8SjjzQa2DR15rx8WaQIdYgBFbqqCjAtkqK2a3k3uzXjBF18Yvp7CyGdJukidRE6x-1PAawRgIryCKejL5agiPf5pbuo4AfwFypDDjKskD_p78FXe3J/w148-h200/mim%25C3%25AC+bert%25C3%25A8+2.jpg" width="148" /></a></div>“E’ stato un ritorno al passato, ho rivisto me piccolina e Mimì, una giovanissima ragazza piena di sogni e di entusiasmo. Ascoltando la sua voce limpida e cristallina, mi sono ricordata di quando mia sorella e mia madre prendevano il treno per andare a Milano, l’emozione di quei viaggi, i racconti dei primi contatti con il mondo della discografia. E’ chiaro che per me, sentire di nuovo la sua voce, in brani che non avevo mai sentito, è stata un’emozione molto forte, e penso lo sia per tutti per i fan, come una perla da racchiudere in uno scrigno”<p></p><p></p><p><b>Perché, secondo lei, questi brani non furono pubblicati?</b></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUNHOHVijv4MfA3b3GIg5Fz3LaLUcK5_cldj41e893zgBrF1DwbU9J1d0UAaSQe89TFYPR0YdSTaBwqD5bJSilXdFSKr83lUP6jwEl1lbQfv8P3w5Xq7Jz762ppF63FYg4W6CCRTuAEeej/s1257/olivia+bert%25C3%25A8.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1257" data-original-width="900" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUNHOHVijv4MfA3b3GIg5Fz3LaLUcK5_cldj41e893zgBrF1DwbU9J1d0UAaSQe89TFYPR0YdSTaBwqD5bJSilXdFSKr83lUP6jwEl1lbQfv8P3w5Xq7Jz762ppF63FYg4W6CCRTuAEeej/w143-h200/olivia+bert%25C3%25A8.jpg" width="143" /></a></div>Forse Carlo Alberto Rossi, musicista e discografico, all’epoca non ebbe il coraggio di puntare su dei pezzi nuovi per Mimì, diversi dalla moda “yè-yè” del momento. <p></p><p><b>Potrebbe darsi che Mimì non si riconoscesse in quei testi, da </b><b>donna più adulta e con qualche cliché di troppo? </b></p>“All’epoca si facevano tantissimi provini senza pensare troppo al risvolto sociale di una canzone, ma probabilmente “Per sempre resterò con te” era una canzone impegnativa per una ragazza così giovane”<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQzPlJxKWKVXPOb_L2-gMViC22OouS52gcBdVFSbKfiDJGMSpnPvDIFrM2igUKTt7yN8ASGGf4p6Ee2axVZDiaFeqFqYDXM2fEEGHXPYHGppzJvolgwpgfl-bV8crXaIry0u7Zk9Gh57e4/s155/mim%25C3%25AC+bert%25C3%25A8+4.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="155" data-original-width="102" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQzPlJxKWKVXPOb_L2-gMViC22OouS52gcBdVFSbKfiDJGMSpnPvDIFrM2igUKTt7yN8ASGGf4p6Ee2axVZDiaFeqFqYDXM2fEEGHXPYHGppzJvolgwpgfl-bV8crXaIry0u7Zk9Gh57e4/s0/mim%25C3%25AC+bert%25C3%25A8+4.jpg" /></a></div><b>Qual era la canzone di Natale di Mimì? Mi racconta un Natale insieme? Un suo ricordo con Mimì legato alle Feste.</b><p></p><p>Uno dei più belli è stato quando sono andata a trovarla a Calvi dell’Umbria, la vigilia di Natale abbiamo cenato insieme e poi siamo andate a piedi a Santa Maria della Neve a vedere il presepe vivente. Io indossavo un giaccone corto e Mimì mi disse “Non puoi assolutamente venire così”, ha aperto il suo armadio e mi ha regalato un cappotto marrone che ho adorato.</p><p><b>Che anno era?</b></p><p>Il Natale lo ricordo benissimo, era il 1988, prima del suo ritorno a Sanremo nel 1989, quando ci fu la sua grande rinascita.</p><p><b>Le parlò di quello che stava vivendo, di quello che sperava per Sanremo e la sua carriera?</b></p><p>Era felicissima di questo rientro, il pezzo le piaceva molto, certo era anche spaventata e non immaginava con quanto amore, con quanta gioia il pubblico l’avrebbe accolta. Si è sentita proprio abbracciata, questo mi ha detto.</p><p><b>A gennaio, gli inediti usciranno anche su vinile e la copertina l’ha disegnata lei, ce la può descrivere? A cosa si è ispirata?</b></p><p>Sì, Christian Calabrese, mi ha chiesto se avevo voglia di disegnare qualcosa che ricordasse gli anni Sessanta e io mi sono ispirata a delle copertine che avevo già visto di Mimì di quegli anni e poi ho pensato al suo rapporto con il mare e a quanto lei parlasse di Bagnara Calabra e di come si sentisse una sirena del mare.</p><p><b>Oltre ad essere una delle più grandi interpreti di tutti i tempi, Mia Martini era una cantautrice e polistrumentista. Ci sono inediti scritti da lei?</b></p><p>Sì, c’è un brano che si intitola “Madre e figlia”, penso l’avesse scritto per Mina, da quello che mi diceva, mi sembrava che avessero in programma di fare delle cose insieme. Poi aveva tradotto un pezzo di Bryan Ferry con il titolo “Lilith”, aveva alcuni progetti con Enzo Gragnaniello e Mimmo Cavallo, insomma c’erano varie cose a cui stava lavorando.</p><p><b>Qual è l’oggetto più caro di Mimì che conserva?</b></p><p>Sicuramente tra gli oggetti più cari ci sono i libri, “Paula” di Isabelle Allende, “’L’isola del giorno prima” di Umberto Eco, “Dell’amore e di altri demoni” di Gabriel García Márquez, questi sono gli ultimi romanzi che mi aveva regalato. Ho alcuni bracciali che lei adorava, anche se il ricordo più caro è nel cuore…</p><p><b>C’è qualcosa che avrebbe voluto fare Mimì e che non ha fatto?</b></p><p>Mimì adorava gli animali e diceva che avrebbe costruito un rifugio per animali abbandonati e, nello stesso tempo, voleva creare anche una casa di riposo per musicisti, questi erano i progetti che aveva e voleva realizzare.</p><p><b>“Madre e figlia” uscirà mai? Esiste il provino registrato da lei?</b></p><p>“La Bmg aveva il provino di “Lilith” e, sicuramente, altri inediti in giro ci sono, ma non ho idea di chi li abbia”.</p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlbhluk0B2o2RlRsDXtUk8d7ANPaujMkHHh1Qqf6VRebezMF08bB_8rwEgjC0ixZ75n0z0OPsicsqTSPq-s4cm8WPfiPAF0mO4BW1q9E6dRIBhw11jmk5z-EDVihhL6yVdgtAH-h9KuFEf/s702/mia+martini+89.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="540" data-original-width="702" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlbhluk0B2o2RlRsDXtUk8d7ANPaujMkHHh1Qqf6VRebezMF08bB_8rwEgjC0ixZ75n0z0OPsicsqTSPq-s4cm8WPfiPAF0mO4BW1q9E6dRIBhw11jmk5z-EDVihhL6yVdgtAH-h9KuFEf/s320/mia+martini+89.jpg" width="320" /></a></div><br /><p><a href="https://open.spotify.com/album/1AcFZmJ2ILePdV3lkSST7Q?highlight=spotify%3Atrack%3A2CV8kPV72CuDuKwm3LYHN8&fbclid=IwAR3BskTEALCYhL2Ppi9es3xJn_VuZFh4nfqdcymjI3vSJfxcLd7V3h3ccPw" target="_blank">Ascolta "Soli ad amarci"</a><br /></p><p>Timisoara Pinto</p>Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-33649099479900847742020-11-22T23:01:00.008+01:002020-11-23T08:28:36.108+01:00Antimilitarismo e nonviolenza, da Tenco a Caparezza nel libro "Coltivo una rosa bianca" di Enrico de Angelis, giornalista e storico della canzone<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><p></p><p style="margin-bottom: 0cm;">Prefazione di Don Luigi Ciotti</p><p style="margin-bottom: 0cm;">Introduzione di Mao Valpiana</p><p style="margin-bottom: 0cm;">Il libro contiene uno speciale inserto a colori con i ritratti dei sei cantautori realizzati da Milo Manara e Massimo Cavezzali.</p><p style="margin-bottom: 0cm;"><a name="_GoBack"></a>I proventi del libro saranno devoluti al Movimento Nonviolento fondato dal filosofo Aldo Capitini</p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdy6yAUb74RfR56Hknm_eUKD1m5MJ7nept9_6jlREU2tNoOUKh0f47nrUtQ-MwdzLhyphenhyphen7BqI_2-HyGgwEKhppmJ-tW3ZcD8x9rdSQrDy-3iRiBBM3QofMmRLHJkzurZKLabZsoKTNs2RNs0/s858/COP_De-Angelis_3D-1170x992.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="858" data-original-width="578" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdy6yAUb74RfR56Hknm_eUKD1m5MJ7nept9_6jlREU2tNoOUKh0f47nrUtQ-MwdzLhyphenhyphen7BqI_2-HyGgwEKhppmJ-tW3ZcD8x9rdSQrDy-3iRiBBM3QofMmRLHJkzurZKLabZsoKTNs2RNs0/s320/COP_De-Angelis_3D-1170x992.jpg" /></a></div><p style="margin-bottom: 0cm;"><b>“Coltivo una rosa bianca” pubblicato da VoloLibero edizioni, è un libro dedicato a sei personaggi in cerca di pace, antirazzismo, rispetto per la natura, e nonviolenza. Perché proprio Tenco, De André, Jannacci, Endrigo, Bennato e Caparezza, da cosa sono accomunati?</b></p><p style="margin-bottom: 0cm;">"I sei artisti di questo libro sono accomunati dal fatto di aver cantato in misura più massiccia e con continuità, con insistenza, di antimilatirismo e nonviolenza, con spunti mai abbandonati in tutta la loro carriera, ma, a parte questo, cercano di farci capire cosa debba essere la pace, cosa sia una pace vera. Una pace iniqua, oppressa, omologata non è una pace, è piuttosto la “pace terrificante” di cui parla Fabrizio De André"</p><p style="margin-bottom: 0cm;"><b>La musica e l’arte, scrive Don Luigi Ciotti nella prefazione, offrono specchi nei quali riconosciamo la nostra anima e binocoli per guardare più lontano e più in profondità. Qual è il suo preferito tra questi magnifici 6?</b></p><p style="margin-bottom: 0cm;">“E’ vero che ho scelto questi cantautori con un criterio oggettivo, ma li amo veramente tutti. Se proprio dovessi sceglierne uno, col fucile puntato, forse potrei dire Sergio Endrigo, perché proclama la sua indignazione sempre sottovoce, ma non per questo meno efficace, anzi”.</p><p style="margin-bottom: 0cm;"><b>Nel 1962 Sergio Endrigo scrisse "Via Broletto 34" una canzone sulla violenza contro le donne, o meglio sul femminicidio, che non ha inserito nel capitolo dedicato al cantautore di Pola. Ce ne vuole parlare?</b></p><p style="margin-bottom: 0cm;">“E’ una canzone davvero sorprendente e non solo per lo stile e la forma, abbastanza inusuali per la canzone italiana. E’ ambientata nella più vecchia e centrale Milano, via Broletto appunto, ma il civico 34 non esiste, come andai subito, personalmente, a controllare la prima volta che andai a Milano da adolescente. La canzone non è né a favore, né contro l’omicidio, è un racconto, un bozzetto, e quando un grande autore come Endrigo ci racconta una storia come questa, con il gusto, l’eleganza, la disarmante trasparenza che gli è propria, allora in questi casi sono anche la forma, la classe, l’intelligenza compositiva che subentrano a escludere ogni misoginia e, ovviamente, ogni apologia di violenza. Una curiosità, fu proprio dopo l’ascolto di ‘Via Broletto 34’, che l’allora direttore della RCA, Ennio Melis, pensò che sarebbe stata una cosa molto interessante far incontrare Endrigo e Pasolini per realizzare altre canzoni come quella. Pasolini in quel momento non aveva il tempo di occuparsene ma diede a Endrigo l’autorizzazione ad usare alcuni suoi testi e da lì, in qualche modo grazie a via Broletto 34, nacque ‘Il soldato di Napoleone”.</p><p style="margin-bottom: 0cm;"><b>Il libro affronta il tema della nonviolenza nei testi delle canzoni ma, come lei osserva giustamente, nel caso di Bennato e di Caparezza non meno importante è l’uso della voce o il modo di stare sul palco…</b></p><p style="margin-bottom: 0cm;">“In un libro così a tema, sono soprattutto i testi che analizzo, ma nelle mie pagine cerco di ricordare che la canzone va sempre letta contestualmente con la musica, il ritmo, la voce, l’intenzione del canto, la presenza scenica. Pensiamo ad esempio a Bennato che usa moltissimo l’ironia, dice delle cose che sono esattamente il contrario di quello che pensa e questo lo si capisce grazie all’uso della voce distorta, ai versacci, alle pernacchie, è la voce che fa satira. Penso anche a Jannacci, a come farfuglia le parole, alla poltiglia di vocaboli che mette insieme quando parla e canta e in questo modo riesce a dare una valenza disperata anche alle canzoni più grottesche”</p><p style="margin-bottom: 0cm;"><b>Negli anni sessanta la chiamavano canzone di protesta, oggi come la definirebbe?</b></p><p style="margin-bottom: 0cm;">“La parola protesta, in verità, ci sta sempre bene, ma potremmo chiamarla canzone di coscienza”</p><p style="margin-bottom: 0cm;"><br /></p><p style="margin-bottom: 0cm;">Timisoara Pinto</p>Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-59225345352349106022020-10-31T20:43:00.021+01:002020-11-06T12:58:08.054+01:00Le lezioni di Roberto Vecchioni: “Sono sempre stato, con gioia, comunista”<p>“Dobbiamo avere il coraggio di fermarci, la vita umana è più importante, ma presto ritorneremo a volare”, verbo tanto presente nelle canzoni del professor Vecchioni ed ora anche nel suo nuovo libro, “Lezioni di volo e di atterraggio. Le lezioni che tutti avremmo voluto ascoltare a scuola e nella vita”, scritto durante il lockdown.</p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjb2c7GdheACrKe14NwbHg1c4a1bzaXZpnQfkkjd_7LN1zDJSYtUd1q0ak5x86hpAH-bUq6_9isyNYuq1W4c7PROVQL7i99ePdVUFOIQ2zKkqm15JKtICB4_PRz_aToXHAuqtpTDlfCTYiX/s895/123914533_287910805733509_4592827373253521809_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="895" data-original-width="568" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjb2c7GdheACrKe14NwbHg1c4a1bzaXZpnQfkkjd_7LN1zDJSYtUd1q0ak5x86hpAH-bUq6_9isyNYuq1W4c7PROVQL7i99ePdVUFOIQ2zKkqm15JKtICB4_PRz_aToXHAuqtpTDlfCTYiX/s320/123914533_287910805733509_4592827373253521809_n.jpg" /></a></div><p></p><p><b>“Lezioni di volo e di atterraggio” è un libro epico che parla di miti, di eroi, del significato delle parole e del rapporto con gli studenti. Per caso le manca la scuola, professore?<br /></b></p><p>Mi manca proprio il Liceo, perché era un crescere insieme, un costruirsi tutte le possibilità di fantasia e di sogno, anche logiche, che propone la cultura.</p><p><b>Il mondo della cultura protesta per la chiusura di cinema e teatri, qual è la sua posizione?</b></p><p>Sono d’accordo, ma chi non è artista, non sa che cosa soffra un artista quando non può salire su un palco, è come togliere le ali a una farfalla. Però, purtroppo, qualcosa bisogna fare, non possiamo assolutamente rischiare. Io lo so che protestano i ristoratori, protestano gli artisti, protestano ‘perché quelli là sì e noi no’, protestano tutti, ma la vita umana è più importante di tutto. Torneremo lentamente sui palchi, solo che, al momento, dobbiamo avere il coraggio di starne fuori, per il bene del paese, dobbiamo saper fare questo sacrificio. </p><p><b>Resta, però, l’equivoco sull’espressione “attività superflue” che ha innescato una serie di reazioni, a partire dalla lettera di Riccardo Muti a Giuseppe Conte</b></p><p>Non l’ho letta, ma è chiaro che la cosa più importante è che noi abbiamo una dignità e vorremmo sentirci dire che tutto questo accade non per toglierci la dignità, ma semplicemente perché non è possibile fare altrimenti. La dignità dell’artista non va assolutamente scalfita.</p><p><b>Nel libro sono narrati tanti aneddoti della sua vita da professore di Liceo, missione che ha svolto per oltre trent’anni, ad esempio ha portato la didattica fuori dalle aule, all’aperto, e non per motivi di pandemia. Perché le chiama “Giornate di follia”?</b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgong5V-ohXxHN21GzvYpaiWoaLhLFk0Dpb3a0ph_EwN9g3tsi5McLWwFTrXeVf-j-Y0bXrlsbdlwNT6zzJJuhFdkOCbZY09mGNbrtNuhpchxST48Yp53SxnYwRVFWVcHivJqweW6hG2i5-/s2048/122948846_354560082298382_217931920615002848_n.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1364" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgong5V-ohXxHN21GzvYpaiWoaLhLFk0Dpb3a0ph_EwN9g3tsi5McLWwFTrXeVf-j-Y0bXrlsbdlwNT6zzJJuhFdkOCbZY09mGNbrtNuhpchxST48Yp53SxnYwRVFWVcHivJqweW6hG2i5-/s320/122948846_354560082298382_217931920615002848_n.jpg" /></a></b></div><b><br /></b><p></p><p>Si immagina lei, nell’87, portare fuori i ragazzi a fare lezione? E poi, ci invidiavano tutte le classi. Uscivamo una volta ogni dieci giorni, la scuola è fatta anche di sacrificio e di programmi, non vorrei che gli altri insegnanti dicessero: “Ah lui se lo poteva permettere!” Il bello è che ognuno parlava liberamente, un discorso continuo in cui entravamo tutti, per scoprire cosa l’uomo aveva costruito nella cultura scientifica e umanistica. Era una classe di ragazzi bravissimi, che io nel libro ho descritto come pittori perché dipingevano se stessi, una classe di ragazzi che ci stavano al gioco, come quando li ho costretti a studiare il Vangelo o a ripensare Ulisse come un drogato. E’ bello uscire dallo schema, trovare altre soluzioni, anche impossibili, perché l’uomo è un’avventura planetaria, non si può assolutamente costringerlo nelle pagine di un libro.</p><p></p><p><b>E’ un libro autobiografico o una lectio magistralis?</b></p><p>Non saprei, è comunque un romanzo, un romanzo di saggi, nel senso di lezioni, ecco, è un romanzo di lezioni, un genere nuovo. C’è una storia dentro, quella tra me e il professor Bataille, una storia a specchio, io che incontro me stesso vecchio, quando la concezione dell’amore cambia completamente. E poi c’è la storia dei ragazzi.</p><p><b>Con qualcuno di loro è rimasto in contatto?</b></p><p>Sì, molti mi hanno scritto via mail, attendono freneticamente questa uscita per sapere cosa dico di loro. Mi stupisco, piuttosto, di non averle scritte prima le mie lezioni. Come mai mi è venuto in mente solo adesso? Sarà stato il blocco che abbiamo avuto a marzo, dovendo stare in casa, mi son detto che era la volta buona per ricordare quello che insegnavo"</p><p><b>Nostalgia?</b></p><p>Tanta nostalgia, insegnare è stata per me la cosa più bella del mondo, anche più di andare su un palco a cantare. E’ un rapporto infinitesimale di amicizia e passione, ma anche di autorità, che non dimenticherò mai. Sono cresciuto tanto, da pischello, come dicono a Roma, sono diventato una persona abbastanza sicura di sé e di quello che dice. Noi conosciamo i ragazzi molto di più dei loro genitori, i ragazzi a scuola sono indifesi, li vediamo proprio nella loro anima. Io sapevo tutto, sentivo quando non ce la facevano, non li interrogavo quando capivo che avevano un problema. Non parlo dei superbi, quelli con me avevano vita breve, li conciavo sempre malissimo. Il Liceo è un universo, è come essere in una bolla, in cui vedi i riflessi dell’esterno, e tu dentro, guardando le cose, indaghi te stesso, questo facevamo.</p><p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjM4NKYa0xw5zTfafxAahMiN_5LAHyLHgeGxUfGTIxjd3TCCHTrcxbwrz0aLg8iw7qqe47TZ_O5LQcxZu72EoMsxjymuBFdqmpoHPqPhCQcSUgXCyLBUeoJUPTlfUX0dZyHRUkzIiZkF8I3/s1547/vecchioni.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1547" data-original-width="1000" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjM4NKYa0xw5zTfafxAahMiN_5LAHyLHgeGxUfGTIxjd3TCCHTrcxbwrz0aLg8iw7qqe47TZ_O5LQcxZu72EoMsxjymuBFdqmpoHPqPhCQcSUgXCyLBUeoJUPTlfUX0dZyHRUkzIiZkF8I3/s320/vecchioni.jpg" /></a></b></div><b><br />“Poesia e canto sono due forme di un identico pathos”. In un capitolo, descrive la sua amicizia con Alda Merini e ci regala una sua poesia inedita, chiosando: “Dovrebbero tradurla a Bob Dylan”.</b><p></p><p>Dylan dovrebbe leggere tutta la Merini, non solo quella poesia, per capire come si può scrivere con poche parole, la Merini non ha un vocabolario esteso, però è un vocabolario di grandissimo pathos, le parole le sa mettere. Lei scriveva al volo, non correggeva mai, l’ho vista scrivere sulle porte delle case, sulla carta igienica, dettava perché non voleva nemmeno fare la fatica di scrivere.</p><p><b>Per spiegare il mito, si va da Fabrizio De Andrè, quasi un rito di iniziazione per molti di noi negli anni del Liceo, alla squadra del cuore, nel suo caso l’Inter, con Mario Corso, l’inventore della “foglia morta”, scomparso recentemente. Chi è per lei il Mario Corso della canzone d’autore?</b></p><p>Come genialità probabilmente Rino Gaetano, forse il più bizzarro, il più estroverso e nuovo cantautore, ma non c’è solo lui, ce ne sono anche altri che hanno queste caratteristiche. Il guizzo, quello che fa cose che nessuno sa fare, ecco quello è il Mario Corso. De André è stato bravo sempre, non lo associo a Mario Corso, De Andrè è come Ronaldo, Mario Corso aveva quel colpo di genio che stupiva. Anche Jannacci era un Mario Corso.</p><p><b>Lo sa che il preferito di Rino Gaetano era Enzo Janancci?</b></p><p>Ecco, senza saperlo ho beccato i due che si somigliano, in fin dei conti.</p><p><b>Recentemente il premier Conte, alla commemorazione per Willy Monteiro Duarte, ha detto: “Bisogna scardinare la violenza con lo studio, la conoscenza, il coraggio”. Cosa ne pensa del dilagare del linguaggio dell’odio e dei commenti brutali che infestano i social?</b></p><p>Il mondo è condannato alla complicazione, non alla semplificazione, per cui si annoda tutto e i nodi non si riescono più a sciogliere. E’ un’escalation a gradi di incompetenza, tutti quanti pensano che la democrazia sia aprire la bocca e invece la democrazia è pensare a quello che esce dalla bocca, è una cosa molto diversa. Ci siamo ormai abituati a considerare soltanto e quasi sempre il nostro punto di vista e mai quello degli altri, senza quella grande capacità di afflato comune che, come dice bene Conte, dovrebbe continuare ad esistere. </p><p><b>In un passaggio del libro, scrive: “Non avevo troppa voglia di politica, se n’era appena andato un uomo che, quello sì, era un mito e mi aveva lasciato un buco nel cuore, grande come una voragine”</b></p><p>Lei lo avrà capito, è Enrico Berlinguer e stava facendo un miracolo. Il libro non parla di politica, anche perché sono stufo, ogni giorno ci sono solo trasmissioni politiche e altre venti sul covid, e poi le mie idee politiche le conoscono tutti. Berlinguer è un grande uomo per la semplicità con cui si esprimeva e perché ha tentato di mettere insieme due anime dell’Italia, erano tempi in cui l’intellettuale e l’operaio potevano capirsi, poi si sono separati e si è rotta tutta la sinistra.</p><p><b>Ha appena detto "le mie idee politiche le conoscono tutti”...</b></p><p>Certo, direi.</p><p><b>Ricorderà che recentemente il suo collega e amico, Francesco Guccini, ha dichiarato: “non sono mai stato comunista”, riferendosi alla sua vocazione libertaria, socialista e anarcoide</b></p><p>Io l'ho sempre saputo che Guccini non è mai stato comunista.</p><p><b>E lei, Vecchioni, può dire lo stesso di Guccini?</b></p><p>Certo che no, io sono stato comunista. Lo sono stato per tanti anni, lo sono stato soprattutto, con gioia, quando Berlinguer si è staccato dai russi, ero pienamente convinto. Poi, sa, ci sono anche utopie giovanili a questo mondo, rimango fortemente attaccato al mio pensiero “debole”, che l’uomo è grande, che bisogna aiutarlo, e che tutti abbiamo gli stessi diritti. Sono ovviamente una persona di sinistra, ma avendo ormai passato i settant’anni, non potrei più pensare al mondo come al materialismo meccanicistico di Marx, non ci penso più a quelle cose lì, però so che c’è uno spirito di umanità che gira per il mondo e ci fa uguali e i miei sogni ce li ho sempre, anche se, come le ho detto prima, andiamo verso la confusione, non verso la semplificazione.<br /><br />Timisoara Pinto</p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPZnfVzFf_30loyqrh0nmeedSIHv7f1oyLBKO-rxpvIzR8cdI_VL_zMq38LQDK2jco26GvQPzjEqQCA7OIiUSQezrci6HYLrTt-HCsCUYJyOevZFQfmZ2O9ytJXYiSzmeqWNBEHcFbuIVu/s864/timi_vecchioni.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="617" data-original-width="864" height="286" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPZnfVzFf_30loyqrh0nmeedSIHv7f1oyLBKO-rxpvIzR8cdI_VL_zMq38LQDK2jco26GvQPzjEqQCA7OIiUSQezrci6HYLrTt-HCsCUYJyOevZFQfmZ2O9ytJXYiSzmeqWNBEHcFbuIVu/w400-h286/timi_vecchioni.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">con Roberto Vecchioni nel 2013<br /></td></tr></tbody></table><br /><p><br /><br /><br /></p><div><br /></div>Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-78416121611951167172020-10-02T16:30:00.005+02:002020-10-02T17:52:15.537+02:00 “Atom Heart Mother”, la mucca più famosa del rock<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEqgkL5KWP6iZ5mBOQB7dGge53R7pvlfhV0__YUgHfWIy3LSxmb_qD_Wj7-XSGEzcoKjKlyzRGfqOl2cKpWyvsfgpotkvjngcS9eO-tD-6qAkTMtjqRmcNOdSiLWG8NhY_BALGz6z-HK0g/s227/atom+heart.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="222" data-original-width="227" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEqgkL5KWP6iZ5mBOQB7dGge53R7pvlfhV0__YUgHfWIy3LSxmb_qD_Wj7-XSGEzcoKjKlyzRGfqOl2cKpWyvsfgpotkvjngcS9eO-tD-6qAkTMtjqRmcNOdSiLWG8NhY_BALGz6z-HK0g/s0/atom+heart.jpg" /></a></div><span><br /><span style="font-size: 18.6667px;">Compie 50 anni la mucca più famosa del rock, “Atom Heart Mother”, il quinto album in studio dei Pink Floyd, <span style="font-size: 18.6667px;">pubblicato il 2 ottobre 1970, </span>il disco della svolta, del passaggio dal periodo psichedelico ai fasti dei kolossal rock della band.</span><br /></span><p></p><p><span style="font-size: 14pt; line-height: 19.9733px;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 19.9733px;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjH580t51gKcOGEsUeeABFqIcBh8bSm6taDtVZiKks6Ek9M1ONB36OuLvtcBMvvhW7KFCRmnYj7e9zK7bs4AdfqsnNSvzfgGNUSt7511GLoZfENUa1Xwctnf18DzO_pV-aDRX992_gmj0Ks/s1107/m_merged+%25283%2529.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1107" data-original-width="596" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjH580t51gKcOGEsUeeABFqIcBh8bSm6taDtVZiKks6Ek9M1ONB36OuLvtcBMvvhW7KFCRmnYj7e9zK7bs4AdfqsnNSvzfgGNUSt7511GLoZfENUa1Xwctnf18DzO_pV-aDRX992_gmj0Ks/s320/m_merged+%25283%2529.png" /></a></span></div><div><span style="font-size: 18.6667px;">Atom Heart Mother è uno dei primi dischi della storia del rock a non riportare il nome della band in copertina, senza le foto e le scritte deformate a cui ci aveva abituato la grande grafica degli anni Sessanta.</span></div><div><span style="font-size: 18.6667px;"><br />La band voleva distaccarsi dall’immaginario psichedelico e per questo chiese un’immagine semplice. Fu così che arrivò lo scatto della mucca frisona, citata e omaggiata, tra gli altri, da un album postumo di Frank Zappa, da Aerosmith, Elio e le Storie Tese, Blink 182. </span></div><div><span style="font-size: 18.6667px;"><br /></span></div><div><span style="font-size: 18.6667px;">Atomo, cuore, madre: madre dal cuore atomico. Per il titolo, </span><span style="font-size: 18.6667px;">Roger Waters prese spunto da un articolo di giornale che parlava di una donna in gravidanza a cui era stato impiantato un pace-maker atomico.</span></div><div><span style="font-size: 18.6667px;"><br /></span></div><div><span style="font-size: 18.6667px;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhP7po9Zm-ONZGDI4b8DCu7K-KncV3y8M_Ou5S3PKBKHyl3tqG_LoGwlJ-WPk-apWwKsQf9uR-0e5tSaks6BfDOkWYEAjcBWIiIxAx71s6we0I_-TqKQtig-5enalZVnB4ET3LtEozaEB_U/s888/m_merged+%25281%2529.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="888" data-original-width="466" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhP7po9Zm-ONZGDI4b8DCu7K-KncV3y8M_Ou5S3PKBKHyl3tqG_LoGwlJ-WPk-apWwKsQf9uR-0e5tSaks6BfDOkWYEAjcBWIiIxAx71s6we0I_-TqKQtig-5enalZVnB4ET3LtEozaEB_U/s320/m_merged+%25281%2529.jpg" /></a></div>I Pink Floyd non hanno mai amato particolarmente questo album al punto che David Gilmour l’ha definito </span><span style="font-size: 18.6667px;">spazzatura sperimentale, un raffazzonato tentativo di raschiare il fondo del barile, ma “Atom Heart mother” è ancora oggi, tra i più apprezzati dai fan della band, nonché il primo del gruppo a raggiungere il numero uno della classifica inglese.</span></div><div><span style="font-size: 18.6667px;"><br /></span></div><div><span style="font-size: 18.6667px;">Dissonante e intimo, rumori domestici e aperture ariose, con una potenza sonora e orchestrale dovuta all’opera di mixaggio di Alan Parsons e Peter Brown, e agli arrangiamenti di Ron Geesin, compositore d’avanguardia, che per questo disco fu giustamente definito il quinto Pink Floyd. Un film per le orecchie, tanto che Stanley Kubrick chiese ai Pink Floyd di poter spezzettare la suite di circa 23 minuti che dà il titolo all’album in vari momenti di “Arancia Meccanica”. Non se ne fece nulla, ma Kubrick riuscì comunque a inserire il disco nel film, facendo apparire la copertina nella scena ambientata in un negozio di dischi.<br /><br /></span></div><div><span style="font-size: 18.6667px;">Storm Thorgerson, autore della copertina, lo stesso ‘cover designer’ di “The dark side of the moon”, dichiarò: “Penso che la mucca rappresenti il loro umorismo, un aspetto poco conosciuto o sottovalutato dei Pink Floyd”, senza sapere che molti anni prima, nel 1963, una mucca pezzata era già stata utilizzata come foto di copertina da uno dei nostri cantautori più amati e, guarda caso, più ironici, Sergio Endrigo.</span></div><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRkf6pOG2nlkq7-A4db0vbuKe2GhBi2tYNnSZ8JV7VxjMYsA34i_ULytVNS926-e8Gp1LAVYJlCyOCtWs3P4nwwesDh4KdnWyRyn-taBLmRwXfAhhJc3so-EoiPhqWn4KgOT9CIujQFnZN/s600/endrigo.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="591" data-original-width="600" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRkf6pOG2nlkq7-A4db0vbuKe2GhBi2tYNnSZ8JV7VxjMYsA34i_ULytVNS926-e8Gp1LAVYJlCyOCtWs3P4nwwesDh4KdnWyRyn-taBLmRwXfAhhJc3so-EoiPhqWn4KgOT9CIujQFnZN/s320/endrigo.jpg" width="320" /></a></div><br /><p class="MsoNormal"><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><span style="font-size: 14pt; line-height: 107%;"><br /></span><p></p>Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-8424341332440602442020-09-23T21:35:00.003+02:002020-09-23T21:43:20.369+02:00 Juliette Gréco, la musa che si abbronzava alla luna…<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikoyvuVP4QJaGy40f65FDZfgVCK4Xj80V70Lyd-n1NvPPTZZtAceYoeXN83Ixq0UBLTC8SYHGSnR2ijxpJ5knsFnp6TOriT7zVaoFhlmRYteWTOoZdpodHzzGfU_tIwfGS8_VXTzbIjrNG/s420/greco+2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="380" data-original-width="420" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikoyvuVP4QJaGy40f65FDZfgVCK4Xj80V70Lyd-n1NvPPTZZtAceYoeXN83Ixq0UBLTC8SYHGSnR2ijxpJ5knsFnp6TOriT7zVaoFhlmRYteWTOoZdpodHzzGfU_tIwfGS8_VXTzbIjrNG/s320/greco+2.jpg" width="320" /></a></div><p>“Ero una ragazza nera e bianca con i capelli lunghi. Mi
interessava molto la cultura e i fotografi si interessavano molto a me”. Con
queste parole, in un’intervista radiofonica di quarant’anni fa, la “rosa delle
tenebre” (per Jean Cocteau), il “piccolo cucciolo da cabaret” (per Charles
Trenet) o musa dell’esistenzialismo (per sempre e per tutti), svelava qualcosa
di sé. Misteriosa come la
Sfinge, con gli occhi grandi e truccati di nero come una dea
egizia, la pallida Gréco, che secondo Pablo Picasso “si abbronzava alla luna”,
indossa ancora i suoi lunghi abiti neri, ieri Chanel, oggi Sonia Rykiel. Il 7
febbraio Juliette Gréco compirà 78 anni e, prima del concerto del 16 gennaio
all’Auditorium, è attesa domani a Catanzaro il 14 e a Catania il 15. La sua
voce fascinosa e per nulla usurata dal tempo posa al telefono, dalla sua casa
in campagna a 80 km
a nord di Parigi.</p><p class="MsoNormal"> </p>
<p class="MsoNormal">Contenta di tornare in Italia, madame Gréco? </p>
<p class="MsoNormal">"Incantata. L’Italia è la mia seconda patria. Amo la sua
bellezza, l’anima, la gente, la musica, la pittura, la scultura, il mare. E’ un
paese che adoro”.</p>
<p class="MsoNormal"><br />E’ vero che farà un disco con Paolo Conte? <br /><br />“E’ quasi sicuro. Mi piace molto anche Zucchero, ma non
conosco altri musicisti italiani, purtroppo”. </p>
<p class="MsoNormal"> <br />Al suo arrivo troverà una sorpresa: il divieto di fumare. </p>
<p class="MsoNormal">“Lo so bene, la notizia è arrivata anche qui. La trovo una
decisione piuttosto violenta. E poi è assurdo e incoerente che da una parte si
faccia una legge del genere e dall’altra le strade siano piene di distributori
a disposizione dei ragazzini. D’altronde è come in Francia, ma io ho smesso di
fumare da molto tempo”. </p>
<p class="MsoNormal"><br />Ha mai amato uomini italiani? </p>
<p class="MsoNormal">“No, nella mia vita molto agitata, questo non è capitato e
lo rimpiango”. <br /> </p>
<p class="MsoNormal"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjr7kf6acKfYQo03yRazEtubPaxNRKk5YwksbHhiZwHsYR3WARwmw94ryajwNBOniYb3u2nVdAF2yTYLa2hAi5sgtPaiG_ZTad7VIyTAq6nG5ZfjqrpJN4HJgXRWuyZovFbUab-vXL1gI-Y/s900/greco.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="900" data-original-width="634" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjr7kf6acKfYQo03yRazEtubPaxNRKk5YwksbHhiZwHsYR3WARwmw94ryajwNBOniYb3u2nVdAF2yTYLa2hAi5sgtPaiG_ZTad7VIyTAq6nG5ZfjqrpJN4HJgXRWuyZovFbUab-vXL1gI-Y/s320/greco.jpg" /></a></div><br />Ha mai parlato dei suoi affetti nelle canzoni?<p></p>
<p class="MsoNormal">“Ho scritto un brano per un figlio che non ho mai avuto. Ho
una figlia che mi gratifica pienamente, ma questo bambino della canzone non
l’avrò mai. Allora amavo un uomo con il quale non potevo avere bambini”. </p>
<p class="MsoNormal"><br />Molti artisti hanno scritto per lei; ora chi sceglierebbe? </p>
<p class="MsoNormal">“L’uomo con cui sto: Gerard Jouannest, pianista e
compositore di Jacques Brel”. </p>
<p class="MsoNormal"><br />E qual è stato l’uomo più importante della sua vita? </p>
<p class="MsoNormal">“Quello che ho amato quando avevo 19 anni e che è morto
giovanissimo. Dunque ero “vedova” a 19 anni”. <br /><br /><br />Lei ha sempre preso una posizione in politica. Ci sono
canzoni che fanno altrettanto, come “Il disertore” di Boris Vian. Lei che ne
pensa? </p>
<p class="MsoNormal">“Non l’ho mai cantata, perché è una canzone adatta a un
uomo. Ma penso sia perfetta per descrivere la situazione attuale e, finché
esisteranno degli eserciti, lo sarà sempre”. </p>
<p class="MsoNormal"><br />Cosa pensa della posizione della Francia rispetto alla
guerra in Iraq? </p>
<p class="MsoNormal">“Penso abbia avuto ragione a dire no. Un gesto coraggioso e
molto bello”. </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_He6FBB9iaGDrSl0JdnY4HohiIboooGjjSUXWKsh_dHKDrOX9zN2edH701LS5lcUFC4KvG8F-FwWGdDGMwN-62ay2vKFQlBGzcW3EnzY1MtFh89sWm89BQTUZuoguEyRQjiZ-RgEEkcKP/s265/Greco_10.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="265" data-original-width="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_He6FBB9iaGDrSl0JdnY4HohiIboooGjjSUXWKsh_dHKDrOX9zN2edH701LS5lcUFC4KvG8F-FwWGdDGMwN-62ay2vKFQlBGzcW3EnzY1MtFh89sWm89BQTUZuoguEyRQjiZ-RgEEkcKP/s0/Greco_10.jpg" /></a></div><br /><p></p>
<p class="MsoNormal">E della posizione italiana? </p>
<p class="MsoNormal">“Non mi riguarda”. </p>
<p class="MsoNormal"> <br />Avrà sicuramente un’opinione...</p>
<p class="MsoNormal">“Si, ma è negativa”. </p>
<p class="MsoNormal"> <br />Ha riflettuto sulla tragedia che ha colpito l’Asia? </p>
<p class="MsoNormal">“Spaventoso. Si ha un bel dire che Dio è buono, ma per il
momento non ci tratta molto bene. Questa sciagura ci riporta alla nostra dimensione
che è molto piccola. Ci dovrebbe richiamare all’umiltà, alla solidarietà e
ricordare che c’è della gente che abusa della debolezza dei bambini per rapirli
e venderli. Ancora più abominevole pensare che approfittino di momenti come
questo per intensificare i loro traffici”. </p>
<p class="MsoNormal"><br />Cosa può fare un artista? </p>
<p class="MsoNormal">“Detesto quelli che appoggiano le grandi cause per sostenere
la propria. Io avrei l’impressione di servirmi del sangue degli altri. Si può
essere utili al prossimo senza apparire. Per lanciare un messaggio a volte
basta cantare”. </p>
<p class="MsoNormal"> </p>
<p class="MsoNormal">Timisoara Pinto (intervista gennaio 2005)</p>
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<p class="MsoNormal"> </p>Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-62850098421514867652020-02-07T19:40:00.000+01:002020-02-10T11:19:47.883+01:00Storie di deportati italiani nei lager nazisti: il pittore Aldo Carpi (padre di Fiorenzo Carpi)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQOO7mk38bQHXiOtCDNyTuw9D0VDRyw29zJNNI-yz3FBfgEVL6mDnpaFNL0aEWllM7T5lR6nMVNuFeVkdO8nzURPzMe8r6zLJD3TkBHOMaCnUPoBRX_ZHsv3c47mQGAHQ9uA0n0ppBYTHO/s1600/WhatsApp+Image+2020-02-03+at+23.17.49+%25281%2529.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1123" data-original-width="640" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQOO7mk38bQHXiOtCDNyTuw9D0VDRyw29zJNNI-yz3FBfgEVL6mDnpaFNL0aEWllM7T5lR6nMVNuFeVkdO8nzURPzMe8r6zLJD3TkBHOMaCnUPoBRX_ZHsv3c47mQGAHQ9uA0n0ppBYTHO/s400/WhatsApp+Image+2020-02-03+at+23.17.49+%25281%2529.jpeg" width="227" /></a><br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJnMIjr_k4MOfLac4IBFd_RSKZ-r_HJR1iK_tSgmoIsEj2Ym1wvuyaSRJI3Qcnb9QF3W5IqWzM1w7FXQs455_axqcPG4O313C0qEb0sVBrMaOsZzvSLGoULz2A6rRYooQmuZQT-3OVJJPi/s1600/aldo+carpi.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="312" data-original-width="418" height="238" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJnMIjr_k4MOfLac4IBFd_RSKZ-r_HJR1iK_tSgmoIsEj2Ym1wvuyaSRJI3Qcnb9QF3W5IqWzM1w7FXQs455_axqcPG4O313C0qEb0sVBrMaOsZzvSLGoULz2A6rRYooQmuZQT-3OVJJPi/s320/aldo+carpi.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Un dipinto di Aldo Carpi </td></tr>
</tbody></table>
“Queste cose le ho vissute e le ho scritte, ma quello che ho vissuto è molto diverso da quello che ho scritto”<br />
Aldo Carpi, pittore e scultore, papà del grande e geniale compositore Fiorenzo Carpi e di altri cinque figli, fu deportato a Mauthausen e poi a Gusen.<br />
Riuscì a salvarsi perché i nazisti gli chiedevano i ritratti per le loro fidanzate, dipingeva per loro anche i paesaggi che da lì, naturalmente, non poteva vedere.<br /><br />
A Gusen riuscì a scrivere delle brevi lettere in cui immaginava di rivolgersi a sua moglie Maria. Queste pagine sono arrivate a teatro grazie allo spettacolo della nipote, Martina Carpi, figlia del primogenito Fiorenzo.<br />
<br />
Aldo Carpi, pensate, era nato a Milano nel 1886 e a 12 anni è già testimone della storia, dei moti operai del 1898, degli arresti e delle repressioni di Bava Beccaris.<br />
<br />
"I fascisti sono venuti a prendermi perché avevo aiutato un'allieva ebrea agli esami di Brera, l'avevo aiutata come qualsiasi altro allievo che ne avesse avuto bisogno, solo che mi aveva fatto orrore vedere quella povera ragazza messa da parte come una bestia velenosa, mentre dei miei colleghi prendevano sul serio quelle cose ed è stato uno di loro a denunciare il fatto."<br />
<br />
In quelle infime condizioni, Aldo Carpi riuscì sempre a mantenersi uomo, di quella tragica esperienza ricorda lo sforzo di mantenere la calma, la speranza, lo sguardo sempre alto e lontano, ma tornato a casa e nominato direttore di Brera per acclamazione, non volle mai più rileggere il suo diario. “Mi venivano in mente le canzoni, gli echi e gli accenti di Vivaldi e di Bach” racconterà anni dopo.<br />
<br />
Tutta la sua famiglia riuscì a scappare in Svizzera, tranne Paolo, il penultimo figlio, deportato e ucciso a Gross-Rosen a pochi giorni dalla liberazione, appena i nazisti capirono che mancava poco all'arrivo delle armate sovietiche.<br />
Tutto questo lo so perché ieri sera ho ascoltato il racconto di Martina Carpi che ha voluto portare a teatro questa storia di famiglia, questa storia che riguarda tutti noi.<br />
<br />
<span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #1c1e21; display: inline; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 14px;"></span><br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5OczUpzw8uabYf6WblxFv-OPzwwhYhgKglKfbqT9bU9hzyxHO_HWADY53H2B0mc4voPWPH6pEmDletdR1J0zwEzK7qgWmryClbjfu0HitM9gYgY-aprKbR3zu90v6zXRjaIhAXsLSYw70/s1600/Aldo-Carpi-con-la-nipote-Martina-Carpi-in-foto-depoca-750x430.png" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="430" data-original-width="750" height="183" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5OczUpzw8uabYf6WblxFv-OPzwwhYhgKglKfbqT9bU9hzyxHO_HWADY53H2B0mc4voPWPH6pEmDletdR1J0zwEzK7qgWmryClbjfu0HitM9gYgY-aprKbR3zu90v6zXRjaIhAXsLSYw70/s320/Aldo-Carpi-con-la-nipote-Martina-Carpi-in-foto-depoca-750x430.png" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Aldo Carpi con la nipote Martina</td></tr>
</tbody></table>
<br />
<div style="text-align: center;">
<span style="color: #1c1e21; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span></div>
<br /><span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #1c1e21; display: inline; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 14px;"></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-30405193247831184462019-12-30T23:30:00.000+01:002020-01-14T17:45:45.627+01:00La Potenza - Taranto in bicicletta sulle orme di Alfonsina<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjegb7Jneo-6jN2jPv2RPG58RuSV4scwUTHfXCpe8yd8UlwhJ2MIoYBK3d5yw3CHoYPDpiciW3TZ8kwAlcnSb3loKtsLgnOcN-28YJtiLktUc3hw2EcHKecVaCOFMINeIXSySAbuwUawUVg/s1600/82000284_2544832799090779_1185317029876334592_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="720" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjegb7Jneo-6jN2jPv2RPG58RuSV4scwUTHfXCpe8yd8UlwhJ2MIoYBK3d5yw3CHoYPDpiciW3TZ8kwAlcnSb3loKtsLgnOcN-28YJtiLktUc3hw2EcHKecVaCOFMINeIXSySAbuwUawUVg/s400/82000284_2544832799090779_1185317029876334592_n.jpg" width="300" /></a></div>
<span style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: , , "blinkmacsystemfont" , ".sfnstext-regular" , sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgum8kaXnTsn2nVDsxfBYLqyiICCvPICQvV4d2qps9hDIn2sMXEu7-lDZgrw2VJO0_-grqxu-9_YhcLgqDvbofVs9gP7wnDmuyTB-UOiKX_tHIoiiLnnb9mUQNb8XCxyi6Sk17O4E_gMfy/s1600/81976739_2544832852424107_3316087151946366976_n.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="836" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgum8kaXnTsn2nVDsxfBYLqyiICCvPICQvV4d2qps9hDIn2sMXEu7-lDZgrw2VJO0_-grqxu-9_YhcLgqDvbofVs9gP7wnDmuyTB-UOiKX_tHIoiiLnnb9mUQNb8XCxyi6Sk17O4E_gMfy/s200/81976739_2544832852424107_3316087151946366976_n.jpg" width="173" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0.21cm;">
Serata a Matera in una “casa ospitante”, una delle 12 abitazioni che hanno accolto ieri i concerti organizzati da Gigi Esposito e dall'Ente Parco della Murgia Materana.<br />
<br />
È Palazzo Bernardini, nato nel 1448 dalle macerie di una delle otto torri a difesa della città. Un concerto all’ingresso, un altro al piano nobile. Grandi saloni, lampadari, alti soffitti decorati.<br />
<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQFdz74a4ItaFWNa415oGJopM5n6zhrqxz9QMTmpLnKmtMnwudr5BfFXa1pO129S2-zI8bbWYwL1foGkxLMJbTbg5QGVQAUHF41OXT6FEkBwRf_FO4k7YpxissgIb01kSvGYm81NjEjKwj/s1600/81207239_2544832792424113_6822000377928351744_n.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="704" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQFdz74a4ItaFWNa415oGJopM5n6zhrqxz9QMTmpLnKmtMnwudr5BfFXa1pO129S2-zI8bbWYwL1foGkxLMJbTbg5QGVQAUHF41OXT6FEkBwRf_FO4k7YpxissgIb01kSvGYm81NjEjKwj/s320/81207239_2544832792424113_6822000377928351744_n.jpg" width="234" /></a>Il mio occhio cade su un volume rilegato poggiato in un angolo. Sulla costina la scritta “1924, giugno”.<br />
<br />
“Matteotti!” penso subito, “Il Giro d’Italia”, subito dopo.<br />
<br />
Il Giro di Alfonsina Strada, l’unica donna ad aver corso insieme agli uomini, una storia a me molto familiare tanto da far nascere una canzone.<br />
<br />
Comincio a sfogliare, non è L’Unità, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci proprio in quell’anno, ma, ovviamente il foglio del territorio, La Gazzetta di Puglia: molti resoconti parlamentari, brevi dall’estero, pubblicità, fidanzamenti, delitti, annunci vari, ma di Matera rarissime notizie.<br />
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0.21cm;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdvvJcBvUx_135ukDe2ziVkT0wXsJWJhV6XPqo7MHoVaI1ZCCDlFqkJWAjl4EL0p2TCI0TNM7C8sf5NidWbZ3O2GbFmUExTC-FIKmw7XJ3KBzs5tF7COmcZrs8YmVIwGp-l5NGGnZZpczj/s1600/81265211_2544832865757439_6105232235294621696_n.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="720" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdvvJcBvUx_135ukDe2ziVkT0wXsJWJhV6XPqo7MHoVaI1ZCCDlFqkJWAjl4EL0p2TCI0TNM7C8sf5NidWbZ3O2GbFmUExTC-FIKmw7XJ3KBzs5tF7COmcZrs8YmVIwGp-l5NGGnZZpczj/s320/81265211_2544832865757439_6105232235294621696_n.jpg" width="240" /></a><br />
Potenza “non pervenuta”, come la televisione ci ha abituato, negli anni a venire, all’ora del meteo.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
Allora cerco notizie di Alfonsina, vado alla pagina sportiva che inaspettatamente apre con la scherma e i tornei pugliesi di Mangiarotti, Grinda, Violante, poi dal Giro nessun dettaglio particolare.<br />
<br />
<br />
Alla pagina del 20 maggio finalmente un articolo sulla Corsa, e che articolo, Potenza è nel titolo. È la cronaca di una tappa, ma certo, se c’è una tappa a cui queste quattro pagine quotidiane locali possono dare spazio, è quella pugliese, anzi, quella appulo-lucana.<br />
<br />
È la quinta tappa, la Potenza-Taranto: Alfonsina Strada è staccata di quattro ore circa dal primo, arriva ultima in 12 ore e 50 minuti. Lei che per partecipare si registra come Alfonsin Strada, ma già all’arrivo di questa tappa, è la più acclamata.<br />
<br />
Sono trascorsi quasi cent’anni e con l’ultimo assolo in lontananza di Ettore Fioravanti alla batteria, io cerco di immaginare il percorso, attraverso paesi come Vaglio e Tricarico, di una Basilicata in bicicletta ai tempi di Alfonsina.</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSbvLTGpmht-o0Eie8yJGYqSbghBFoul0FfyU486b7-NkoQoOm8M4phLrxp4-0I8md1BlZCEApnWA3xinCyTbtjp6MousZPfSWoPBM52l18lV6fucmtj4YmN2EHm1PXmjYqO7kt_WIaolb/s1600/80966650_2544832935757432_9158871051227103232_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="838" data-original-width="960" height="279" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSbvLTGpmht-o0Eie8yJGYqSbghBFoul0FfyU486b7-NkoQoOm8M4phLrxp4-0I8md1BlZCEApnWA3xinCyTbtjp6MousZPfSWoPBM52l18lV6fucmtj4YmN2EHm1PXmjYqO7kt_WIaolb/s320/80966650_2544832935757432_9158871051227103232_n.jpg" width="320" /></a></div>
<span style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: , , "blinkmacsystemfont" , ".sfnstext-regular" , sans-serif; font-size: 14px;"></span><br style="caret-color: rgb(28, 30, 33); color: #1c1e21; font-family: system-ui, -apple-system, BlinkMacSystemFont, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;" />
<br />
<span class="text_exposed_show" style="color: #1c1e21; display: inline; font-family: , , "blinkmacsystemfont" , ".sfnstext-regular" , sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>
<span class="text_exposed_show" style="color: #1c1e21; display: inline; font-family: , , "blinkmacsystemfont" , ".sfnstext-regular" , sans-serif;"></span><br />
<div style="font-size: 14px;">
<span class="text_exposed_show" style="color: #1c1e21; display: inline; font-family: , , "blinkmacsystemfont" , ".sfnstext-regular" , sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span></div>
<div style="font-size: 14px;">
<span class="text_exposed_show" style="color: #1c1e21; display: inline; font-family: , , "blinkmacsystemfont" , ".sfnstext-regular" , sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span></div>
<span class="text_exposed_show" style="color: #1c1e21; display: inline; font-family: , , "blinkmacsystemfont" , ".sfnstext-regular" , sans-serif;"><br /></span>
<span class="text_exposed_show" style="color: #1c1e21; display: inline; font-family: , , "blinkmacsystemfont" , ".sfnstext-regular" , sans-serif;"><br /></span>
<br />
<br />
<span class="text_exposed_show" style="color: #1c1e21; display: inline; font-family: , , "blinkmacsystemfont" , ".sfnstext-regular" , sans-serif;"><br /></span>
<span class="text_exposed_show" style="color: #1c1e21; display: inline; font-family: , , "blinkmacsystemfont" , ".sfnstext-regular" , sans-serif;"><br /></span>
<span class="text_exposed_show" style="color: #1c1e21; display: inline; font-family: , , "blinkmacsystemfont" , ".sfnstext-regular" , sans-serif;"><br /></span>Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-84416954595946799982019-11-08T11:44:00.002+01:002019-11-08T15:23:44.760+01:00Berlino, da Muro a Murales con Kiddy Citny<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1MFeHlX2tVvpOz9vevM4qmmu5TXxXrb8kHVR6EBACaLLX95dvKlE5CximsRWxZWt3AVa1B6iInMcQ0aBOqtt9aNb4AMAl9c9Kz83r2XQ7OLOxQsNseXR3PTgghb4ZBV1hntn2mkfzNy9k/s1600/WhatsApp+Image+2019-11-01+at+17.57.27.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="826" data-original-width="1485" height="221" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1MFeHlX2tVvpOz9vevM4qmmu5TXxXrb8kHVR6EBACaLLX95dvKlE5CximsRWxZWt3AVa1B6iInMcQ0aBOqtt9aNb4AMAl9c9Kz83r2XQ7OLOxQsNseXR3PTgghb4ZBV1hntn2mkfzNy9k/s400/WhatsApp+Image+2019-11-01+at+17.57.27.jpeg" width="400" /></a></div>
<br />
Da muro a murales, gigantesca tela a cielo aperto, galleria d’arte contemporanea e temporanea, il Muro ha rappresentato anche la prima forma di Street-art a Berlino. <br />
Kiddy Citny è stato il primo, nel 1984, con Thierry Noir e Christophe Bouchet, a sfidare il muro con la pittura, il 19 e 20 novembre l’artista berlinese sarà in Italia per dipingere con Jakob de Chirico un muro allestito all’interno del Museo Macro di Roma.<br />
<br />
<b>Kiddy Citny, com’è è nata l’idea di dipingere il muro? Immagino sia stato un momento pieno di emozioni contrastanti.</b><br />
<br />
Ho iniziato a dipingere sul muro di Berlino per rinchiuderlo nell’arte, per mostrarne l‘assurdità.<br />
L’arte come forma più alta di comunicazione ha il compito di raggiungere il maggior numero possibile di persone, il muro di Berlino, il lato ovest del muro, era perfettamente adatto a questo, e così è diventato il mio primo atelier.<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRoJx2TID9vlMmOVTPbSRdVJHVDbx3tD8PORlIef4T_FL_jSPEqiXSnSL3tS2F9pc5YnuRrMOPNZrCQ9DD0P6NapIO3S69aqda_U8-SzbJDhlVN1ewWMfeGMpMsenMw96JhNzKsDFMSBPb/s1600/berlinwall_1984_kiddycitny-247x300+kiddy.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="247" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRoJx2TID9vlMmOVTPbSRdVJHVDbx3tD8PORlIef4T_FL_jSPEqiXSnSL3tS2F9pc5YnuRrMOPNZrCQ9DD0P6NapIO3S69aqda_U8-SzbJDhlVN1ewWMfeGMpMsenMw96JhNzKsDFMSBPb/s1600/berlinwall_1984_kiddycitny-247x300+kiddy.jpg" /></a>Con Thierry Noir e Christophe Bouchet abbiamo dipinto un centinaio di metri di un mondo colorato, vivace e libero.<br />
<br />
<b>Era un atelier molto freddo...</b><br />
Il muro costruito nel 1961 era freddo, disumano, un muro di morte, un relitto della Guerra Fredda, del comunismo contro il capitalismo, Berlino una città artificiale<br />
<br />
<b>Le persone, i passanti, come hanno reagito?</b><br />
Siamo stati i primi che hanno dipinto arte e immagini sul muro, le persone erano divise a metà: una parte diceva meraviglioso, fico, gli altri dicevano non potete dipingere sul muro. Nel 1986, Wim Wenders ha scoperto i nostri dipinti e ha girato molte scene del suo film “Il cielo sopra Berlino”<br />
<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjv4m1hK25OUnkzwSl7d44Roa83j5HK5Rq1MkAjtISwUUBUFVLJ22bRV9hUHr4F_SuRO1T9rzeHV-75KKN0KfpuRwzjRS5qnXHqPGL-jWRhOV3Poit2t8mVcqRD9ZN6soG1kIU5moV83ycJ/s1600/kiddy.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="423" data-original-width="354" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjv4m1hK25OUnkzwSl7d44Roa83j5HK5Rq1MkAjtISwUUBUFVLJ22bRV9hUHr4F_SuRO1T9rzeHV-75KKN0KfpuRwzjRS5qnXHqPGL-jWRhOV3Poit2t8mVcqRD9ZN6soG1kIU5moV83ycJ/s200/kiddy.jpg" width="166" /></a><br />
<b>Così improvvisamente guardando Berlino dall’alto si poteva vedere un lato del muro, brillante e artistico, e un lato grigio, the dark side of the wall, un lato oscuro. Puoi descriverci quel lato, la vita, le sensazioni a Berlino Est?</b><br />
Raramente sono andato a Berlino Est, era grigio, deprimente, un odore di fosforo e carbone sulle labbra, le persone non erano libere, era triste<br />
<br />
<b>Tu sei anche un musicista. Ci sono molte canzoni dedicate al muro, qual è la tua preferita, quella che descrive meglio quegli anni?</b><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4752gqOa1-U5mwfYq4Ue2cAw546WpXb0MM5JI8o96nBN7encmWKbXVSbY92rkHb0s2z0JceO1PFOgbZOhzQbpm9ViC2yodusKGEe1MRopK65lrgbaELdfbItD2VuYjOE4LWop7gtI7ojo/s1600/Sprung-aus-den-Walken-764x1024+kiddy.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="764" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4752gqOa1-U5mwfYq4Ue2cAw546WpXb0MM5JI8o96nBN7encmWKbXVSbY92rkHb0s2z0JceO1PFOgbZOhzQbpm9ViC2yodusKGEe1MRopK65lrgbaELdfbItD2VuYjOE4LWop7gtI7ojo/s320/Sprung-aus-den-Walken-764x1024+kiddy.jpg" width="238" /></a></div>
Siamo stati giovani socializzati dal punk rock, la nostra libertà era di vivere nel presente, tutto era per noi, tutto era per gli altri, era una questione di libertà.<br />
In quel momento avevo il mio gruppo musicale “Sprung aus den wolken” (Il salto dalle nuvole), i nostri testi dicevano “Siamo giovani e non possiamo aspettare” li abbiamo dipinti come immagini sul muro.<br />
Abito dal 1975 a Berlino ovest e ho conosciuto musicisti come Iggy Pop, David Bowie e Nina Hagen, erano persone normali come me e te.<br />
Tutti i creativi si sentivano a loro agio a Berlino perché c’era una libertà che non esisteva da nessuna altra parte in Europa<br />
I Sex Pistols avevano una canzone “Holidays in the sun”, una frase è “Ora ho una ragione per aspettare: è il Muro di Berlino”,<br />
<br />
<b>Hai cominciato dipingendo volti a forma di cuore e personaggi con la corona che sono diventati tratti distintivi della tua arte, il tuo modo per dire che ognuno dev’essere re o regina della terra che ha scelto di abitare. Dopo quello di Berlino, hai dipinto altri muri?</b><br />
<br />
Preferisco ancora dipingere sui muri, tanto spazio, la dimensione è fantastica e l’arte all’aperto diventa pubblica.<br />
E’ il mio un messaggio a tutti i presidenti di questo mondo che vogliono costruire muri, per tenere imprigionata la loro gente: rompete i muri perché solo una vita senza muri è una vita libera.<br /><br /><b>Timisoara Pinto</b><br /><br />
<a href="https://www.raiplayradio.it/audio/2019/11/RaiTv-Media-Audio-Item-07741715-63a0-4107-8075-b02d79432a14.html" target="_blank"><b>Intervista con Kiddy Citny - Radio1 in viva voce</b></a><br /><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgp2JouR4GV1TqHkeJYH3OqIYK-5iuuEwdzuy1tntHSxveJHt0KKLTx6Fb5T5TZbOsBl4sDjMlrDe8IdND3nWQtl2eaj6zQX7QoNXnHM2HwtvmoJeoNK_qg4uNgk_WLNBvVnUZWR1C5E8tt/s1600/WhatsApp-Image-2019-08-04-at-12.51.212+kiddy.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="978" data-original-width="1464" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgp2JouR4GV1TqHkeJYH3OqIYK-5iuuEwdzuy1tntHSxveJHt0KKLTx6Fb5T5TZbOsBl4sDjMlrDe8IdND3nWQtl2eaj6zQX7QoNXnHM2HwtvmoJeoNK_qg4uNgk_WLNBvVnUZWR1C5E8tt/s320/WhatsApp-Image-2019-08-04-at-12.51.212+kiddy.jpeg" width="320" /></a></div>
<br />Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-51786832852673338922019-10-17T20:21:00.002+02:002019-10-20T21:46:40.223+02:00Il tallone di Achille (Ogni riferimento a Lauro è puramente casuale)<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-lmf4pA5cFtaDzSi62s850ZfEyPFo99hL3JMnSjp-Fa1-9T2-jSuCz9EchEqD4kTof3QHeZhTzNFTaJTg4k41CTAGH5DEV22JsSDcgLCzmQn6Yz7-dY-q1zSksys60_zdIip71rYqMW8r/s1600/immagine5-981x430.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="430" data-original-width="981" height="175" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-lmf4pA5cFtaDzSi62s850ZfEyPFo99hL3JMnSjp-Fa1-9T2-jSuCz9EchEqD4kTof3QHeZhTzNFTaJTg4k41CTAGH5DEV22JsSDcgLCzmQn6Yz7-dY-q1zSksys60_zdIip71rYqMW8r/s400/immagine5-981x430.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">foto di Roberto Coggiola</td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: 12pt;"><br />Sui social impazza il dibattito sul Premio Tenco, molte
vicende evocate da pungenti botta e risposta su facebook riguardano
strettamente soci ed ex soci, lascerei a loro il confronto sulle dinamiche
interne del Club, per concentrare, invece, l'attenzione sul concetto stesso di
canzone d’autore, riflessione che la famiglia Tenco, con il comunicato
chiamiamolo “della discordia”, indirettamente ci spinge a fare.</span><br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Cos’è il Club Tenco lo riporta direttamente il sito
internet della rassegna: “Il Club è stato fondato a Sanremo nel 1972 da un
gruppo di appassionati per promuovere e sostenere la cosiddetta “canzone
d’autore“, ossia la canzone di qualità. Lo scopo del Club è quello di riunire
tutti coloro che, raccogliendo il messaggio di Luigi Tenco, si propongono di
valorizzare la canzone d’autore, ricercando anche nella musica leggera dignità
artistica e poetico realismo. Il Club opera senza scopo di lucro, in assoluta e
riconosciuta autonomia dall’industria musicale”. <br /><br /><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sintetizzando e andando al punto di questa riflessione,
la famiglia Tenco sostiene che alcune scelte della direzione artistica
rappresentino “uno snaturamento inconcepibile, in contrasto con le ragioni per
le quali il Premio Tenco fu istituito” e avverte che “la partecipazione di
alcuni ospiti che non conoscono il mondo dei cantautori, specialmente qualora
venissero incaricati di interpretare la sigla di apertura della rassegna,
potrebbe apparire come una forma di pubblicità per costoro e far perdere la
storica funzione di riconoscimento culturale per coloro che invece creano
canzoni di spessore".<br /><br /><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFPetlOiBxf4mbUMDvYTLLUZnuYT-ePYvA05e5Auo-cvZGgm78-wvXpCB1lascfMW9gY_nUEL8GBr-xAIU4r90oCpyCFeCyNmrw_hYJV54DvdHXotB0lzs8dq48M2W4x7KDTqkMUEta5dA/s1600/IMG-4563.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1068" data-original-width="1600" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFPetlOiBxf4mbUMDvYTLLUZnuYT-ePYvA05e5Auo-cvZGgm78-wvXpCB1lascfMW9gY_nUEL8GBr-xAIU4r90oCpyCFeCyNmrw_hYJV54DvdHXotB0lzs8dq48M2W4x7KDTqkMUEta5dA/s320/IMG-4563.JPG" width="320" /></a></div>
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’ospite a cui quest’anno verrà affidato l’onore di
interpretare “Lontano, lontano”, sigla di apertura della rassegna, si sa, è
Achille Lauro. In effetti, non c’è nel Tenco un criterio o un regolamento in
base al quale si possa scegliere l’interprete della sigla, ad esempio essere
stato vincitore di Targa o aver realizzato un disco con il migliore
arrangiamento, o vincitore di altro premio nell’ambito della canzone d’autore,
così per lanciare delle ipotesi. Niente di tutto questo, fino a poco tempo fa
la sigla era la vera sorpresa dell’edizione: l’interprete veniva svelato solo
quando si alzava il sipario. <br /><br /><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Per quanto gli stessi eredi Tenco abbiano cercato di
riportare la discussione su altri aspetti, dispiace un giudizio così duro e
netto da parte loro nei confronti di un cantante.<br /><br /><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Senza fare paragoni, prendiamo un caso illustre, che
resiste alle mode e agli anni: Rino Gaetano, semplicemente uno che al Tenco non
è mai stato invitato. Il suo stile fu etichettato “nonsense”, un modo per
accostarlo più al pop demenziale che alla canzone d’autore, per capire quanto
frettoloso possa essere tatuare una medaglia o una croce addosso all’emergente
di turno. <br /><br /><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Nessun pregiudizio, quindi, se un artista arriva al
successo grazie a Sanremo e viene in seconda battuta invitato al Tenco, purché,
come ha già brillantemente sintetizzato Marco Molendini, questa scelta non
rispecchi “una tendenza generale, quella di cercare il soccorso del vincitore,
indipendentemente da ogni altra motivazione”.<br /><br /><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Tra le cose, infatti, che vengono contestate, c’è il
tentativo di stabilire troppi legami con il Festival di Sanremo come
scorciatoia per rilanciare la Rassegna della Canzone d’Autore.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Questo contrasta con gli ideali fondativi del Tenco,
che nasce proprio come alternativa al Festival “dominante”, anzi in aperta opposizione,
come atto di protesta alle sue logiche commerciali, per volere di Amilcare
Rambaldi che all'inizio degli anni ‘70 leggendo un articolo su Guccini, Ciampi
e Vecchioni intitolato “Bravi, bravissimi, ma chi li vuole?”, rispose: “Questi
cantautori non li vuole nessuno, li voglio io”.<br /><br /><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">C’è chi apprezza e incoraggia questo avvicinamento,
ritenendo che sia questa la strada (cito da commenti vecchi e nuovi) per
“svecchiare” il Tenco, “il punto di equilibrio e vitalità per non diventare un
museo dal vivo” per “riempire il Teatro Ariston” e chi, invece, pensa che il
Tenco non esprima nulla di datato ma che debba dare spazio e attenzione agli
artisti che non hanno facile accesso ai canali mainstream, che non rientrano
nella programmazione dei network radiofonici, perché non hanno il booking o
l'etichetta giusta, sono autoprodotti, non ci sono spazi televisivi per la
“canzone d’autore”, o molto semplicemente perché l'industria discografica li
considera anagraficamente poco “spendibili”.<br /><br /><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Grande spazio il Tenco riserva a proposte e nomi che
non hanno “pari opportunità” dei nomi più popolari, se la stampa dedicherà a
questi la stessa attenzione sarà un risultato positivo. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Così come sarebbe interessante che un Lauro, dopo
quest’esperienza, restasse più vicino e sensibile al richiamo di questa parte
meno visibile del mondo della canzone e dello show business.<br /><br /><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Qualcuno ha ricordato che Vecchioni, vecchio amico del
club Tenco, ospite della Rassegna fin dai primi anni, ha anche vinto il
Festival di Sanremo. L’ha vinto dopo, però, a coronamento di una carriera.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Certo, ci sono tanti artisti che hanno calcato i due
palcoscenici, ma perché ognuno svolga al meglio il suo ruolo sarebbe auspicabile che
fosse il Festival ad accorgersi dell'esistenza di un circuito alternativo e invitasse cantanti che prima sono stati sul palco del Tenco. E così è stato per
alcuni, comunque pochi (e scusate se sbaglio qualche nome): Daniele Silvestri,
Sergio Cammariere, Francesco Baccini, Avion Travel, Tosca, Motta, Zibba,
Frankie Hi-Nrg, Elisa, Cristicchi (che ancor prima fece Musicultura).<br /><br /><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Per anni ha regnato nel settore una “sindrome degli
anni 70” che ha portato a ridicolizzare quasi la figura del cantautore barba e
chitarra e ha penalizzato l’impegno in musica per trasformare il disimpegno in
un valore. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Negli ultimi tempi, paradossalmente con l’avvento della
comunicazione social, molti artisti hanno ricominciato ad “esporsi” su temi
ormai non più rinviabili, alcuni si presentano con look dimessi e la barba da
hipster. Persino De Gregori ha ricominciato a rispondere a domande sulla
politica. Proprio ora si vorrebbe andare in controtendenza?<br /><br /><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">E poi la questione anagrafica: Il punto debole non è
Achille Lauro, ma invitarlo perché “giovane”. Dalla dittatura del proletariato
siamo passati alla dittatura del giovanilismo.<br /><br /><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">In quel festival del ’67, Daniele Piombi chiese a
Tenco: “Lei ritiene che le sue canzoni siano adatte ai giovani?” Lui rispose “Io
credo che i giovani siano adatti alle belle canzoni”. Si potrebbe sintetizzare
così: le canzoni di Tenco erano canzoni di amore tormentato e di impegno civile e sociale. In risposta alle canzoni “beat”, il pop blandamente di protesta, Tenco
rispondeva : “Noi nella pace e nella libertà non vogliamo “sperare”, ma
preferiamo ora lottare su una trincea fatta di splendide e significative note,
per conservarle o conquistarle. Questo è bene che si sappia”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Timisoara Pinto<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6wXhR-1ULwlshQAtk_I0JpzfRx8Ka-lW6lGQn41X3V4WuonkkPZ8_WFc8Ygx1_K1mDipJYgTkSWA9mjp1fjRNZXabpssl2tAzbtDv9bQAJDBuRDDObMZlAr-GMNepNmU5WZYW4EWSmu5C/s1600/daniele-silvestri-981x430.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="430" data-original-width="981" height="175" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6wXhR-1ULwlshQAtk_I0JpzfRx8Ka-lW6lGQn41X3V4WuonkkPZ8_WFc8Ygx1_K1mDipJYgTkSWA9mjp1fjRNZXabpssl2tAzbtDv9bQAJDBuRDDObMZlAr-GMNepNmU5WZYW4EWSmu5C/s400/daniele-silvestri-981x430.jpg" width="400" /></a></div>
<span style="font-family: "verdana" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<br />Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-19642691067036619642019-02-21T19:47:00.003+01:002019-02-21T19:48:59.168+01:00Fabrizio Gifuni nel Centenario della nascita di Primo Levi <table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBTbWhcJHuBPacJUW1wyiKjieFPjUPxcPu_ILzHlZwVURcdOfyZgCLsyoNBSnJDiwncJuifyZWtlEd2o2Ti6pR13GpsuaJgl-roMzwqHcNAc4u7F1IGbfe0zVW2wsg2m88WPbwXRqsoPmR/s1600/52024053_2347725491939342_7186523512289361920_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="672" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBTbWhcJHuBPacJUW1wyiKjieFPjUPxcPu_ILzHlZwVURcdOfyZgCLsyoNBSnJDiwncJuifyZWtlEd2o2Ti6pR13GpsuaJgl-roMzwqHcNAc4u7F1IGbfe0zVW2wsg2m88WPbwXRqsoPmR/s320/52024053_2347725491939342_7186523512289361920_n.jpg" width="224" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Fabrizio Gifuni (Esther Favilla Photographer)</td></tr>
</tbody></table>
<br />
<b>Il 31 luglio 1919 nasceva a Torino lo scrittore Primo Levi, le celebrazioni per il Centenario della nascita cominciano oggi nell’ex campo di concentramento di Fossoli, vicino Modena, con un reading di Fabrizio Gifuni, quali pagine ha scelto, Fabrizio?</b><br />
<br />
<i>"Abbiamo scelto, insieme naturalmente alla Fondazione internazionale Primo Levi che mi ha invitato ad aprire questo anno dedicato alle celebrazioni, il capitolo del viaggio, quello che apre “Se questo è un uomo”, in cui Primo Levi racconta il momento della sua cattura, la deportazione nel campo di internamento di Fossoli, i giorni precedenti all’annuncio della deportazione nel campo di Auschwitz, quindi leggeremo esattamente a 75 anni di distanza nello stesso luogo e ci sarà un cortocircuito di spazio e tempo abbastanza emozionante. Concluderemo con l’ultimo libro di Primo Levi “I sommersi e i salvati”, un libro straordinario, sicuramente di pari importanza, se non il più importante di Primo Levi".</i><br />
<br />
<b>Fabrizio Gifuni ha interpretato molti testi legati a personaggi simbolo del Novecento, da Cesare Pavese a Pasolini, Giovanni Falcone, Franco Basaglia. E’ la prima volta che si avvicina ai testi, alle parole di Levi?</b><br />
<i>No, mi era capitato l’anno scorso di leggere “La chiave a stella” e “Il sistema periodico”, all’interno dei quali c’è un Levi anche inaspettato, ironico, sferzante. Tra i personaggi che ricordavi e che ho avuto la fortuna di incontrare, c’è Franco Basaglia, molto legato a Primo Levi, perché la prima volta che fece il suo ingresso nell’ex manicomio di Gorizia nel 1961, ripescò nella sua mente le parole di "Se questo è un uomo”, che furono le prime che gli vennero in mente. <br /><b>Il lavoro sulla memoria è molto complesso e delicato, non è soltanto legato al ricordo, ma a quello che la memoria deve innescare nel presente. </b>Le parole di Levi che leggerò sono importanti soprattutto per oggi, per ricordarci e tenere alta la guardia su ogni tipo di muro, di discriminazione, di odio. Purtroppo sono giornate in cui siamo completamente circondati dalla vergogna e dall’ignominia".</i><br />
<br />
<b>Sono tanti gli episodi di antisemitismo in questi ultimi giorni, da Parigi a Lione. In Italia 25 casi dall’inizio dell’anno secondo l’Ossevatorio della Fondazione Centro di documentazione ebraica. Primo Levi diceva “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”, anche questo è il ruolo dell’attore. Lei, Gifuni, ha detto “Noi attori siamo in ascolto, viviamo il teatro come fatto politico, fatto per la polis”.</b><br />
<br />
“<i>Sì, <b>le parole di Levi sono di un’esattezza, di una precisione, provengono anche dalla sua consuetudine con la chimica: le parole e il linguaggio diventano sostanze da distillare.</b> Tutte le nostre giornate si aprono con la lettura o assistendo a episodi ignobili, tutto questo ha riguardato e riguarda il concetto di straniero e di diversità nei campi di concentramento, ad Auschwitz, a Dachau, c’erano omosessuali, dissidenti e Levi lo scrive molto chiaramente. Parla di un’infezione latente, presente in ogni essere umano, di ritenere ogni straniero nemico a se stesso, questa infezione latente si manifesta spesso in episodi saltuari e non coordinati tra loro. Quando tutto questo diventa invece un sistema di pensiero, alla fine della catena di questo sillogismo c’è il lager, non si scappa da questo. Allora il lavoro di resistenza si fa in tanti modi, ma è soprattutto quello di contrastare i singoli atti fino al momento in cui restano atti non coordinati fra loro, atti ignobili, ma saltuari, quanto tutti questi gesti iniziano a unirsi in una catena, il pericolo diventa molto grande”.</i><br />
<i><br /></i>
Timisoara Pinto<br />
per Radio1 in viva voce<br />
<br /><a href="https://www.raiplayradio.it/audio/2019/02/RaiTv-Media-Audio-Item-ee5354af-3940-4c0d-ab63-c18638423280.html" target="_blank">Clip intervista</a><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6gawzo7vgfJopLwAGABJW-_RvOeevYzF7TVGBxdp7cizGBIHTT9WCmkIBbB_mLaxGhR_RknZvNnZ-aR5XJ8EtDxaSgw3BicloLaXkqBpu5qiVEZvXWOgvAq-cmkR5spO2a488hISl6Lzi/s1600/52005798_2357402820971609_6148195583430492160_o.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1076" data-original-width="720" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6gawzo7vgfJopLwAGABJW-_RvOeevYzF7TVGBxdp7cizGBIHTT9WCmkIBbB_mLaxGhR_RknZvNnZ-aR5XJ8EtDxaSgw3BicloLaXkqBpu5qiVEZvXWOgvAq-cmkR5spO2a488hISl6Lzi/s400/52005798_2357402820971609_6148195583430492160_o.jpg" width="267" /></a></div>
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<br />Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-4844648373798478862019-02-08T19:38:00.001+01:002020-09-04T14:54:14.358+02:00Giornalismo sotto scorta – incontro con Sandro Ruotolo<i>“Quando si uccide il giornalista perché fa il giornalista perde la democrazia, non perde una categoria di lavoratori, perde la nostra democrazia”</i>. <b>Sandro Ruotolo</b><br />
<br />
<i>"Non c'è solo la minaccia fisica contro chi racconta i fatti a ogni costo. Quella più subdola è la minaccia economica da parte di un miliardario che fa causa anche se sa di aver torto: anzi, soprattutto. Si dicono "azioni temerarie". I soldi del giornalista sono pignorati in attesa del giudizio definitivo: intanto ti congelo la somma, poi aspettiamo di vedere chi ha ragione. Possono passare dieci, vent' anni". </i><b>Concita De Gregorio</b><br />
<br />
Il cuore del problema è sempre l’attacco alla libertà di stampa e il nostro diritto a essere informati.<br />
Per approfondire<br />
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<a href="https://www.repubblica.it/cronaca/2019/02/10/news/concita_de_gregorio_unita_cause_sequestri-218750078/" target="_blank">L'invisibile nemico della verità: così la minaccia economica uccide la libertà di informazione</a><br />
<br />
<a href="https://www.ilpost.it/2019/02/07/concita-de-gregorio-unita/?fbclid=IwAR3G1Xn93SV9XZq5lA2lRNRreHtj__-RxH4Am-mvyo1WwINobXd2hfF1UJ4" target="_blank">Concita De Gregorio sta pagando per tutti</a><br />
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<a href="https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/02/13/concita-de-gregorio-la-legge-sulla-stampa-e-da-cambiare-cosi-la-liberta-dinformazione-e-in-pericolo/4969026/" target="_blank">La legge sulla stampa è da cambiare</a><br />
<br />
Queste vicende si intrecciano nel giorno in cui la FNSI ha indetto una conferenza con Sandro Ruotolo e l’incontro non può che cominciare così, con le parole del presidente della Federazione nazionale della stampa, <b>Beppe Giulietti</b>:<br />
<br />
“<i>Non mi interessa dove siano i proprietari dell'ex Unità, li vadano a ripescare, si faccia garante il partito si faccia garante chi può, non possono pensare di non sapere quello che è accaduto. Questo governo ha annunciato un provvedimento sulle querele bavaglio, ma non ce n'è traccia. Ci sono depositati provvedimenti di maggioranza e d'opposizione: chiediamo a governo e parlamento di approvare subito queste proposte. I presidenti delle Camere devono calendarizzarle, altrimenti sarà chiaro che non c'è distinzione tra le forze politiche nell'invocare il bavaglio e nel tutelare delle leggi indecorose, sbagliate e liberticide. Se ne assumano la responsabilità senza nascondersi dietro alibi. Il Governo provveda a porre fine alle querele bavaglio che sono la nuova forma di lupara, se non lo fa, significa che vuole mantenere questa nuova forma di intimidazione nei confronti dei giornalisti sgraditi</i>”.<br />
<br />
Giulietti, prima di dare la parola al protagonista dell’incontro, Sandro Ruotolo (al quale è stata giorni fa revocata la scorta e poi riassegnata grazie alla sospensione del provvedimento di revoca), ha ricordato che sono 21 in Italia i giornalisti sotto scorta ma “<i>Ci sono ancora Federico Marconi, un giovanissimo collega dell'Espresso, Giovanni Tizian, già minacciato dalla 'ndrangheta, Federico Giorvasoni di Brescia, Nello Scavo di Avvenire, Sara Lucaroni, Andrea Palladino e chissà quanti ne dimentico, lo dico perché chiediamo formalmente da qui al comitato ministeriale che si occupa di sicurezza di accendere i riflettori anche su queste situazioni</i>”.<br />
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<b style="text-align: center;"><br />Intervista con Sandro Ruotolo per #Radio1inVivaVoce</b></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-aIS8Vscv2NFM_IdGVS8sNk0Cbu14xhY30dYkjJLRIk0GaNSi-SvJqQ_HuJYTjkK1vWdtl1V4Zif3Wz7a1iyaCxKS7qpoAkntDBdNYx1FUb8lDv5jPXJFJzVENs9-u2PhSYN2lOLjg159/s1600/IMG_8070%255B1%255D.JPG" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1201" data-original-width="1600" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-aIS8Vscv2NFM_IdGVS8sNk0Cbu14xhY30dYkjJLRIk0GaNSi-SvJqQ_HuJYTjkK1vWdtl1V4Zif3Wz7a1iyaCxKS7qpoAkntDBdNYx1FUb8lDv5jPXJFJzVENs9-u2PhSYN2lOLjg159/s320/IMG_8070%255B1%255D.JPG" width="320" /></a></div>
<b>Nelle ore di revoca della sua scorta, ha ricevuto tantissimi messaggi di solidarietà, ce n’è uno che l’ha colpita in maniera particolare, che vuole raccontare?</b><br />
Io sono molto legato ai cittadini, perché il mio giornalismo è sempre stato quello di strada, ho sempre dato voce a chi voce non ha. Sono due i messaggi: mi hanno chiamato gli operai di Portovesme, dove anni fa raccontai la crisi dell’industria. L’altro che voglio citare è un messaggio su facebook di un gruppo di giovani che mi hanno scritto: “Abbiamo conosciuto il fenomeno mafioso grazie a te”. Sono ragazzi che mi conoscono per il lavoro che facevo sulla tv generalista, Rai, La7 e Mediaset, ma stanno seguendo anche il lavoro che sto facendo su internet. E’ bellissimo questo. Ecco, se c’è una cosa bella nella mia vicenda, è aver visto che migliaia di persone sono tornate ad essere opinione pubblica, a chiedere informazione, cultura. Nell’era dell’analfabetismo funzionale o dell’elogio dell’ignoranza, c’è una parte del Paese enorme che vuole invece l’informazione. Noi giornalisti abbiamo quindi una responsabilità enorme e non sempre ci meritiamo l’amore dei cittadini, dobbiamo tornare ad amare il nostro lavoro senza lacci e lacciuoli.<br />
<br />
<b>Che cosa ha influito di più, secondo lei, sulla decisione di sospendere la revoca della scorta?</b><br />
"Questo non lo so. Mi ha colpito moltissimo la dichiarazione del procuratore nazionale antimafia che è la massima autorità che ha detto che dovevo essere scortato. Ma il punto è quello che ha raccontato Marilena Natale: il clan Zagaria, la costola di cosa nostra in Campania, il Clan dei Casalesi, non si è pentito, stanno tornando fuori, è un clan attivo, recentemente la magistratura ha sequestrato 440 appartamenti realizzati in Romania. Insomma, non abbiamo ancora vinto, invece la politica sottovaluta. Non c’è nell’agenda politica la lotta alla mafia e alla corruzione, non c’è oggi, ma non c’era ieri e l’altro ieri, non Renzi, non Letta, non Gentiloni e non conte, quindi non è una questione di parte, è una questione che, da anni, la politica ha messo da parte. Pensate che nel 2018, 23 consigli comunali d’Italia sono stati sciolti per mafia e non ne parliamo? Nei territori se ne parla. Paradossalmente nei quartieri c'è più consapevolezza che nei palazzi della politica, questo è il punto sul quale riflettere. La strada è pericolosa non solo per il cronista ma anche per il cittadino: quante vittime innocenti abbiamo? La storia di Manuel che doveva avere un futuro da nuotatore, mia cugina morta a 39 anni, in Campania abbiamo 200 vittime innocenti, bambini di 3 anni, ragazzi quattordicenni, morti per le pallottole".<br />
<br />
<b>Lei in conferenza stampa ha detto che il clan Zagaria la voleva squartare.</b><br />
“Nel 2016 a Casapesenna andai nella sede di Libera dove mi diedero una targa per il giornalismo coraggioso, il giorno dopo il referente di Libera ha ricevuto una testa di maiale con tre proiettili, una pistola, tre zampe di capretto e le interiora. Questo voleva dire che a me Zagaria mi voleva squartare vivo. Sono andato a Ottaviano a intervistare la sorella di Raffaele Cutolo, Rosetta Cutolo, latitante per dieci anni, in carcere per dieci anni, e lei durante l'intervista nella sua abitazione mi dice in dialetto due volte “Se non ve ne andate, arriva mio fratello Pasquale e ci pensa lui a mandarvi via”, ma di fronte alle minacce, mi sentivo tranquillo perché avevo la scorta”.<br />
<br />
Timisoara Pinto<br />
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<a href="https://www.raiplayradio.it/programmi/radio1invivavoce/archivio/video/Video-086bf55b-5090-42c6-8d50-6c1afe0efa62/4" target="_blank">Video Intervista con Sandro Ruotolo</a></div>
<div>
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Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-71346657810404033112019-01-02T19:48:00.001+01:002019-01-03T18:52:39.443+01:00Social, il luogo dove le parole sono più pericolose della musica... Intervista con Nicola PiovaniSolo musica per le vacanze con il Maestro Piovani: dopo l’Auditorium di Roma, il suo “Concertato - La Musica è pericolosa” prosegue al Teatro Franco Parenti di Milano fino al 6 gennaio<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj24nJ0JOzNEoE3nFGmJOsrfZ3ucX6haPVoKDsrT3e61oopPFkYCk0CSlQ76e_WITTnQefazKzsFWxsAq61lHbeV-e5_6FBhUYhBhpRZ6YsrRGKqwb3_krwkr4_IBWdrNXx4sRJBuwt5LNr/s1600/piovani.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="608" data-original-width="843" height="230" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj24nJ0JOzNEoE3nFGmJOsrfZ3ucX6haPVoKDsrT3e61oopPFkYCk0CSlQ76e_WITTnQefazKzsFWxsAq61lHbeV-e5_6FBhUYhBhpRZ6YsrRGKqwb3_krwkr4_IBWdrNXx4sRJBuwt5LNr/s320/piovani.jpg" width="320" /></a></div>
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<br />
<br />
<b>Come ci sorprende la nostra lingua, se a "concertato" aggiungiamo una “s” iniziale, diventa “sconcertato”, la musica è pericolosa nel senso che può creare sconcerto?</b><br />
<br />
P: Vedo che lei ama l’enigmistica e il gioco con le parole! In realtà, dovevamo distinguere il tour dal libro “La musica è pericolosa”, ma non potevamo mettere concerto, perché per concerto intendiamo solo musica, mentre questo è un <b>concertato di parole e musica. </b>Suoniamo la musica scritta nel corso degli anni, ma prima racconto alcune cose che riguardano quelle musiche, alcuni episodi che le hanno fatte nascere, qualche cosa che mi è rimasta particolarmente in mente o qualche dettaglio tecnico che può incuriosire il pubblico.<br />
<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTVrjq3hieA3GMR4G51pQwd9Ta3bMNEVPrFuEWhJxl6eloAkIS_A_KXN7OnmxDeDZi-xnuXD41tD8RsgaYRz6NJpD9U5ZP5AK4JAlNoEuZB3hlmLGSVJLI-0qeALyWpngyKbjUuhcFG4U0/s1600/LP_1987916.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1065" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTVrjq3hieA3GMR4G51pQwd9Ta3bMNEVPrFuEWhJxl6eloAkIS_A_KXN7OnmxDeDZi-xnuXD41tD8RsgaYRz6NJpD9U5ZP5AK4JAlNoEuZB3hlmLGSVJLI-0qeALyWpngyKbjUuhcFG4U0/s320/LP_1987916.jpg" width="213" /></a></div>
<b>Lei è l’unico musicista a poter vantare due anagrammi, <i>Vai con il piano </i>e <i>Al piano io vinco</i>, lo sapeva?</b><br />
<br />
P: Ma allora io le dico che ce ne sono altri due! Quello che più di tutti si presta alla giocosità è firmato da Roberto Benigni ed è “Vicino al piano”. Poi, un attore di prosa, Ugo Maria Morosi, me ne ha regalato un altro che, per chi mi conosce, ben si attaglia: “Vicino a Napoli”.<br />
<br />
<b>Questo è un vero record di anagrammi, ma torniamo a “La musica è pericolosa” libro. C’è una dedica iniziale: a Nino e Tonino, posso chiederle chi sono?</b><br />
<b><br /></b>
P: Sono i miei fratelli maggiori senza i quali non sarei riuscito realizzare i desideri e i sogni che in parte si sono avverati. Mi hanno fatto da padre, da guida. Lavorano in attività diverse: quello più grande è un commercialista, l’altro è un organizzatore che si dedica fondamentalmente alla mia attività. Senza di loro non muoverei un passo.<br />
<br />
<b>La più classica delle domande: chi le ha trasmesso l’amore per la musica?</b><br />
P: Fondamentalmente mio padre e mia madre, ma non erano musicisti. Mio padre era un piccolissimo commerciante, nasceva contadino e ultra povero, mia madre era una massaia. Però ma madre amava tantissimo le canzoni e quando lavorava in casa cantava in continuazione, non ho mai visto mia madre lavare i panni senza cantare. Mio padre aveva suonato la cornetta in si bemolle nella banda di Porchiano, paese vicino Roma.<br />
<b><br /></b>
<b>C’è la suggestione della banda nella sua scrittura per il cinema?</b><br />
<b><br /></b>
P: Fondamentalmente c’è la sigla di ingresso in scena di Roberto Benigni, quella che abbiamo fatto per uno spettacolo del ’95 e che si è portato dietro negli anni. Scelsi di fare una sigla di ingresso per banda perché secondo me era il modo ideale per raccontare l’Italia delle piccole comunità degli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta, <b>quei campanili solidali che sono le radici poetiche di Benigni</b>. Me lo ricordavo perché da bambino, nel paese dove mi portavano in campagna, impazzivo di euforia quando passava la banda.<br />
<br />
<b>Ha lavorato alle musiche, alle magie di Fellini, de André, Benigni, ha mai trascorso il Natale con uno di loro?</b><br />
P: No, ma come sa, in genere il Natale è quel momento in cui tutti spariscono e si va in famiglia o con le famiglie che hanno i figli come i nostri. Il Natale è una specie di pausa, tutti tornano a casa, quelli che non sono di Roma, sotto Natale vanno chi a Padova, chi a Foggia, chi ad Avellino…<br />
<br />
<b>Lei che ha scritto tanta musica per il Cinema, qual è il film sulla musica che le è piaciuto di più?</b><br />
<b><br /></b>
P: Una bella domanda, sto pensando velocemente… ma lo sa che è una bella domanda ma non saprei cosa rispondere…<br />
<br />
<b>Si ricorda “Il concerto”? C’era questa frase che sintetizza il messaggio del film: «L'orchestra è un mondo. Ognuno contribuisce con il proprio strumento, con il proprio talento. Per il tempo di un concerto siamo tutti uniti, e suoniamo insieme, nella speranza di arrivare ad un suono magico: l'armonia. Questo è il vero comunismo. Per il tempo di un concerto.»</b><br />
<b><br /></b>
P: Molto bella e poi chi ha lavorato e lavora in orchestra sa quanto è vera questa frase.<br />
<br />
<b>Se lei non avesse suonato il piano… o, meglio, qual è lo strumento di cui è innamorato oltre il pianoforte?</b><br />
P: Il violoncello e il clarinetto sono quelli che più si prestano all’idea del canto, a trasportare nel suono dell’orchestra l’idea di canto, di un canto più sommesso, non di spicco come il violino e il flauto. In genere, nelle melodie sono gli strumenti che preferisco, anche se nel lavoro e nello scrivere ci divertiamo a usarli tutti, perché ci tornano tutti utili in un momento o in un altro. In una delle ultime cantate sinfoniche che ho scritto, il tema principale lo faceva il bassotuba, cantava!<br />
<br />
<b>Anche questo un po’ felliniano..</b><br />
<br />
P: Ah forse!<br />
<br />
<b>Era con Ennio Morricone alla festa per i suoi 90 anni all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Cosa ha imparato dal più giovane dei suoi grandi maestri, come lei una volta ha scritto a proposito di Morricone…</b><br />
<b><br /></b>
P: Ho imparato tantissimo da Morricone, perché quando io cominciavo a fare il lavoro nel Cinema, lui era già un’autorità. Ricordo che alla Fono Roma, abusivamente entravo nella cabina dove si proiettava il film che lui stava musicando. A quei tempi si registrava la musica dirigendo l’orchestra e si andava in sincrono con le immagini. Allora c’era questo buco nelle blindate sale di registrazione che era la cabina di proiezione. Io corrompevo il proiezionista e passavo il tempo a vedere come lavorava Morricone con l’orchestra per rubargli i segreti. <br />
Poi gli ho raccontato tutto, ma Ennio è talmente generoso che i segreti non li tiene stretti, ogni volta che avevo un dubbio o una difficoltà tecnica lo chiamavo e lui mi diceva subito la soluzione. Una volta avevo difficoltà a scrivere per chitarra perché nei manuali di strumentazione non c'era la soluzione, Paganini al capitolo chitarra dice: se volete imparare a scrivere per chitarra dovete studiarla, dovete diventare chitarristi, perché è difficilissimo scrivere per chitarra e io chiesi ad Ennio come si risolveva questo problema e lui mi disse: te lo dico, basta che non lo dici a nessuno!<br />
<br />
<b>Non scriverà forse a breve un nuovo libro, ma nel frattempo è diventato un influencer su twitter, dove le parole contano più della musica... Cito un suo tweet: “A volte mi sento circondato da un grande pregiudizio universale”</b><br />
<b><br /></b>
P: Ma io ho cominciato con twitter come un gioco tra amici, l’ho fatto per raccogliere e condividere aforismi, lei ha usato la parola influencer, mi sono subito preoccupato!<br />
<br />
<b>Ha un grande seguito, tanti retweet, lo vedo perché sono tra i suo follower. Un altro suo tweet: “Il popolo in piazza è sacrosanto quando è allineato con le mie idee, se no è borghesuccio, finto o peggio radical chic”. C’è un abuso di questa espressione “Radical chic”…</b><br />
<br />
P: Sì certo, viene usato come insulto, anziché per definire quella classe americana degli anni Settanta intorno a Bernstein. Ma ci sono tante parole che sono state svuotate e usate come insulto. Un’altra è “buonista”, una persona che è buona bisogna insultarla con “buonista”. Allora a tutti quelli che usano questa parola come insulto, auguro di finire sotto i ferri di un dentista cattivista, che non è buonista e siccome è cattivista fa un uso allegro delle anestesie.<br />
<br />
La Musica è pericolosa, ma a volte può salvarci dalle parole.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXOjdjEo_XoSSrZMPiYWi7HMyQZ96C_PK3nw1ROLNfucd3c2ILuuvyJS8Wzukaje_U9ilsNA2IC-tRU75Rs9A5h_jticZEKqhYJmkSI9XRVUwEfhOlkDndLlt8GUuoTpTZmXg2HiQT9kRp/s1600/IMG_4513.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXOjdjEo_XoSSrZMPiYWi7HMyQZ96C_PK3nw1ROLNfucd3c2ILuuvyJS8Wzukaje_U9ilsNA2IC-tRU75Rs9A5h_jticZEKqhYJmkSI9XRVUwEfhOlkDndLlt8GUuoTpTZmXg2HiQT9kRp/s320/IMG_4513.JPG" width="320" /></a></div>
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Timisoara Pinto<br />
(intervista andata in onda a "Un giorno da renna" il 25 dicembre 2018 su Radio1)<br />
<br />Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-92175522899119107932018-08-30T21:21:00.001+02:002018-08-30T21:21:22.995+02:001978 - Nuntereggae più, il rosso e il nero di Rino Gaetano<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjZ4wuuNRtWhggVdMX5n8oQfc-KmvHwBKiN50JgAVt15nF1ZaSULt8333mxHsI49xAT-n2jxTAABY3h7gmwRjSuiIBxAyxaYiLS4aDyxH0A9mnr8e5_JoYccG69BeFoW7pMPa4CJFo4pOE/s1600/0889854423711_0_0_0_75.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="1500" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjZ4wuuNRtWhggVdMX5n8oQfc-KmvHwBKiN50JgAVt15nF1ZaSULt8333mxHsI49xAT-n2jxTAABY3h7gmwRjSuiIBxAyxaYiLS4aDyxH0A9mnr8e5_JoYccG69BeFoW7pMPa4CJFo4pOE/s320/0889854423711_0_0_0_75.jpg" width="320" /></a></div>
<span style="color: #222222; font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;"><span style="background-color: white;"><br /></span></span>
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<br />
A furia di sentirsi dire dall'amico del cuore: “Ahò, nun te reggo più”, Rino Gaetano tira fuori dal cilindro la canzone più esplosiva del 1978, tanto da volerla come titolo del suo quarto album. Maestro d'ironia, abile nel dissimulare i messaggi attraverso espressioni che ne confondono apparentemente il senso, dietro il gioco di parole con il “reggae”, genere musicale che spopola in quel momento, Rino Gaetano mette a segno il pezzo più dirompente e di denuncia della sua carriera. Parlare di questo album, significa soffermarsi su questo brano. Rino vuole portarlo a Sanremo, ma è costretto a cedere alle pressioni dei discografici che puntano su “Gianna”; vorrebbe cantarla nel programma “Discomare”, ma dietro le quinte televisive gli chiedono di sostituirla (Rino rifiuta l'ennesima imposizione e abbandona il programma). Troppi i nomi influenti di un’Italia dei compromessi, dei partiti, del petrolio, “ladri di Stato e stupratori”, delle tribune mediatiche, per non farci caso. Eppure, proprio sulle sue apparizioni tv bisognerebbe soffermarsi per valutare l'impatto di questo LP. Prima fra tutte la puntata di “Acquario”, in cui l'atmosfera di disagio creata dal conduttore Maurizio Costanzo viene ribaltata solo dalle due personalità invitate, il cantautore e l'ospite Susanna Agnelli, che smonta la tensione con garbo e semplice buon senso.<br />
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<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhWjhKJoSWBvqORusGvtlMiOVcJ14D0WqAX_-2N0gjnNhspSYNHMGQglxTbnI__yqXKnFs3hyphenhyphenlvldRP7XX4EA2WfUel6pQ2rtlWaRHIiCWp9L2jcs_JufIHUnprGw3H2Hz9S9mRZO4BCPqH/s1600/VIN15_IPad-057.jpg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhWjhKJoSWBvqORusGvtlMiOVcJ14D0WqAX_-2N0gjnNhspSYNHMGQglxTbnI__yqXKnFs3hyphenhyphenlvldRP7XX4EA2WfUel6pQ2rtlWaRHIiCWp9L2jcs_JufIHUnprGw3H2Hz9S9mRZO4BCPqH/s400/VIN15_IPad-057.jpg" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><div style="text-align: start;">
Timisoara Pinto</div>
<div style="text-align: start;">
<span style="font-size: 12.8px;">© Riproduzione riservata</span></div>
<div style="text-align: start;">
<span style="font-size: 12.8px;">pubblicato su "Vinile" Aprile 2018</span></div>
</td></tr>
</tbody></table>
Il tentativo, ogni volta, di spostare l'attenzione sulla leggerezza delle sue canzoncine-filastrocche e sul non-sense, non rende giustizia del valore artistico, sociale ed evocativo delle sue parole: “Vedo tanta gente / che non c’ha l’acqua corrente / e non c’ha niente / ma chi me sente / ma chi me sente?”. Tanti i temi legati al “mal d’Italia”: i privilegi, la corruzione e la speculazione edilizia in “Fabbricando case” (con il controcanto speciale di Francesco De Gregori); l’emigrazione, il dramma di chi è costretto a lasciare la propria terra, in “E cantava le canzoni”; l’emancipazione della donna e la comparsa della parola “sesso” in “Gianna”; la fine della rappresentanza politica e sindacale in “Capofortuna”. Era uno dei 33 giri più suonati da “Radio Aut” di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcg1mZdKVbQf-0sYTmtajUlcdkp48PfXDB0-nfN7-1Sx7RtQO46Kiwe9wpvxP7Y89NYxQGgjFziKSA5VR_Ccp_mHf63sC0OBNu0EQJGxOqrUdlGRVZA-E-BVP45xbOctRZM2smfIMfHCHj/s1600/rino+106+%25282%2529.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; display: inline !important; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="538" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcg1mZdKVbQf-0sYTmtajUlcdkp48PfXDB0-nfN7-1Sx7RtQO46Kiwe9wpvxP7Y89NYxQGgjFziKSA5VR_Ccp_mHf63sC0OBNu0EQJGxOqrUdlGRVZA-E-BVP45xbOctRZM2smfIMfHCHj/s320/rino+106+%25282%2529.jpg" width="215" /></a><br />
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<span style="color: black;"><span style="color: black;"><br /></span></span><span style="color: black;"><span style="color: black;"><br /></span></span><br />
<br />Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7096479692370933037.post-32907538930744857142018-08-16T20:24:00.000+02:002018-08-30T20:33:04.158+02:00Genova vista da Potenza<h3>
<span style="font-weight: normal;">La prima volta che ho visto il ponte di Genova è stato su un libro di geografia alle elementari. Lo avevo scambiato per quello che attraversavo tutte le volte che partivo da Potenza, all’altezza di Balvano. Poi ho scoperto che, in confronto al Morandi "padre", quello era solo una miniatura.</span></h3>
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<span style="font-weight: normal;">Mi aveva colpito perché aveva i “piloni” al contrario, verso l’alto, e non sapevo che facessero parte, invece, di un calcolo ingegneristico preciso. Erano i “tiranti” e io mi immaginavo “tiranni”, in fondo altro non era per me che la stilizzazione di un vascello di pirati.</span></h3>
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<span style="font-weight: normal;">Guardandoli attraverso il finestrino e il lunotto posteriore, a quel ritmo regolare scandito dai giunti autostradali, mi provocavano le vertigini al contrario.</span></h3>
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<span style="font-weight: normal;">Il crollo mi ha sprofondato in un silenzio di assurdità e dolore. Mi ripetevo come un salmo “Genova per noi, Genova per noi”, perché mi vengono in mente le canzoni quando cerco la sintesi, la ragione o qualcosa cui aggrapparmi, e pur nella leggerezza del testo, vi ho trovato un fondo straziante.</span></h3>
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<span style="font-weight: normal;">Poi i miei spostamenti “da grande” mi hanno portato verso nord e la prima volta che ho visto e attraversato quel ponte ho pensato banalmente “prima o poi le ritrovi nella vita le foto delle elementari.”</span></h3>
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<span style="font-weight: normal;">Quel giorno ha compiuto 90 anni un gigante della cultura italiana, Lina Wertmuller. La notizia è passata in secondo piano per il lutto che ha stravolto il Paese. Eppure io ho pensato alla meravigliosa Lina che ha saputo costruire ponti tra le diverse arti e mostrare al mondo la tragedia della commedia umana.<br /></span></h3>
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<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGtNPAg9MexjB5740qVpezmg1cShKXUrnKhW94HM2u6KRn8963iKlKh49QoKYftOnm-NfZhYQx7XCsaJ9TO6ZK6PUdDHPbJeDNFkwAa2IZMEr6SGbWTedkFLXwEwzC5grPYstMYdH5XanB/s1600/39129986_2163012620606134_6053436351339036672_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="656" data-original-width="960" height="218" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGtNPAg9MexjB5740qVpezmg1cShKXUrnKhW94HM2u6KRn8963iKlKh49QoKYftOnm-NfZhYQx7XCsaJ9TO6ZK6PUdDHPbJeDNFkwAa2IZMEr6SGbWTedkFLXwEwzC5grPYstMYdH5XanB/s320/39129986_2163012620606134_6053436351339036672_n.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">viadotto Carpineto - raccordo autostradale Potenza-Sicignano</td></tr>
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<span style="color: #1d2129; font-family: "helvetica" , "arial" , sans-serif;"><span style="background-color: white; font-size: 14px;"><br /></span></span>Timisoara Pintohttp://www.blogger.com/profile/07256291302726575297noreply@blogger.com0