I fatti:
richiesta nel Municipio di appartenenza, 5 punti, due genitori lavoratori a
tempo pieno, 18 punti, un altro figlio non residente (che non fa punteggio) e
la tua domanda alla Scuola dell'Infanzia, la Scuola “Materna”, finisce
all'undicesimo posto tra quelle respinte. Tutto questo prima ancora di andare a
guardare il reddito. Valgono altri parametri: se hai fratelli e sorelle, se
provieni da Nidi comunali, se ti trovi in condizione di netto svantaggio sul
piano della salute del piccolo o dei genitori. Ma se il tuo compagno, ad
esempio, ha altri figli a cui già provvede su tutti i fronti, ma non sono inseriti nel “nucleo
familiare”, questo non ti aiuterà in graduatoria.
Su 32 posti,
come puoi sperare che un terzo, in lista d’attesa prima di te, possa
rinunciare? Questa volta ero davvero serena di farcela e ci contavo abbastanza,
pensando di entrare di diritto nella cosiddetta scuola dell’obbligo. Di
entrarci come mamma, s’intende. Invece scopro che, alla Materna, non c’è proprio
nessuno ad attenderti. Altra incoerenza. Come potrebbe una scuola diventare
improvvisamente obbligatoria a 6 anni, tralasciando al caso il periodo
altamente formativo che la precede? E’ chiaro che anche qui si fa affidamento
al senso del dovere e del sacrifico e che mamma, papà e nonni, in qualche modo,
provvederanno all’inserimento sociale e scolastico dei figli pagando
profumatamente scuole private, baby parking, baby sitter, babytaxi, ludoteche,
alcune addirittura arredate con adorabili banchetti e sedioline in fòrmica, ad
evocare la classi della nostra infanzia… una classe che non c’è più.
Fin dal
nome, “materna”, tanto per cambiare, l’antifona è sempre la stessa: i figli
sono della madre e il padre è sempre, in qualche modo, incerto. E non è un
caso. E’ un programma politico. E’ come avere la fascia di miss eleganza o miss
cinema al concorso per la più bella. Non sei tu la prima, ma hai una qualità
rara. Sei svantaggiata su tanti piani come donna e come madre, ma sei un’istituzione,
sei la Scuola. Prima di ogni obbligo, c’è solo il richiamo ancestralmente
materno. Costei ne sarà pure orgogliosa e onorata, ma questo non deve far
scrollare di dosso agli altri, alla società, le proprie responsabilità. Perché
non chiamarla “scuola sociale”? Certo, fa un po’ “centro sociale”, ma dai tre
ai sei anni si compiono progressi da giganti, a proposito del cosiddetto
inserimento o del precoce svezzamento. I figli sono di tutti. Io la penso così.
E invece resti solo, spesso e volentieri, e sei figlia unica, con un figlio
unico.
Degli
effetti dei cambiamenti, un tempo, te ne accorgevi a lungo andare, vedevi i
risultati delle trasformazioni solo con l’allontanarsi dell’orizzonte. Oggi i
cambiamenti li vivi sulla tua pelle giorno per giorno. Se fai un figlio, sei
punito. Non basta aver faticato tanto, prima, durante e dopo il parto, i
problemi su come far quadrare tutto, figlio e lavoro, sempre che tu riesca a
mantenerlo il posto di lavoro, ma sei pure colpevole di averne uno solo. In
psicologia sociale un numero superiore al due fa “gruppo”, il terzo che
spariglia. In casa, il terzo spariglia e basta. Non fa gruppo, non fa famiglia
per un sistema che ti chiede due o tre figli affinché almeno uno possa entrare
tranquillamente nella Scuola Materna, e poi non lo prevede. Ma neanche questo è
detto. In molte rinunciano. Specie negli anni del Nido. Se devi lavorare per
pagare l’Asilo, tanto vale goderti tuo figlio. Fino ai tre anni può essere
anche un privilegio, se hai qualcuno che ti aiuta, ma non deve diventare un
alibi. E gli altri tre prima delle elementari?
Devi impugnare, si dice, la
pratica, il che significa infilare una dopo l’altra una serie di coincidenze
favorevoli, trovare l’ufficio, trovarlo aperto, trovarvi qualcuno dentro al suo
posto, qualcuno al posto giusto, dopo aver atteso come una tigre in gabbia il
tuo numero, pretendere che gli altri condividano la tua logica che poi è logica
e basta ma sul modulo quello che tu stai chiedendo non è previsto e quindi la
logica non è applicabile, magari condivisibile, ma inutilmente.
Resistere,
che non significa sopportare ma contrastare, serve sempre. Forse non sarai tu
ad avvantaggiartene, ma a chi verrà dopo di te avrai spianato la strada. E
forse, un giorno, sarà il tuo stesso datore di lavoro a prevedere un posto
anche per la prole. Solo l’Imu oggi in Italia è stata concepita peggio, a
proposito di parametri, mettendo in crisi anche le uniche certezze che ci erano
rimaste, la casa e la mamma.