martedì 27 agosto 2013

VIVA DEL RE!
Omaggio a Enzo Del Re

COMUNICATO STAMPA




ARENA CASTELLO - MOLA DI BARI

3 settembre 2013 ore 21

DIREZIONE ARTISTICA
Vinicio Capossela

L’Omaggio a Enzo Del Re, ideato e diretto nel 2011 da Annella Andriani e Timisoara Pinto, giunge alla sua terza edizione e si avvale della direzione artistica di Vinicio Capossela, grande estimatore e interprete del cantastorie di Mola di Bari. 
Con Capossela, la serata mantiene intatto e rilancia il suo spirito “carbonaro”, a partire dal titolo scelto dal direttore artistico, “Viva DEL RE!”, in un ideale gemellaggio con quel “Viva VERDI!” di risorgimentale memoria, che segnò una svolta significativa nella musica e nella coscienza popolare italiana.
Quella di Enzo Del Re è una vicenda umana e artistica da riscoprire, per le sue canzoni e per il modo di accompagnarsi, suonando semplicemente una sedia; per l’originalità e l’autenticità del personaggio, caso unico di “musicista-corpofonista”, capace di alternare lunghi recitativi monodici, ma sempre con un accompagnamento ritmico molto sostenuto, a melodie vere e proprie. Un irriducibile autodidatta rivoluzionario che si definiva “cantaprotestautore”.
Con la forza della sua voce e delle sue canzoni, di straordinaria ironia e attualità (tanto che la sua riscoperta è dovuta in gran parte ai giovani), sapeva trasmettere un grande desiderio di giustizia e libertà.
Per non dimenticare la storia di questo grande artista, il 3 settembre 2013 nell’anfiteatro sul lungomare di Mola di Bari davanti al castello, si terrà VIVA DEL RE!, un concerto-tributo alle sue canzoni con la partecipazione di Acqua su Marte, Bunna e Cato (Africa Unite), Brunori Sas, Enzo Gragnaniello, Antonio Infantino & i Tarantolati di Tricarico, Leontino, Daniele Sepe e Moni Ovadia con un contributo in video.
Le scorse edizioni dell’omaggio a Enzo Del Re hanno visto alternarsi sul palco artisti del calibro dello stesso Vinicio Capossela, di Dario Fo, Franca Rame, Faraualla, Tetes de Bois, Teresa De Sio, Radicanto, Alessio Lega, Piero Nissim, Vito Quaranta, Sergio Staino, Terrae, Uaragniaun, Tonino Zurlo, Rudi Assuntino, Gianni Cellamare, Fabularasa, Uaragniaun, Il Soffio dell’Otre ed altri

Promotori dell’evento, la Regione Puglia in collaborazione con Puglia Sounds - PO FESR PUGLIA 2007/2013 ASSE IV - INVESTIAMO NEL VOSTRO FUTURO, la città di Mola di Bari e la libreria Culture Club Cafè di Domenico Sparno    

sabato 24 agosto 2013

Call for freedom

La musica di Eser Taşkıran nella Turchia di Erdoğan e di piazza Taksim


Eser Taşkıran


Si scrive Erdoğan, si legge Erdouan. Il Primo Ministro turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha condannato la brutale repressione in Egitto, dicendo: “coloro che restano in silenzio davanti a questo massacro sono colpevoli tanto quanto chi lo ha compiuto. Un gravissimo atto contro un popolo che non faceva altro che manifestare pacificamente”. L’Obama dei suoi stati disuniti che, in queste ore tumultuose di lotta egiziana, offre lezioni di pacifismo e legalità, non può di certo sbandierarci il suo curriculum.
Appena tre mesi fa ha provocato l’esecuzione di cinque giovani che, in piazza Taksim a Instanbul, “non facevano altro che manifestare pacificamente”, ed ha causato il ferimento di altre mille persone. Di queste, dodici sono rimaste cieche, colpite dalle bombe lacrimogene sparate all’altezza dello sguardo. Me l’ha raccontato un musicista che a questa vicenda ha dedicato anche una canzone, “Barışa Çağrı ” (call for freedom o chiamata per la libertà).

Si chiama Eser Taşkıran (se si parla di curriculum, nel suo si contano quarantaquattro riconoscimenti artistici in ambito internazionale), ha quarant’anni, studia musica da quando ne aveva quattro, nel ‘95 ha fondato la rockband Egoist, è un produttore musicale ed è un giovane di Instanbul.

Con Eser parliamo dell’amore per l’Italia, per quel ruolo di mediazione culturale che la Penisola italiana dovrebbe avere perché connaturato alla sua storia e alla sua geografia, per quello che ha trasmesso ad Eser, studente del Liceo italiano di Instanbul che dice “Quando c’era un ponte da costruire, arrivavano gli italiani. Sono loro i migliori costruttori di ponti del mondo”. Non sarà perché in Italia abbiamo il Pontefice maximus? Ma questo ha a che vedere solo con una mia certa fissazione per l’etimologia.


Egoist

L’Italia per Eser è soprattutto musica. Perché?
“Se ho finito il liceo, lo devo ai miei insegnati italiani. In una scuola statale non ce l’avrei mai fatta, pensavo solo alla musica. In quella materia ero bravo, la mia professoressa, Elisabetta Di Stefano, ha trascorso una vita qui da noi ed era il correpetitore dell’Opera di Instanbul. Per i primi due anni ho fatto pratica intensiva di italiano, poi i miei compagni, figli degli ingegneri italiani arrivati qui all’epoca del secondo ponte sul Bosforo, hanno imparato la nostra lingua e di italiano ho conservato le amicizie e le canzoni…

Quali?
Qualche anno fa ho realizzato un progetto, le napoletane alla turca: brani interpretati da un trio di tenori e riarrangiati con gli strumenti della musica ottomana, come il darbuka, il bendir, la chitarra kanoun, il clarinetto sol, con l’accordatura pensata per le scale della musica orientale, oltre che con il mio pianoforte e l’Instanbul strings group, un ensemble di violini stile arabo.

Verso la metà degli anni Novanta, hai fondato un gruppo, gli Egoist. Canzoni Turche in chiave rock?
Il nostro ispiratore è Barış Manço, l’artista più amato in Turchia, purtroppo scomparso nel ’99. Un luminare, aveva frequentato il Liceo francese di Instanbul, e poi si era traferito in Belgio per studiare architettura. Ha ideato e realizzato programmi televisivi e dal ‘70 ha cominciato a produrre album di genere rock con temi orientali. Conosceva cinque lingue e, attraverso un sapiente uso della tv, ha dato un contributo molto forte alla crescita culturale del nostro Paese. E’ stata una personalità molto importante per tutta la Turchia e noi Egoist, con mia sorella Meltem alla voce solista, continueremo a suonare e a portare in giro la sua musica, che mescola rock alle radici e alla tradizione.

Allora Eser, a tre mesi dai fatti di piazza Taksim, il vostro premier Erdoğan sta cercando il modo di riabilitarsi?
Non ai nostri occhi. Ancora oggi piazza Taksim è presidiata dai toma, le macchine che spruzzano acqua ad alta pressione, e se tre persone passeggiano insieme nel parco, i poliziotti in tenuta antisommossa sono autorizzati a picchiarle. Erdoğan non riesce a sopportare le proteste della gente, chi si ribella è solo un terrorista. La storia è piena di errori, ma bisogna trovare il modo di chiedere scusa, altrimenti il popolo smette di credere nello Stato.

Ed Erdoğan non l’ha fatto…
No e dirò di più, con tutto quello che stava accadendo qui, decide di partire per fare un giro nei Paesi Arabi. Un tour di cinque giorni che non si poteva rimandare perché fissato da tempo. Così ci hanno detto. Nei suoi incontri si è messo a raccontare che un gruppo di pericolosi estremisti aveva portato bottiglie di alcolici nelle Moschee. Questo naturalmente ha dato ulteriore forza alla parte radicale della Turchia, un buon Primo Ministro dovrebbe avvicinare la sua gente, non metterla in guerra. Poteva dire che non aveva capito il nostro grande amore per la natura, ma no, non l’ha fatto.

Erdoğan è al governo da dodici anni, come fa ad avere un seguito così consistente?
Ha realizzato grandi cose, certamente… Non poteva diventare un dittatore senza aver fatto nulla. Ma se i numeri dicono che l’economia si è sviluppata, la realtà è ben diversa. Compriamo e vendiamo, ricompriamo e rivendiamo, ma cosa produciamo? Erdoğan è stato anche sindaco di Instanbul e ha costruito strade e opere pubbliche, ma essere lo Stato è un’altra cosa, devi aprire le braccia a tutto il Paese, non solo a coloro ai quali risulti simpatico. Sono sicuro che qualsiasi altro ministro della Comunità Europea al suo posto, dopo tante contestazioni e proteste, avrebbe detto mi dispiace devo andare, e invece sta ancora là, come se niente fosse…

Non ne sono così sicura… ma ritorniamo ai fatti di piazza Taksim e tentiamo di fare chiarezza sul bilancio delle vittime.
La protesta è partita con una ventina di ragazzi seduti a gambe incrociate nel nostro meraviglioso parco Gezi. Semplicemente c’erano delle enormi macchine che lo stavano radendo al suolo. Invece di sradicare gli alberi per ripiantarli altrove, cosa che avevano annunciato di fare, gli addetti alle operazioni stavano recidendo le piante con un taglio netto. I ragazzi sono rimasti lì a guardare, senza toccare nulla, con alcune tende per la notte. Bersaglio facile per i poliziotti che dapprima hanno pensato bene di appiccare il fuoco per bruciare il piccolo accampamento, poi hanno cominciato a picchiare i ragazzi che si erano lì riuniti. Credevamo di essere soli, ma la protesta è dilagata anche in altre città della Turchia, fino a coinvolgere diecimila persone.

In questi casi quello che ci fa sperare ancora è vedere come un movimento nato dal basso possa diventare una forza in grado di strutturarsi…
Infatti, un grande aiuto è arrivato dai Çarşı, i tifosi della nostra squadra di calcio, il Beşiktaş, gente abituata a stare con i poliziotti… Erano in ventimila. Ti racconto un episodio non secondario: il secondo giorno di violenza, questi Çarşı, che vuol dire “mercato”, sapendo che i poliziotti avrebbero indossato le maschere antigas, le hanno cosparse di colorante nero, limitando di fatto la visibilità di questi uomini armati fino ai denti. Purtroppo questo non ha impedito che uno di loro puntasse un’arma in faccia ad un ragazzo inerme. Si chiamava Ali Ismail Korkmaz ed era uno studente. Le altre persone che abbiamo perso per le percosse subite sono Ethem Sarısülük, Abdullah Cömert, Medeni Yıldım, Mehmet Ayvalıtaş.

Come a Genova…
Sì e voi cosa avete fatto al poliziotto?

Rispondi prima tu…
Qui il poliziotto lo hanno nascosto e non lo arresteranno mai. Capisci la gravità? Il poliziotto ha mirato alla testa, aveva tutta la volontà di uccidere quel ragazzo. Un altro è morto per le bastonate e un Ministro dello Stato ha detto che questo giovane era già molto malato e che non si poteva fare niente per curarlo. I dottori, tanti studenti in medicina, sono andati a soccorrere i feriti e sai cosa ha fatto lo Stato? Glielo ha impedito. Nelle macchine lancia-acqua c’era qualcosa di chimico, non era solo acqua, la nostra pelle era piena di scottature. Nei primi 6 giorni di scontri, i poliziotti hanno buttato bombe di gas pari a quelle che tutta la Comunità Europea utilizza in un anno. Erdoğan è andato alla scuola dei poliziotti turchi a stringergli la mano. “Avete scritto una leggenda”, gli ha detto. Certo, 5 morti, 1000 feriti, 12 occhi persi… è davvero una leggenda… Come possiamo credere a uno Stato del genere? Il problema grande è questo.

Nessuno ha fatto luce su questi morti?
Ma se anche gli avvocati sono stati arrestati? Gli avvocati che provavano a proteggere i giovani portati in caserma in modo illegale. La legge qui non esiste perché lo Stato può trasformarla come vuole. Sai un’altra novità in proposito? Chiunque, in ogni partita di calcio o cerimonia sportiva, verrà inquadrato da apposite telecamere a inneggiare contro lo Stato e il Primo ministro, verrà espulso e non potrà più mettere piede negli Stadi. Un’ altra nuova legge che mi ha fatto stare molto male dice che c’è un unico posto per tutti i musulmani e questo posto è la Moschea , ma noi aleviti abbiamo la nostra casa e un altro modo di pregare, si chiama Cem Evi, che vuol dire “casa di Cem”. E’ come se lo stato italiano dicesse che esiste solo la Chiesa cattolica e quella per gli ortodossi da oggi non esiste più. Lo stato deve essere alla stessa distanza da qualsiasi credenza… invece si sta formando un solo modo per pregare e per vivere.

Quando è iniziato questo processo di radicalizzazione?
Si va al voto l’anno prossimo, in Anatolia la radice dei radicali è ben salda e Erdogan è visto come un nuovo profeta. La religione ha questa forza, ecco perché il laicismo è molto importante, specie in un paese musulmano.
La Repubblica Turca è una repubblica molto giovane. Grazie al nostro grande capo Atatürk che, dopo la prima guerra mondiale, ha spazzato via le leggi religiose e ci ha fatto diventare una repubblica laica, oggi forse siamo il solo paese laico democratico fra i paesi musulmani e questo ci piace tantissimo, perché essere laico ci dà forza come uomini e come Paese. Il nostro Erdoğan , però, dopo il secondo mandato, ha cominciato a diventare un leader religioso, a dire che dovevamo fare almeno tre figli, ha messo tasse su alcolici e sigarette. L’aggettivo laico ora lo stiamo per perdere.

Eppure Erdoğan ha avuto un passato più trasgressivo, è finito persino in prigione in gioventù.

Era stato arrestato perché aveva letto una poesia in cui c’era una frase ambigua: “le moschee sono i luoghi in cui diventiamo di più”. Le moschee sono i posti in cui si va a pregare, non a fare riunioni politiche o d’altro genere. Pena prevista per l’oltraggio “in versi” alla moschea è la prigione. La poesia é di Adil Avaz.

Non c’è modo di arrivare a un compromesso storico con questi radicali?
Anche noi abbiamo fatto i nostri errori. Abbiamo ingaggiato una lotta per affrancare le donne dal copricato nelle nostre Università. Non lo sopportiamo, è per noi il nemico che vuole portare la nostra repubblica laica verso un paese musulmano. I radicali hanno usato questo punto contro di noi, dicendo: “apriremo le Università alle ragazze che credono”, capisci, si tratta di una leva importantissima…  Insomma non dovevamo odiare tanto questa “copertina”…  alla fine è solamente un vestito che ha dato una grande forza ai radicali. In quel periodo i nostri oppositori erano molto nervosi perché le loro figlie non potevano andare all’università e invece oggi ci sono bambine con le “copertine” anche alle elementari… Ora i radicali dicono che noi laici abbiamo protestato con tutta la nostra forza per tre alberi, ma quando c’era il problema del copricapo non abbiamo camminato al loro fianco.

Mi spieghi com’è fatto il copricato o, come dici tu, “copertina”?
Deve coprire la testa totalmente in modo che non si veda neanche un capello. La donna può indossare anche una parrucca, purché non si vedano i suoi veri capelli. Quello tradizionale turco dell’Anatolia, invece, non è così rigido, se si vede qualche capello non significa nulla. Questo però sai cosa comporta? Se ho un malore di domenica e di turno in ospedale c’è soltanto un medico donna, questo dottore con il copricapo non può neanche guardarmi. Non c’è giuramento di Ippocrate che tenga, può disinteressarsi totalmente, perché sono un uomo…

Salutiamoci con una nota di costume: i turisti sono venuti lo stesso in Turchia questa estate?
Un amico, un altro diplomato al mio Liceo, è il direttore di Prontotour, ditta turistica turco-italiana. Secondo le sue stime, il calo è stato del 40%.


© Riproduzione riservata

il video della canzone "Barışa Çağrı" di Eser Taşkıran dedicata a Piazza Taksim