martedì 17 settembre 2013

Capossela e la Banda della Posta
Ca...litri di vino e musica nella valigia dello sposo


Ho visto il concerto della Banda della Posta di Vinicio Capossela due volte: il 25 aprile e l’8 settembre. Centrare casualmente una doppietta così solenne merita una riflessione. La liberazione e la resa. Un po’ come accade nel matrimonio: quando comincia, è come scendere a patti con l’amore, quando finisce, è quasi sempre una liberazione. Ho parlato di matrimoni, ma avrei dovuto scrivere “sposalizi”, termine che implica l’aspetto più carnale di tutta la faccenda, con il cibo, il ballo e la sfrenata ebbrezza dionisica del giorno di festa.
Tanta la carne al fuoco. Si potrebbe cominciare dal caglio che mio nonno andava a comprare dal macellaio di Calitri per fare il caciocavallo podolico. Potrei partire dalla mitica montagna di Rapone, dove la baracca rosa di Lorenzo Pinto è la versione vintage della casa di Peppa Pig.
Potrei descrivere i matrimoni da Mast’Antonio, dove si arrivava dopo il lauto pasto per buttarsi nella mischia, bere e ballare, abbracciare sposi e compari mai visti prima e mai più riconosciuti, ma sono tanti gli elementi che compongono il dna dell’ultima creatura di Vinicio Capossela e non posso sviscerarli tutti. 
Allora parto dal nome: Banda della Posta. La Passione e la pensione, la processione religiosa del Santo patrono e quella laica di chi lavora a padrone. Il nome suggerisce anche uno scenario assolato e western di un manipolo di nonnetti “appostati” come banditi, davanti all’Ufficio postale, in attesa del meritato bottino. 
Il repertorio potrebbe non avere confini e sicuramente è una porta che si apre a fisarmonica sul passato, sui “ballabili” dello stesso Vinicio e sul variegato mondo sonoro dei cosiddetti “canti d’emigrazione”. 
Come è strombazzato sul cd della Banda, il concerto inizia con “Primo ballo” dopo un’overture che lancia la sfida: “España cañì”, paso doble degli anni Venti, simbolo della lotta tra il toro e il suo torero, un passo a due, come lo sposalizio. Il brano funziona da sipario e ci dà il benvenuto nell’arena. 

C’è un primo ballo, ma non l’ultimo… perché lo sposalizio è solo uno spossante inizio, e la musica, il cibo, la durata della festa sono la metafora di una promessa di abbondanza per un uomo e una donna che vanno incontro alla vita “finché morti non li separi”. C’è “la serenata a ingiuria” di Calitri, quella che ancora oggi si canta sotto il balcone della sposa, per amore, ma anche per dispetto... 
Dalla Banda al banditore. Capossela ripropone tre “classici” di Matteo Salvatore, “I proverbi paesani”, quella che tutti chiamano “Ratatatumpa” (in una sola parola tutta la percussione di una marching-band), “I maccheroni” (chi muore muore, chi campa campa e nu piattu di maccarruni cu la carna…) e “L’inno della Repubblica” scritta, a quanto pare, dal padre del cantautore del Gargano mentre era detenuto nel carcere di Lucera col sindacalista Giuseppe Di Vittorio. 
Sono nozze d’oro, invece, per papà Vito Capossela e signora che seguono dal backstage il tour della Banda. A Vito, “collezionista di foto davanti a macchine non sue”, partito per la Germania nel ‘63, Vinicio aveva già dedicato, nel 2003, “Si è spento il sole” di Adriano Celentano, inserendola nel cd antologico “L’indispensabile”. Nella scaletta della Banda c’è spazio anche per altri 45 giri della “fonovaligia dell’emigrante”, quelli che Capossela chiama i grandi interpreti dell’emigrazione ferroviaria, Salvatore Adamo, Rocco Granata e i Barritas di Benito Urgu. Tra i papabili è previsto persino un brano di Nicola Di Bari, altro grande personaggio che in Italia meriterebbe maggiore attenzione. Questa volta però la canzone del cantante di Zapponeta cede il posto ad un omaggio al Festival Frammenti di Frascati e al territorio ospitante: “’Na gita a li castelli” nota anche come “Nannì”.

Le copertine di questi 45 giri sono un vero spasso. L’unità grafica che racchiudeva il ballo, la nostalgia per il paese lontano, la musica di tradizione, il giovane dal nome tosto, a volte esotico, era rappresentata da una fisarmonica, strumento-simbolo dell’emigrazione. Anche perché facilmente trasportabile nei bauli o nelle valigie chiuse con lo spago. Uno di questi che andavano per la maggiore si chiamava Vinicio e non è un caso che rientri in questo discorso. Una volta, Capossela ha raccontato che papà Vito possedeva una collezione di dischi di questo misterioso e fantomatico personaggio, specializzato in tango. Da Vito a Vinicio il passo è breve e il battesimo, anche musicale, è d’obbligo. Così l’identità di Capossela si delinea attorno a uno pseudonimo, perché dietro al Vinicio fisarmonicista del tango che spopolava nelle balere d’Oltralpe, si celava, in realtà, Eduardo Alfieri, autore, arrangiatore, direttore d’orchestra di tanta canzone napoletana degli anni ’50-‘60, nonché pianista di Sergio Bruni. 

Tra un fox-trot, una polka, una tarantella, il tango e una quadriglia comandata, arriva “Occhi neri”, “un vero pezzo “mariachi”, poi una ranchera che sembra annunciare nella sua parte finale strumentale “Marina” di Granata e invece arriva “Manuela”, il lato A di quel vinile da esportazione. La canzone, già popolare nella versione di Luciano Tajoli, diventa un cavallo di battaglia del calabrese di Figline Vegliaturo, in provincia di Cosenza, Rocco Granata, minatore figlio di minatore (quando si dice che il destino è già scritto nel nome), emigrato con la famiglia in Belgio nel ’48. 
Anche qui, il pezzo finisce a sorpresa, giocando con le note greche de “I ragazzi del Pireo” di Manos Hatjidakis.
Giocare, voce del verbo “to play music”, con chitarra, scopa, canto, calici, stelle filanti e pistolettate, Vinicio Capossela, con Franchino ‘u parrucchiere alla chitarra, Peppino detto Totta Creta alla fisarmonica, il cowboy del ritmo, Antonio Daniele, alla batteria… solo per citarne alcuni.

A Frascati mancavano all’appello un mandolinista e il Primo violino, Peppino detto Matalena che, all’occorrenza, siede all’organo per le grandi cerimonie religiose. Infatti, l’8 settembre a Calitri e in buona parte del Meridione d’Italia si festeggia la Madonna Addolorata e in ogni festa religiosa c’è sempre un cantante “pop”. Quella sera Matalena è rimasto a Calitri mentre, parallelamente al suo organo, si esibiva in piazza Franco Simone. Se ho capito bene, ho immaginato Peppino come l’unico baluardo della Banda e della Posta che non poteva lasciare il suo avamposto d’onore.

Rispetto al debutto del 25 aprile, sono aumentati i brani di Vinicio affidati alla rumorosa compagnia, come a volersi “sponzare” fino in fondo, che vuol dire, come ha spiegato lo stesso Capossela nella premessa (nonché promessa) al Calitri Sponz Festival di fine agosto, calarsi nel ballo con anima e corpo e quindi “inzupparsi” di sudore. Un po’ come il "pane cuotto" o la frisella nel pomodoro.
“Che cos’è l’amor”, “Con una rosa”, “Pena del Alma”, “L’uomo vivo”, “Il ballo di San Vito” e altre, ma soprattutto “Ovunque proteggi”, che l’autore stesso ha chiamato “canzone abbracciabile per eccellenza”. 

Mai definizione potrebbe essere più appropriata di “chef d’orchestra” per Vinicio Capossela che incita il pubblico al ballo, se non altro per digerire le cannazze di maccheroni, piatto forte del pranzo nuziale. 


Il richiamo delle origini, la forza degli archetipi ci fanno sentire parte di una stessa comunità. È questo lo spirito che pervade il concerto, un rito corale e liberatorio, specie quando Capossela, sponzato al punto giusto, si lancia in un ballo vorticoso con sua madre, trascinandola dal retropalco all’altare della musica. E’ a quel punto che mi viene in mente uno strano accostamento, Vinicio Capossela-Bruce Springsteen. Qualche anno fa, ho assistito ad un concerto di Springsteen (e il video è rintracciabile su youtube) in cui il Boss, come un emigrante qualunque, abbraccia la madre sul palco e si mette a ballare con lei. Allora penso agli Stati Uniti raccontati da Springsteen, quel lavoro sull’America più profonda, alla ricerca della vera anima popolare del Paese, culminato nel tributo a Pete Seeger, un cd e un tour in cui il cantautore del New Jersey è accompagnato da una band da saloon, il corrispettivo country della Banda della Posta. Lì il banjo, qui il mandolino. Alla vigilia di quell'impresa, Springsteen disse: “anche se non conosci il disco, al concerto puoi sentirti come a casa”. I Pete Seeger, i Woody Guthrie italiani sono Matteo Salvatore, Enzo Del Re, i Tottacreta, i Matalena, quelli che Capossela ha tanto amato, ha un po’ sposato e riportato a casa. Tutto torna, a casa, prima o poi. Come l’emigrante.

Bruce Springsteen & The Seeger Session Band
Vinicio Capossela e la Banda della Posta

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12 commenti:

  1. I miti di Timi sono anche i nostri.. :)

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  2. Che cosa bella che hai scritto. Bella bella bella. Appassionante e informata. Adesso ho una voglia enorme di vedere questo spettacolo.
    Sergio Staino

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  3. giustamente definita da vinicio una bella recensione.
    ho visto il concerto, era il 19 luglio, ho ballato con vinicio, e leggendo queste parole ho ricordato tutto... con vero piacere!

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  4. Anche a me era piaciuto tantissimo il concerto del 25 aprile e non ho bissato a Frascati per motivi logistici ma lo avrei tanto desiderato!!! complimenti per questo bel report e grazie per le tante informazioni interessanti che dai!

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  5. Nel ringraziarvi per i commenti, ne approfitto per segnalarvi domenica 13 settembre a Padova, alle 18, la presentazione di "Tefteri. Il libro dei conti in sospeso" e del film "indebito" . Ci sarò anch'io con Sergio Staino, e naturalmente Vinicio Capossela e Andrea Segre

    http://www.lafieradelleparole.it/programma/2013-10-13-del-libro-tefteri-e-del-film-indebito.html

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    1. Ciao Timi :)

      ero presente ieri sera all'incontro a Padova e ho molto apprezzato il tuo tentativo di trovare spunti interessanti di discussione e non cadere in una presentazione banale e scontata. Però ieri il buon Vinicio era un pò scoontroso, così all'inizio il suo rispondere e replicare poteva sembrare anche divertente, alla lunga però un pò stucchevole. Ma tu sei brava. Vincenzo

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  6. “Sembrava un gioco delle parti non previsto”, mi ha detto Valerio Massimo Manfredi che era in platea, e forse nell'economia della serata introduceva elementi che spostavano l’attenzione... Era evidentemente un gioco che spero non vi abbia annoiato.
    Non volevo accostare semplicemente il repertorio della Banda della Posta ai "canti di sradicamento", ma le interruzioni e il dovere di fare delle precisazioni sul concetto e il sentimento dell'emigrazione non mi ha consentito di andare oltre...
    E' ovvio che trovare dei punti di contatto tra rebetiko e Banda della Posta era anche quello un gioco... sono partita dal rosso della copertina di Tefteri e il rosso del cd della Banda… e di rosso ero anch’io vestita… avrei voluto dire che il film "Il mio grosso grasso matrimonio greco" non è molto lontano dalla rappresentazione di certi matrimoni al sud, che come il rebetiko, la musica della Banda della Posta è musica che si ascolta e si consuma mentre si sta a tavola, nelle tavernepunk greche, come nelle sale adibite a sposalizio o trattorie di paese... di solito, una per ogni paese, la stessa per tutti i matrimoni... e questa è una cosa che comunque è emersa e l'ha voluta dire e condire lo stesso Vinicio... sopratutto sono canti e musiche ballabili, scritte da "emigranti" come Rocco Granata, Salvatore Adamo che Vinicio definisce "grandi interpreti della migrazione ferroviaria". Certo che c'è la festa, il divertimento, come il rebetiko ti fa ballare, ti rende protagonista, anche se non fai coppia o resti con la scopa in mano, ma c’è anche che ci sente (non io) la nostalgia del passato… (altrimenti una celebre mazurka non comincerebbe con queste parole…)
    Nobilitare delle "canzonette" è proprio quello di cui mi occupo da anni, so che può sembrare buffo o inutile, ma fermarsi alla parola "canzonetta" è sbagliato, altrimenti dovremmo inorridire davanti alla nomination al Nobel per Vecchioni, solo perché il progfessore ha scritto la sigla dei "Barbapapà". Invece, è proprio perché c'è anche quello nella sua produzione che io gli dedicherei un trattato di semiotica.
    Tornando al gioco dei collegamenti, il passaggio che è saltato è quello che dal sentimento dello sradicamento (come nel rebetiko) ci porta alla ricerca delle radici (quella pulsione che spinge l'emigrante a far ritorno, prima o poi), sono musiche che ci fanno ballare ma che ci fanno sentire anche parte di una comunità (anche se non conosci il disco, al concerto puoi sentirti come a casa). In Belgio, In Germania, i nostri padri i nostri nonni, sentendo quelle musiche da ballo si sentivano come a casa.
    Altro punto in comune, la "genesi" del lavoro. Lunga, scrupolosa, meticolosa e da etnologo, etnomusicolo, alla ricerca e all'ascolto di uomini e storie, canti, musiche e balli. Un metodo di lavoro che ha consentito a Capossela di accostarsi anche a storie di "ribelli" nostrani, misconosciuti, come Matteo Salvatore e Enzo Del Re. Del primo la Banda della Posta ripropone tre brani in cui c'è la povertà, il cibo, la denuncia e la goliardia, il genio e la sregolatezza... molti testi delle canzoni del rebetiko parlano di donne, amori, sesso e sposalizi... Di Del Re ho detto abbastanza... e poi basta guardare i nostri profili greci... quello di Matteo, di Vinicio e persino il mio.

    Ne approfitto per aggiungere un’informazione utile: per vedere “Indebito”, il film di Andrea Segre e Vinicio Capossela, dovremo aspettare il 3 dicembre.

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    1. Grazie, questa tua ulteriore riflessione è molto interessante. Io visto il concerto di Vinicio e la Banda il 15 agosto scorso, in un piccolo paese di Piglia, molto bello: Ceglie Messapica (sono originario di quella zona). E pure nei momenti più gioiosi del concerto - che indubbiamente è una grande festa - trasparivano momenti di malinconia... come non "vedere" i treni stracarichi di emigranti con la valigia di cartone che ascoltavano in treno le canzoni di Adamo...
      Per quanto riguarda le similitudini con il rebetiko, la mia potrà sembrare follia ma ieri sera mi tornava in mente la musica di un album di Bruce Springsteen che amo: We Shall Overcome - The Seeger Sessions. Un album particolare nella discografia del Boss. Non contiene canzoni sue e non vi suona la pur mitica E-street Band. E' invece un album che recupera la tradizione folk americana, con canti di protesta anche dei neri d'America. Per chi non lo conosce, o per chi non lo ha ascoltato a fondo, lo consiglio. Ciao, Vincenzo

      P.S.
      Valerio Massimo Manfredi oltre ad essere stato presente, si è fermato alla fine con alcuni di noi, con la voglia ancora una volta di divulgare il suo amore per la Grecia, in qualche maniera continuando l'incontro del giorno prima (era stato infatti presente ufficialmente alla fiera delle parole sabato). E' un grandissimo, ogni volta che lo ascolto mi affascina.

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  7. beh... allora vai a rileggere nel post qui sopra cosa ho scritto a proposito di Capossela/Springsteen... :-)

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