martedì 29 ottobre 2013

Federico Fellini e Lucio Dalla, confidenze musicali alla radio

Fellini apre la porta occulta della sua musica al corsaro e argonauta Lucio Dalla

"Alla fine dei nostri giorni, se ci fosse concesso di dire qualcosa... sono convinto che sceglieremmo i versi di una canzone, una canzonetta, come senso di tutta la vita".

A vent'anni dalla scomparsa del regista, la registrazione integrale di "Studio 2" del 25 ottobre 1990, programma della fascia pomeridiana di Rai Stereo Due.


D: Buongiorno sono Lucio Dalla e sono nello studio di un mio grande mito, ve lo spiegherò nel nostro incontro e lo capirete dalle cose che sono di lui. E’ Federico Fellini, lo conosco da molto tempo come la maggior parte degli italiani, ma posso dire che ho l’onore di telefonargli ogni tanto...

F: E’ vero, a Natale, a Pasqua, per i compleanni che ormai si susseguono con un ritmo impressionante, arriva la voce di questo amico fantastico… ci siamo visti poche volte, ma mi hai sempre dimostrato una simpatia, un sentimento d’amicizia che mi sembra di conoscerlo dalle Elementari, anche se tu, Lucio, sei un po’ più vecchio di me… sono le amicizie più belle queste che si basano su una premessa, sono amicizie tutte da consumare e speriamo che questo incontro sia l’occasione per cercare di stabilire un rapporto che ci permetta di stare insieme più spesso… e chissà anche di lavorare insieme… Io ti ho visto la prima volta in una visione un po’ infernale… un po’ com’era la discoteca nel mio ultimo film, “La voce della luna”, al Teatro Tenda, sono entrato, e probabilmente gli organi acustici del mio organismo sono forse un po’ fragili e, in mezzo a un gran fumo, ti ho visto in fondo a un palco, una platea urlante, stridente, che mandava strida come i pipistrelli, decibel quasi quasi irraggiungibili, e laggiù c’eri tu dietro a una tastiera con il tuo cuffiotto in testa e sembravi un’immagine salgariana, un corsaro, un pirata, Sandokan, tanto più che i canglori che partivano dalla tua tastiera potevano sembrare delle cannonate…
Ho visto che controllavi la situazione, eri tu che scatenavi questo entusiasmo, questa marea di urla, anche un po’ isteriche, gioiose, sempre…

D: Volevo tranquillizzare gli ascoltatori che questo non era altro che un concerto, tu hai fatto una descrizione epica!

F: Una battaglia navale…

D: Ma io mi ricordo, con altrettanto stupore, che Federico è arrivato durante il concerto e con grandissima gentilezza si è seduto all’interno della tenda. Sono convinto che se fossi andato a sederti in mezzo al pubblico, non avrei saputo come tranquillizzare la gente, perché non è normale vedere un protagonista della nostra storia che assiste a un concerto…

F: …ma a un concerto di Lucio Dalla potrebbe esserci anche Vittorio Emanuele II, Garibaldi, tutti quanti dovrebbero assistere a un tuo concerto, per la forza evocativa che hanno i tuoi spettacoli, sono un po’ medianici…
Tornando alla forza misteriosa della musica, ho visto che lì scatenavi e, nello stesso tempo, dominavi questa dimensione magmatica, misteriosa, viscerale, veramente un’invasione, com’è sempre la musica…
Come è misteriosa per me la musica… ne rimango affascinato e impaurito, tanto che sono ormai diventate leggenda nei ristoranti le mie inquietudini appena vedo arrivare verso di me suonatori ambulanti, come se al posto della chitarra o della fisarmonica avessero un mitra…
Mi ha sprofondato in una dimensione di profonda malinconia, la musica, come se mi restituisse a una condizione animalesca, quasi canina, mi metterei ad ululare di malinconia, me ne devo difendere, a meno che non lavoro.
Ecco, se lavoro posso fare tutto, il lavoro diventa un grande scafandro, una protezione da qualsiasi cosa, se no la musica mi aggredisce, ma probabilmente è perché ti restituisce il peso, la miserabilità della tua situazione. Con questo ricatto continuo di alludere a qualche cosa di più perfetto, di più armonioso, qualcosa dalla quale sembra che tu sembra debba essere escluso. E’ ricattatorio. Io ho fatto dire nel mio ultimo film, a quell’oboista (scusa se mi cito), “la musica dovrebbe essere proibita per legge”.

D: E’ da grande amore però, una frase così ingiustificata e coraggiosa significa che uno si aspetta chissà cosa dalla musica… perché tu dici che dovrebbe essere abolita?

F: Stamattina, sapendo che t’avrei incontrato ho telefonato all’amico Nicola Piovani. Mi ha detto “salutamelo, per me è il più grande. E’ il più grande insieme a Gino Paoli, a Conte, De Gregori…” Mi ha parlato di te in termini di vera, sincera, ammirazione, tu lo conosci Nicola, immagino…

D: Non solo lo conosco, lo invidio, perché lavora con te.

F: Chi lo sa se il prossimo film… non avrà, invece, le musiche di Dalla…

D: Così mi spara Piovani… Se tu mi consenti, non solo so tutto di te, ma so tutto della tua musica.

F: Non dire “la mia musica”, che mi fai sprofondare in una dimensione di vergogna…

D: non può essere che la musica di Fellini, la musica dei film di Fellini… qui ho un pianoforte… Sono un cane a suonare perché tanto era il mio desiderio di suonare la musica che non ho mai imparato bene uno strumento…

F: era anche un mio desiderio… Dal momento che siamo in tema di confidenze sgangherate, devi sapere che io ho tentato di imparare a suonare il pianoforte. Il primo insegnante era un vecchietto, ma avevo già 45 anni e non mi riconoscevo più con tanta disinvoltura e umiltà nel ruolo dello scolaretto e le insistenze per allargare le dita, scavalcarle per fare la scala… ho lasciato perdere. Allora ho pensato che una maestra e molto attraente, avrebbe potuto costituire una maggiore attrazione e spingermi a una maggiore regolarità. La maestra c’era. Era di Ferrara, una bellissima signora… non abbiamo suonato niente, però siamo andati a pranzo, a cena, qualche passeggiatina…

D: Eri ancora ragazzino…

F: Avevo già passato la cinquantina, ma anche la ferrarese… a me piacciono le tardone, a te no?

D: Sì, non solo, ma è bello mettersi a sudare a 50 anni… io mi sono iscritto a psicologia, tre anni, fa, solo che non ho più potuto frequentare perché mi addormentavo regolarmente…

F: ma tu ti sei iscritto a psicologia perché venivi presentato come un caso?

D: Perché di fronte a casa mia, che tu conosci, a Bologna, c’è il convento di San Domenico che ospita l’Università per anziani… tanto anziano lo sto per diventare… Per me l’anzianità è una gratificazione incredibile perché è l’alternativa ai ritmi micidiali della mia vita fino ad ora.. solo che per lavoro non dormo mai, se non lavoro mi addormento come una zucca. I frati mi hanno cacciato via dicendo “sarai un bravo cristiano, ma non puoi venire all’Università e dormire…” Ma ora, se mi consenti, mi organizzo, e ti faccio sentire i tuoi pezzi…Io non mi ricordo e non ci tengo a citare le cose come stanno…

F: Questa è 8 e mezzo, la danza della Saraghina, la rumba… ora mi commuovo perché mi vengono in mente delle cose bellissime…
Con Nino, e anche con Nicola succede così, quando si arriva alla fase musicale di un film, a mettere la musica in un film, io che sono ignorantissimo, sono sempre indifeso, ci vorrebbe uno psicanalista di genio per tentare di individuare che cos’è che mi aggredisce in modo tale da preferire di fuggirla.
Sono quattro o cinque motivi, sempre gli stessi, che ho sentito da ragazzino, la marcia dei gladiatori del circo, la Titina… “Io cerco la titina, pa pap parapara”, e la rumba, che sono stati tre motivi traumatizzanti…
A parte i ricordi personali, l’amicizia con Nino, la lunghissima collaborazione trentennale, si ripropone sempre il solito mistero: perché quattro note, una nota seguita da un’altra, una piccola pausa e una terza nota debbano poi strangolarti di emozione, prenderti alla gola? A cosa allude, di cosa parlano, perché la musica ha questa immediatezza, ti fa arrendere, ti consegna completamente?

D: perché è sfrontata, senza vergogna.

F: Stravinskij diceva “non si può dire nulla sulla musica perché è vicina a Dio”. Al di là del misticismo che tutti noi siamo disposti ad attribuire a questa atmosfera magica che ha la musica, questa frase di Stravinskij è una frase da condividere.
Io guardo a voi musicisti, tra gli artisti, con una forma di ammirazione un po’ stupefatta, mi sembrate come degli astronauti, come dei palombari o quelli che si espongono a delle radiazioni pericolose. Forse io avrò un’animula un po’ fragile, avrò conservato un aspetto più adolescenziale che è più vulnerabile, aggredibile, ma a meno che non debba lavorare, a meno che la musica non serva ad esaltare un mio film e allora non mi aggredisce, non mi ferisce, non mi strangola, la posso portare benissimo, anzi mi sembra di controllarla, altrimenti la evito, la evito… credo che bussi più o meno ostentatamente a una porta che uno preferisce tenere chiusa.
E’ proprio il mezzo, il veicolo che porta a qualche cosa di te stesso, la porta occulta, la stanza segreta, allora guardo a voi come a dei coraggiosissimi astronauti, argonauti… riuscite ad andare là dove la maggior parte della gente rifiuta…

D: Il pubblico che ascolta forse dovrebbe sapere che la più grande ambizione di un musicista è quello di dare immagini alla sua musica. Capisco la frase di Stravinskij, il suo furore epocale giustificato. Però credo che il sogno di ognuno, dal primo rottame che suona per strada, è proprio quello che chi ascolta chiuda gli occhi e immagini le immagini. L’ho sempre detto che tu oltre ad essere un uomo di cinema, sei un uomo a 360 gradi raccontatore. Tu immagini la musica. Tutti dovrebbero conoscere Rota al di là dei tuoi film. Sono convinto che la grandezza della sua musica si sposi perfettamente con l’invenzione della tua regia, ecco perché sono certo che sotto queste musiche ci sia anche tu… anche come uso della parola. Non potrei immaginare le parole dei tuoi film scollati dalla musica.
Quando ad esempio Mastroianni incontra Nico a via Veneto ne “La Dolce Vita”, è un musical. Nella ricerca del suono delle parole c’è grande musicalità, ecco perché poi me le ricordo così bene. Perché non mi ricordo bene i film di Ėjzenštejn?

F: Perché erano muti.

D: A parte quello, perché non c’era proprio la possibilità di collegare… erano più muti di quello che sembra.

F: sto scherzando… poi non sono neanche sicuro che fossero muti, non li ho mai visti, lo devo confessare…

D: ma io cercavo uno distante da te, potrei dire tanti altri film, perché il tuo suono e la tua musica hanno una funzione importante, pensiamo ad “Amarcord”. Sai che ti ho rubato un pezzo?

F: a Rota… non a me.

D: c’era una canzone che si chiamava “Anna bellanna”che cominciava in un modo poi ad un certo punto cambiava, se no, andavo in galera…

F: a proposito di questo pezzo qui, sai che Nino non poteva fare musica tutto il giorno, un altro aspetto un po’ sacerdotale, comunque iniziatico… Le due ore vere in cui entrava a contatto con quella parte di se stesso che abitava in questo mondo della musica dove probabilmente i motivi erano già pronti, era al tramonto. Infatti, quando si doveva cominciare ad occuparsi della parte musicale del film, andavo a casa sua, come stiamo seduti io e te. Lui al pianoforte, io vicino. Lui i miei film non li ha mai visti, non li vedeva, perché Nino aveva una prerogativa tipica degli angeli e dei neonati. Ancora prima che si spegneva la luce in sala, si addormentava. Quindi i film non li ha mai visti, si svegliava a tratti e diceva, ad esempio, bello quell’albero, dove l’hai trovato? A parte il fatto che non c’era nessun albero…

D: perché sognava…

F: Alla fine diceva: “allora quando cominciamo? Ma lo sai che ho dormito tutto il tempo?” Me ne ero accorto… anche perché aveva un lieve ronfare… non li ha mai visti… Nino però gli bastava che io gliene parlassi un po’ e i miei discorsi non erano tanto riferiti al film, quanto al sentimento che volevo esprimere in quella sequenza con la musica e i miei riferimenti musicali erano proprio miserabili: La Titina, La marcetta dei gladiatori, Fontane all’alba, Pavia, sempre i soliti autori che avevo sentito da bambino e che mi hanno accompagnato e mi accompagneranno fino alla fine. Io sono convinto che alla fine della vita, se ci fosse concesso di dire qualcosa, ma lei cosa può dire della vita, caro amico,  lei che adesso, a 104 anni, ha deciso di salutarci… io sono convinto che se uno fosse completamente sincero direbbe una canzonetta, come senso di tutta la vita. Me ne accorgo da questi quattro o cinque motivi che mi aggrediscono con la stessa commozione, la stessa nostalgia, lo stesso rimpianto della musica, che ti fa rimpiangere. Te lo domando e voglio una risposta filosofica, scientifica, consolatoria e molto lucida. Che cosa ti fa rimpiangere a te la musica?

D: io sicuramente ho un rapporto sgangherato col passato… mi fa rimpiangere quello che non è stato. La grande profonda malinconia che mi lega alla musica è il rimpianto delle cose che non ho vissuto perché, a differenza di te, non ho collegato un motivo a un mio vecchio film della mia vita, ma alle mie ansie, alle mie frustrazioni. Ad esempio, la nostalgia del mio non essere alto, di non essere mai stato alto nella mia vita…

F: VOCE: nella tua musica sei altissimo

D: è drizzare la gobba ai gobbi la musica…

F: è un’enorme ambigua e traditrice consolazione.

D: sicuramente…

F: una volta Bernstein alla domanda di un giornalista che gli chiedeva: ma se lei dovesse definire la musica? Quelle domande che fanno in generale venire i nervi… Che cos’è la musica? E lui disse una cosa che mi sembra molto esatta, geniale, precisa: l’ineluttabilità… E quindi quella nota, quello spazio, quell'altra nota, l’allusione a una terza nota che non può essere che quella e soltanto quella fra un milione di combinazioni soltanto quelle tre note, con quella misura e con quella distanza, come fosse appunto una costruzione, una cattedrale, una chiesa… non puoi mettere un mattone in più, un mattone in meno. Mentre Nino componeva, le note le giudicavo solo sul piano delle emozioni che mi provocavano. Se mi facevano venire gli occhi lustri o mi mettevano in quello stato d’animo che ti fa balbettare, era il segno che era giusto quello che aveva fatto. Nino mi guardava stupido e mi diceva: “che strano, tu giudichi un musicista sul piano emotivo, per un musicista non è così, almeno non per me”. Io gli dicevo: “Per me questo motivetto che hai fatto è bellissimo, struggente, nostalgico, ti carica di nostalgie, più o meno letterariamente sul piano dell’emozione, quindi in altre parole, va bene, è bello, ma a te, Nino cos’è che ti fa pensare che è giusto? E lui: “per me la musica è architettura. Questo motivo che tu trovi bello, io lo trovo giusto perché è architettonicamente composto bene. Aveva una visione quasi matematica. Anche per te il giudizio su una tua costruzione dipende da questo?

D: io purtroppo sono un contaminatore, un dilettante, faccio la musica e mi piace immaginarla che esca a un semaforo da un’altra macchina nella zella, nel marciume della vita quotidiana.

F: Questa è l’ispirazione…

D: La penso così, la contamino…

F: è un’emozione visuale che ha degli agganci con la vita di tutti i giorni, nasce proprio da quello…

D: nasce proprio da quello… Soprattutto non so una nota di musica, questo è uno scandalo incredibile... Eppure vengo proprio attivato dalla sensazione che la mia canzone in un dato momento la stiano ascoltando a Crotone, oppure che due ragazzi fanno l’amore a Messina o in Alto Adige con la mia canzone, questo mi esalta e mi porta a produrre il meglio per loro, quindi delle volte faccio anche delle nefandezze sottilmente erotiche ed erotizzanti…

F: confermi quello che io tentavo di dire prima, più o meno confusamente, è un fatto medianico, sei uno strumento…

D: non come un architetto medievale o gotico, ma come un cialtrone della Bassa…

F: come un maghino della Bassa, uno stregoncino, un sensitivo… ma l’artista è sempre così, è sempre un medium. Noi crediamo che siamo noi che facciamo le cose, scusa se mi cito così spudoratamente, ma d’altra parte… siamo noi due… Così certe volte, quando mi capita di vedere, entrando in un bar a telefonare, sulla televisione sospesa in aria accanto alle bottiglie, un mio film e mi fermo a guardare, la domanda che mi è venuta spesso, tutte le volte che mi è capitato di rivedere un mio film: ma chi è che ha fatto questo? Io? Con la mia pigrizia, la mia approssimazione, la mia indolenza, gli appuntamenti telefonici che ho continuamente per rinviare l’appuntamento vero, con una vita così tutto sommata disordinata, impasticciata, come ho fatto a organizzare tanta gente, a imporre la mia volontà, a stabilire tutte le luci, le distanze, le profondità, come ho fatto? Chi è che ha preso possesso? Chi è l’abitatore che è venuto veramente ad organizzare tutta questa massa di gente, a dare tanti ordini, ad esprimersi in maniera così precisa?
Allora un giorno o l’altro dovremmo tentare di conoscere chi sono questi altri due. Forse dovevamo chiamare questi altri due a fare questa chiacchierata…

D: sicuramente il mio abitatore è quello che non sono mai stato, quello che vorrei essere, cioè la gente. Io sono un voyeur, dentro sono veramente quasi niente, senza fare l’apocalisse del mio poco, divento qualcuno quando vedo qualcuno.
Se io fossi solo in una stanza sarei un vaso, un mobile, quindi quando penso alla gente, è un’energia che mi arriva immaginando tutto quello che c’è fuori, così probabilmente le mie canzoni. Non sapendo suonare, non conoscendo la musica, se immagino cosa stanno discutendo in Argentina adesso, con uno che si sta accendendo una sigaretta, mi viene veramente una tale paranoia che mi butto sul piano e faccio un tango e sogno lo scalpiccio delle scarpe quando gira e più è lontano più mi viene questa grinta di conoscere.

F: sappiamo pochissimo in generale e su noi stessi, nell’espressione che siamo chiamati a realizzare, tu la musica io le immagini, sappiamo molto poco, quindi teorie sui nostri sistemi non sono ipotizzabili… ma insomma dobbiamo riconoscere che siamo molto fortunati, continuiamo a giocare alla nostra età, io un po’ meno di te, ma comunque continuiamo a fare quello che ci piaceva da bambini, giocare, è praticamente non far niente aspettando qualcosa… me lo fai risentire il pezzettino del Rex di Amarcord?

(Dalla torna a sedersi al piano…)

F: poi tu dici che non sai suonare… io per suonare così darei gli ultimi tre capelli che mi sono rimasti.

D: andai anch’io a lezione una volta, mi dissero non puoi suonare con quelle dita, con le mani da maiale… e in effetti c’è qualcosa di suino nel mio fisico. Al pianoforte devi fare degli sbalanzi micidiali per prendere le note, però il cuore ce lo metto.


1 commento:

  1. Ciò che unisce i geni è la ricorsività. Il moltiplicarsi dell’immagine di un oggetto posto tra due specchi piani paralleli è una tipica situazione ricorsiva. Effetto ottico che i geni, in vari modi, ricreano nelle loro opere. Situazione propizia dal punto di vista intellettuale ma pericolosa dal punto di vista psicologico. L'artista genio e un po' folle Lucio Dalla, (Roversi ricordava le sue "pazzie", un po' come il Vasari ricordava quelle di Leonardo da Vinci), rientrava in tal genere. Nel suo videoclip della canzone Ciao, inizia con un'inquadratura su una spiaggia in cui l'artista e due suoi amici suonano e cantano la canzone, ampliando l'immagine si scopre essere una battigia costruita su un bastimento che solca i mari del mondo, riprendendo i temi della canzone. Cfr. Ebook (amazon) di Ravecca Massimo. "Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo". Grazie.

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