domenica 23 febbraio 2014

A certe altezze... (Dedicato a Francesco Di Giacomo)



Non ho mai pianto e riso insieme così tanto. Francesco Di Giacomo, una delle voci più belle della storia del pop-rock italiano, aveva un cuore grande ed era una spalla formidabile, nel senso comico e filosofico della vita. Mi aveva adottato. Undici anni fa, prima di conoscerlo, sulle pagine degli Spettacoli di un quotidiano, scrissi che era il “barbone” più elegante della scena musicale. Non l’aveva dimenticato e, quando per la fretta usciva con il maglione sbagliato o la camicia non stirata, lo ripeteva alla sua amata Antonella: “Sai cosa ha scritto Timi di me? Cercava la mia complicità, specie da quando la grande famiglia di “Stradarolo” (il meraviglioso Fesival di “arte su strada” di Zagarolo e Genazzano ideato e diretto dai Tetes de Bois) mi aveva accolto, e mi diceva: “tanto prima o poi, dopo una bella cena, a Satta je meniamo tutti insieme!”. Ecco, appunto, Andrea Satta, al mio fianco, rimasto senza padre, il 21 febbraio 2014, per la seconda volta. Andrea guardava a Francesco come a un faro, come a un gigante buono che splendeva e che doveva splendere ad ogni costo, ma anche come a un bambino “con la barba piena di zucchero a velo”. Insieme sembravano Tom e Jerry, nei loro occhi il guizzo e il furore, la lampadina che si accende e improbabili impalcature che crollano e, sotto, loro due che, resistenti a tutto, si proteggono non perdendosi mai di vista.
Set del "Film a Pedali" di Agostino Ferrente (foto T. Pinto)
Quel poco che ho descritto spiega il perché di tante acrobazie, la voglia di dare a Francesco sempre il piedistallo più alto, la ribalta metafisica che ne
mostrasse inequivocabilmente il genio e la sregolatezza, la forza magnetica e il dolce sguardo, il piglio intriso di animo popolare e il dettaglio del fuoriclasse, le sue comiche incazzature e la sua repentina capacità di recuperare con ironia. Nel 1994, il 14 luglio, ad un anno dalla morte di Leò Ferré, Andrea chiese a Francesco di presentare il primo cd autoprodotto dei Tetes de Bois. Era un disco dedicato ai loro amori francesi, primo fra tutti Léo.
Fu uno show case itinerante, a bordo del tram numero 30, una vettura degli anni Venti in regolare servizio che portava la bizzarra compagnia, mischiata ai romani e ai turisti, in giro da Porta del Popolo a Porta Maggiore a Porta San Paolo. Di Giacomo, seduto al posto del bigliettaio e in divisa da vero tranviere, rispondeva alle richieste delle ignare vecchiette munite di trolley per la spesa, leggendo pagine da “Sputerò sulle vostre tombe” di Boris Vian. Tutto regolarmente organizzato con le necessarie autorizzazioni e persino uno sponsor, la libreria “Rinascita” di via delle Botteghe Oscure, con il suo direttore storico, Urbano Stride, che li seguiva in motorino.

Un’altra volta, a Stradarolo 1998, Andrea gli affidò una corriera anni’60, di quelle con lo spazio per le valigie sul tetto e il vetro anteriore diviso a metà. Mentre il conducente faceva il giro della campagna romana, da una strada consolare all’altra, Francesco era ai fornelli a cucinare bucatini all’amatriciana, minestra di fagioli e carciofi alla romana per i “viaggiatori” del Festival.
Nel 2001, di nuovo insieme, sulla Ferrovia dell’Allume, il paesaggio lunare della Tuscia, impreziosito da piccole stazioncine liberty abbandonate. Francesco questa volta, era su un bidone di benzina, piazzato sui binari della fermata fantasma di Civitella Cesi, provincia di Viterbo, a leggere “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino. In un’altra stazione del percorso, nel 2007, ad Allumiere, per una tappa del tour “Avanti Pop”, a raccontare la magia del tempo e dell’umanità sul cassone di un Ape verde petrolio.

Di nuovo, nel 2007, sul tranvetto del 1924 che, dalla Stazione Termini, attraversando la periferia est di Roma, dal Mandrione al Pigneto, al Casilino, fino a Pantano Borghese, ben oltre il Racconto romano, dove forse un giorno vedremo comparire la moderna metropolitana, Francesco, alloggiato nella sua postazione in carrozza, leggeva Pasolini per uno spettacolo della Notte Bianca, che i Tetes, con la solita testa situazionista, hanno chiamato “Tramiamo”.
Set del "Film a Pedali" (foto T. Pinto)

Una postazione “Di Giacomo” era sempre prevista a Genazzano, durante “Stradarolo”, dove, capando cicoria e fagiolini per le signore dei vicoli, declamava Trilussa. Ricordo Francesco inseguire Andrea sul ponte “tibetano” in val Di Fassa, in una scena del “Film a pedali”, tra le macerie dell’Aquila, sull’ammiraglia della Transumanza a pedali, seduto come il Dalai Lama su un risciò pedalato da Andrea che, dopo pochi metri dalla partenza, non avendo calcolato la larghezza posteriore, ha finito la sua corsa incastrato nell’uscita della Fortezza Da Basso di Firenze.  

Nel settembre del 2004, al concerto dei Tetes de Bois, in piazza dei Cinquecento a Roma per la rassegna Enzimi, Francesco preferì quello di Fiuggi di Lou Reed e Patti Smith. Ma anche in quel caso, non riuscì a recidere il cordone ombelicale con Andrea che gli chiese un collegamento telefonico per intonare “Perfect Day” durante l'esecuzione di Lou Reed, e condividerne l’emozione con il pubblico della piazza romana. Al campetto dello sport di Fiuggi sui cellulari nessuna rete, tutti improvvisamente a cercare di fare da antenna, al buio, a frugare nelle borse degli amici per trovare quella tacca in più.

Alla fine si fece, con il telefonino di Maria Cristina, che forse aveva Tim. E anche quella volta, Andrea potè dire “l’amico mio c’era” e Francesco diventò amico anche di queste tre sognatrici di Radio Rai, la Pinto, la Zoppa e la Malantrucco, e con una, in particolare, avrebbe condiviso la “sventura” di ritrovarsi Andrea Satta sul proprio cammino. Nei giorni a seguire, Francesco mi chiese almeno cinque volte di ringraziare la mia collega per aver tirato fuori dal sacco quel cellulare provvidenziale. Noi non finiremo mai di dire grazie a lui per aver tenuto a battesimo il nostro programma “Scherzi della memoria”, in onda per diversi anni nella notte di Radiouno.

Il collegamento dall’alto non gli era ancora riuscito, quello in mongolfiera, a descrivere il panorama in diretta su un’emittente locale, cucinando uova strapazzate. Era tutto pronto, a Stradarolo ’99, superato lo scetticismo del sindaco di Genazzano, l’incredulità dei pompieri e dei vigili urbani, fatta l’assicurazione per spedire Francesco nella cesta di vimini, mongolfiera recapitata dal Piemonte da una società di noleggio ai nastri di partenza, passeggero unico già imbracato, con gli occhiali da saldatore, ormai votato al sacrificio. Il pubblico del Festival avrebbe sentito il suo reportage, attraverso casse distribuite lungo un percorso artistico che si snodava, contemporaneamente, per centinaia e centinaia di metri nei vicoli dei due paesi.
Caro Francesco, solo il cielo non era pronto, e le condizioni meteo non permisero ai tuoi amici di sollevarti più di quanto avresti mai potuto immaginare.

Vedendo l’esito di questo Sanremo avresti esclamato “E c’Arisemo!” Più o meno quello che hai detto arrivando in ritardo a casa nostra, martedì, per la prima serata. “Ho sentito Arisa in macchina, questa vince n'antra vorta…”. Chi l’avrebbe mai detto Francé che mi sarei ritrovata dopo tre giorni a pensarti come Claudio Villa, l’unico a morire la sera prima della finale, con Fazio che dà l’annuncio, come fece Baudo prima di far cantare “Nostalgia canaglia” ad Al Bano e Romina, in un'epoca senza social, nè wikipedia.
A proposito, Francè, altro che Reuccio, la tua faccia è bella e famosa a Roma come la Bocca della Verità, ci penso io a Satta non ti preoccupare, e “smettila Andrea con questa tua aria da Gerard Philippe” glielo dirò ogni tanto anch’io, per ridere e piangere insieme come abbiamo fatto tante volte e come non smettiamo di fare in queste ore.
Sarà per le tue “lanose gote”, ma so cosa vorresti dirmi in questo momento, sfranta per il tuo ultimo volo: “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”.
  
Serata "Notturno italiano", ass. cult. Apollo 11

Auditorium Parco della Musica, Roma 9 giugno 2013



A seguire, un testo di Francesco Di Giacomo per Stradarolo '99

A CERTE ALTEZZE (ho poco tempo Andrea)

      A certe altezze, si fanno più leggibili, le parti fisiche, di una terra, sempre più gnoma, boccia, pallino, punto puntino, punto, appunto.
      A certe altezze, braccia e gambe, e seni e ventrame sparpagliato, alterni a tessuti muscolari, viadotti e vialetti, terminali nervosi e l’intestino enorme. Autostrade, strade, autosentieri, colline e montagne e mo’ basta! Nella somma di puzze e odori celestrini da piastrellaio, quel cielo a noi così poco riverito, come un grande cesso pubblico.
      A certe altezze una serie di sussurri e sospiri, di grida e di dolcezze, di impressioni basse e bestemmie sante.  Su tutte il pensiero veloce di un bambino che scrive col dito per aria: “ pallone, palla, boccia, pallino, punto, puntino: voglio venire anch’io”.
      A certe altezze non si deve mai dire maestà. I re sono così lontani, a certe altezze.

 FRANCESCO DI GIACOMO

Avanti Pop - tappa di Padova, giugno 2007 (foto T. Pinto)





20 commenti:

  1. L'arco che dalla terra sale a certe altezze, porta tutti i colori ed è detto, purtroppo, baleno. Questa lunga fedeltà, iniziata nel 1972, a volte zoppicante per scelte estetiche distanti, si ritrova tutta e si arricchisce nel bellissimo, commovente racconto di Timi.
    Un abbraccio da Mauro

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  2. Ah, Timi cara, che ricordi e quanti momenti felici, e quanti dolori... Tra Roma Zagarolo e il cielo

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  3. Molto bello e commovente il ricordo di Timi del suo grande amico Francesco .

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  4. Grazie Timi, allora è vero che sei un mito!
    claudio ved.

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  5. "Ti aspetto per un brindisi"
    Francesco Di Giacomo.

    Giovedi dalle 15 alle 19, alla Sala delle Bandiere di Palazzo Rospigliosi a Zagarolo.
    Non portare fiori, ma - se vuoi - aiuta Emergency che troverai in un punto di raccolta sul posto.
    Dal parcheggio della piazza del Mercato (Via della Valle del Formale) ci sarà un servizio di navetta per andare a Palazzo Rospigliosi.

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  6. Mi sento triste e spaesato, spaesato e triste. Mercoledì mattina ho ascoltato "750.000 anni fa... l'amore?" con un sorriso ebete, per la gioia di avergli stretto la mano, come un fan adolescente un po' (tanto) cresciutello. L'ho riascoltata venerdì sera con un magone infinito.
    Ma mi forzerò a riascoltarla presto, come le altre cose. Perché non vorrei MAI che il sentimento associato a quei brani diventi il magone. Sarebbe imperdonabile. Sorriso e ammirazione. Sempre.
    Lorenzo

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  7. Ciao, Timi, come non condividere il tuo canto a Francesco Di Giacomo? La tua, una ballata struggente, tenera, lirica, piena d'amore e di fierezza di uno sguardo pulito. La tua ballata, di un canto soave, ci ricorda la bellezza della vita. La bellezza di un filo d'erba. Di Giacomo, filo d'erba strappato, ma resta il suo canto. Grazie Timi.

    Nevio

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  8. ...sono dispiaciutissimo, ma felice di aver fatto un po' di strada insieme a Voi !
    Lorenzo Fiore

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  9. (1) Non conoscevo Francesco di Giacomo così come non ho conosciuto Gavino Satta, il papà di Andrea. Ma conosco bene Andrea e quindi me la sento di affermare di conoscerli, bene, entrambi.
    L’inizio del 2014 l’ho trascorso con Andrea e amici in Germania, a vedere dove suo padre avesse vissuto una parte importante di vita, quei mesi a Langenfeld nel campo di prigionia in Germania, per provare a capire come questo poco tempo se paragonato ad un’intera esistenza possa aver conferito a lui un senso diverso al rimanente trascorrere della vita, quale direzioni abbia segnato, se possa avergli concesso il potere di vedere l’invisibile agli occhi. Noi non capiremo ma ci è piaciuto respirare l’aria e il cielo, stesi sui prati attorno al campo, a giocare coi bimbi, sotto lo sguardo delle finestre di quelle villette già presenti allora, dove qualcuno, nascosto, vide di certo passare Gavino.
    So che un giorno con Andrea ci troveremo in qualche angolo di mondo dove incontrare Francesco. Un po’ forse ci siamo già stati: sarà forse un anno che, passeggiando al Parco Lambro a Milano, Andrea mi raccontava proprio di di Giacomo perché aveva in mente l’ idea di rifare con lui il concerto del Parco Lambro, a 40 anni da quella edizione unica. Eravamo là perché ci piace percorrere insieme luoghi a ciascuno di noi più vicini, come se condividerli ci facesse entrare più in sintonia, come se provassimo un pezzo insieme, premesso che io non so cantare e non so nemmeno se così funziona. Mi figuro come ciò potesse funzionare bene invece tra Andrea e Francesco, visto che per entrambi la musica era un affare casalingo, come cucinare una pasta al volo con i pochi ingredienti pescati a sorpresa nel frigo o inventare insalate miste di colori e sapori anarchicamente frammischiati che venivano buone come le cose fatte con il gusto e il piacere di farle. Timi racconta di Genazzano e Zagarolo, favolosi borghi di un regno musicale dove non ti saresti stupito se avessero suonato una sera a sorpresa su qualche palco improvvisato ma non troppo, i Musicanti di Brema e se fosse venuto a parlare della sua terra lontana il Califfo Cicogna. A mille ce n’è nel mio cuore di fiabe da narrar…ma aspettate e un’altra ne avrete, c’era una volta il cantafiabe dirà e un’altra favola comincerà.

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  10. (2) Ora che il tempo delle merendine e delle fiabe sonore è davvero finito siamo arrivati ad un punto della vita in cui la scomparsa di un amico, la perdita di persone con cui l’intimità di pensieri e idee ha costruito progetti e si è concretizzata in azione, restiamo contrariati e colpiti da quella che ci sembra una loro ingiustizia, quasi avessero voluto farci il favore di anticiparci. Come se avessero voluto evitare a noi quel destino, avessero preso il nostro posto, avessero voluto rimandare la nostra ora, lasciarci il loro tempo, dedicarlo a noi ancora per un po’.
    E’ un punto della vita in cui inizia ad essere tardi per un sacco di cose e troppo presto per l’unica che fa veramente paura, ora ben più di quando eravamo piccoli e finito l’ascolto della fiaba bastava alzare il braccio del giradischi Lesa in pegamoide rossa e bianca per farlo ripartire e riascoltare. All’infinito.
    Ora che ci fa paura l’elenco delle persone che abbiamo davanti che si fa ogni volta più rado. Con noi di un passo più vicini allo sportello, sempre più soli ad aspettare il turno.
    Sappiamo bene che anche per i più longevi, la vita è troppo breve in relazione ai progetti fatti (Schopenhauer) ma vorremo delle deroghe per tutti quelli che ci hanno accompagnato fin qui che è anche un modo elegante di chiederlo per noi un piccolo momentaneo rinvio, per restare qui ancora un po’ a guardare le nuvole, come amava fare Nino Costa, grande poeta piemontese, e credo, Francesco:
    Quand ch’aj rivrà l’ora pi granda: l’ùltima,
    e ch’am ciamran lòn ch’i l’hai fait ëd bel,
    mi rispondrai ch’i l’hai guardà le nìvole:
    le nìvole ch’a van… travers al cel.
    Quando arriverà l’ora più grande: l’ultima,
    e mi chiederanno che cosa ho fatto di bello
    io risponderò che ho guardato le nuvole:
    le nuvole che vanno…attraverso il cielo.

    G.Cletta

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  11. Lo avevo sentito per telefono solo un paio di giorni prima che il fatale destino si accanisse. Il solito Francesco, buono, disponibile, solare.
    Aveva ascoltato il master del brano per il progetto Harleking "Perché siam venuti qui" e che gli avevo mandato tempo fa; gli era piaciuto e mi aveva dato la sua disponibilità a cantarlo nel disco.
    Sorridendo come solo lui sapeva fare mi aveva confidato che il testo gli era risultato un po’ oscuro e mi disse: “sarà un concept” …. Dietro quella frase tutta la passione tipica di noi “ragazzi degli anni ’70” per una musica che esprimesse anche idee, che superasse il confine dell’ascolto per arrivare più in profondità.
    ….. E si era fatto raccontare tutto il “concept” di Harleking che lo riportava alle sensibilità del loro capolavoro Darwin, alla necessità di comunicare in positivo … di avvicinare i giovani con la poesia. Perché Francesco era la poesia del Banco, era l’incantatore capace di evocare immagini e contemporaneamente raccontare storie.
    …. E ci erano tornati alla mente i giorni passati assieme a Perugia, ore ed ore sul palco del teatro Morlacchi per preparare il concerto che dopo anni avrebbe riproposto proprio Darwin integralmente: un evento, un insieme di ricordi che mi rimarranno sempre nel cuore.
    ... "e mi viene da pensare" a Bellinzona negli anni 90 quando dopo un decennio di sonno profondo mi si è risvegliato qualcosa all'ascolto di “Non mi rompete”, una giovinezza ritrovata, un filo della mia vita che ero riuscito a ricucire al posto giusto.
    Ecco, non mi rompete... ho bisogno di sentire ancora Francesco e se facciamo silenzio forse potremo ancora percepire la sua poesia immortale, genuina.
    Ed ora io domando tempo al tempo e lui mi risponde, non ne ho,
    RIP
    Ciao FRANCESCO
    Gianluca Renoffio

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  12. CI HA LASCIATI IMPROVVISAMENTE FRANCESCO DI GIACOMO, VOCE STORICA DEL BANCO DEL MUTUO SOCCORSO. UNA NOTIZIA CHE MI COGLIE DEL TUTTO ALLA SPROVVISTA. HO VISTO IL BANCO PIU' VOLTE, DAL 1989 IN POI. DIECI ANNI DOPO, NELL’AGOSTO 1999, I MALIBRAN HANNO DIVISO IL PALCO CON IL BANCO: UNA COSA ALLA QUALE NON AVREI MAI CREDUTO, QUANDO LI ASCOLTAVO DA ADOLESCENTE. QUELLA VOLTA IO STESSO LI AVEVO INVITATI A SUONARE DOPO DI NOI A BELPASSO. HO AVUTO IL PIACERE DI ANDARLI A PRENDERE ALL’AEREOPORTO DI CATANIA, E QUINDI ALL’HOTEL. HO PORTATO FRANCESCO IN MACCHINA AL BAR, QUELLA VOLTA: LUI NELL’OCCASIONE MI AVEVA RACCONTATO, TRA L’ALTRO, DI AVER CONOSCIUTO RICHIE BLACKMORE, IN UN LOCALE TEDESCO, PRIMA ANCORA CHE DEEP PURPLE E BANCO SI FORMASSERO. DOPO IL CONCERTO DI BELPASSO AVEVO PORTATO CON ME PURE VITTORIO NOCENZI, PER ANDARE A CENARE TUTTI INSIEME. E IN MACCHINA LUI SI CONGRATULAVA PER IL NOSTRO SHOW.
    LORO ERANO APPENA STATI IN MESSICO, ACCOLTI COME STAR. PRIMA DEL CONCERTO CON LORO LI AVEVO SENTITI PER TELEFONO. UNA COSA GIA’ DI PER SE’ SURREALE. AVEVO POI SUONATO LA CHITARRA CON L’AMPLIFICATORE DI RODOLFO MALTESE. MENTRE QUESTI, CHE AVEVA DIMENTICATO IL “CAPOTASTO” PER LA CONCLUSIVA “NON MI ROMPETE”, AVEVA PRESO IN PRESTITO QUELLO DEL “NOSTRO” JERRY. AVEVAMO CENATO INSIEME ANCHE L’ANNO DOPO, IN UN LOCALE DI CALTANISSETTA. E FRANCESCO, IN QUELLA OCCASIONE, AVEVA VOLUTO RINGRAZIARE I MALIBRAN AL MICROFONO. AL FESTIVAL DI ANDRIA, NEL 2006, LORO AVREBBERO SUONATO LA SERA DOPO DI NOI. A CITTAVOVA, IN CALABRIA, LO STESSO ANNO, GLI AVEVO CONSEGNATO UNA MIA VERSIONE DEL LORO BRANO "CANTO DI PRIMAVERA". A CENA A CALTANISSETTA, SCHERZANDO, LUI MI DICEVA: "E MO’ BASTA CO' 'STO DARWIN, VOGLIO CANTA' "PAPAVERI E PAPERE!”. SEMPRE CON GRANDE IRONIA. COME QUANDO, DOPO UNA LORO ESIBIZIONE DEL 1991, MI AVEVA DETTO CHE MARIA MALIBRAN, LA CANTANTE D’OPERA DELL’800, ERA MORTA CADENDO DA CAVALLO, AGGIUNGENDO: “AH, CE FOSSERO STATI I TAXI… “.
    SEMPRE A CALTANISSETTA MI AVEVA ANCHE AUTOGRAFATO (INSIEME A RODOLFO) ALCUNI LORO CD MASTERIZZATI ( E DUNQUE NON ORIGINALI ), SENZA BATTERE CIGLIO. UNA GRANDE PERSONA. E UN POETA, SICURAMENTE ( PER INCISO, DI GIACOMO COMPARE ANCHE IN UN FILM DI FELLINI). IN HOTEL MI RACCONTO’ CHE SUO SUOCERO, ANCHE DOPO GLI IMMORTALI PRIMI DISCHI DEL BANCO, ANCORA GLI CHIEDEVA CHE MESTIERE FACESSE “DAVVERO”: FINCHE' NON VIDE COI SUOI OCCHI CHE CON QUEI PRIMI GUADAGNI FRANCESCO AVEVA COMPRATO CASA. ALLE “CIMINIERE” DI CATANIA, NEL 1997, AVEVO CONOSCIUTO RODOLFO MALTESE: MI AVEVA DETTO CHE IL BANCO AVEVA SUONATO AL TEATRO “MALIBRAN” DI VENEZIA, E SI ERA SORPRESO QUANDO GLI AVEVO RISPOSTO CHE ERA STATO NEL 1975. IL BANCO AVEVA APPENA PUBBLICATO “NUDO”, IN PARTE REGISTRATO A TOKYO: IL LIVE DAL SUONO MIGLIORE CHE ABBIA MAI SENTITO. ALLA FINE DELLO SHOW, AVEVO VOLUTO DARE UNA MANO A SMONTARE LA STRUMENTAZIONE, GIUSTO PER STARE ANCORA UN PO’ CON LORO.
    DUE ANNI DOPO, ALL’ AEREOPORTO DI CATANIA, RODOLFO MALTESE MI AVEVA RICONOSCIUTO SUBITO, DA LONTANO, SALUTANDOMI CON UN GRAN SORRISO. IN SEGUITO MI AVREBBE INVIATO ANCHE GLI AUGURI DI BUON NATALE. SU "METAMORFOSI" E "LA CONQUISTA DELLA POSIZIONE ERETTA" LA SUA VOCE ARRIVAVA SOLO ALLA FINE DI DUE LUNGHISSIMI BRANI STRUMENTALI: MA METTEVA SEMPRE I BRIVIDI, SIA PER LA BELLEZZA DEI TESTI, CHE PER LA INCREDIBILE INTENSITA' INTERPRETATIVA. FABIO FAZIO HA DATO IN DIRETTALA NOTIZIA NEL CORSO DEL FESTIVAL DI SAN REMO, SUSCITANDO UN GRANDE APPLAUSO, CON IL PUBBLICO TUTTO IN PIEDI. NE HANNO PARLATO TUTTI I TG. ORA SARA' DIFFICILE CHE IL BANCO POSSA CONTINUARE. NON LO SO. ANCHE SE IN REPERTORIO AVREBBERO TANTI PEZZI SOLO STRUMENTALI. MA NON OSO IMMAGINARE COME POSSA SENTIRSI ( A PARTE I FAMILIARI, E GLI ALTRI DELLA BAND ) VITTORIO NOCENZI. LO CHIAMAVA SEMPRE, IN ROMANESCO, " A FRANCE' ": ED ERANO COME DUE FRATELLI, DA OLTRE 40 ANNI. DI GIACOMO RAPPRESENTAVA L'IMMAGINE STESSA DEL BANCO DEL MUTUO SOCCORSO. DAVVERO NON SO SE POTRANNO CONTINUARE SENZA DI LUI. NOI CI PROVEREMO. Giuseppe Scaravilli

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  13. Ti ricordi Francesco: "e come un giorno dove vorresti la pioggia e invece,.......Vaffanculo c'è il sole!!!!!!"
    Ho avuto il privilegio di conoscerti,Non ti dimenticherò mai!!!!!
    Biga

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  14. Ho perso la voce del gruppo che dovevo continuamente vedere dal vivo,quasi un ossessione,una piacevole ossessione,quando appariva Francesco mi venivano le lacrime agli occhi,non so perché mi capitava,so solo che mi emoziona quella persona buona intelligente e di incredibile talento.
    lui era l'emblema di quella musica libera, di quegli anni 70 irripetibili dove questa forma d'arte ha saputo regalarci emozioni senza confini . Un vuoto incolmabile, grazie Francesco, tutte le volte che ti ho visto hai saputo arricchirmi di cose buone.

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  15. Per Francesco

    Nel cielo corrono
    nuvole basse.
    Il vento scompiglia
    chiome di fili d’erba
    e viole punteggianti
    e primule sfiorite
    e ti gonfia le ali
    che vibrano forte
    e sbattono
    e perdono piume.
    L’intensità del rimpianto
    ti precipita il pensiero
    in una sorta di delirio,
    in un attimo:
    paura di uscire
    dai ranghi della vita…
    Il tremolio di luci soffuse
    disegna
    mutevoli ombre danzanti,
    satiri grotteschi,
    ninfe fluttuanti…
    e tu che sei un sarto
    che non sa cucire
    l’abito della concretezza,
    puoi solo rincorrere i sogni!
    Riprendi il tuo volo
    prima che ti ricopra
    un velo di ghiaccio,
    prima che il sonno lunare
    ti narcotizzi,
    librati nell’aria e vola
    senza indagare il mistero
    dei colombi indaffarati a sbattere le ali,
    né il rapimento appagato
    dei girasoli
    che inclinano il capo
    verso la luce
    in un dolce abbandono…
    Vola, assaporando il silenzio,
    la dolcezza della sera,
    percorri la tua ascesa
    su scale di aria
    e apri porte di nuvole…
    Vola e non dovrai affrontare
    L’oltretomba tenebroso,
    il terrore senza ritorno…
    E il vento ti porterà lontano,
    lontano, a vivere
    la tua seconda stagione,
    quella eterna, infinita.

    NCP 24.02.2014

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  16. Ci sono rimasto malissimo quando l'ho saputo, solitamente sono più cinico , soprattutto riguardo la gente che non conosco di persona, ma questa volta è stato diverso =(

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  17. Facevo il liceo scientifico nei lontani anni settanta e qualcuno mi prestò una cassetta con in salvadanaio sopra, mi ricordo esattamente dov'ero (i campetti del liceo di olevano romano), ero sicuramente con Enrico forse c'era anche Andrea, chissà se Andrea conosceva già il Banco, ma da quel giorno il Banco e Francesco hanno fatto parte della nostra vita. Quando qualcuno come Francesco ci lascia un pezzo di noi va via con lui e non torna più.

    Roberto

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  18. credo fosse il 1976 manifestazione piazza Navona
    un palco...
    improvvisamente una VOCE
    la SUA voce
    mi ha accompagnata
    e da allora
    non mi ha più lasciata.
    Ciao folletto.

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  19. Grazie Timi per questo tuo commosso ricordo e grazie a tutti quanti hanno voluto condividere i loro momenti passati con Francesco.
    Quando persi mio padre a 13 anni non avevo più nessuno che mi insegnasse cose sulla vita, che mi facesse quei bei discorsi che i padri fanno ai figli (e che i figli stanno pazientemente ad ascoltare...ma solo nei film!).
    La Musica mi ha salvato da quel grande dolore che mi aveva portato via anche la gioia di vivere. Da quel momento i testi delle canzoni che amavo sono diventati i "discorsi di mio padre", e tra quei pezzi c'erano quelli del Banco. Da loro ho imparato tutto quello che serviva di sapere sulla vita, l'Amore, il pensiero e tanto altro ancora.
    Quando poi ho avuto la fortuna di conoscerli di persona, ho scoperto persone meravigliose, che mi hanno accolto tra loro come se fossi lì da sempre, e che anche se non vedevo per molto tempo, quando mi rivedevano sembrava che ci fossimo lasciati il giorno prima.
    Grazie Francesco per tutto quello che mi hai insegnato. So che ti sarebbe piaciuto avere dei figli: da dove sei ora scoprirai, e spero ti consolerà sapere, che hai allevato centinaia di figli come me, attraverso le tue parole e attraverso il tuo esempio.

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