sabato 4 ottobre 2014

Le Resistenze: Enzo Del Re


(Pubblicato sulla rivista del Club Tenco, "Il Cantautore")




Il musicista è l’operaio, il pubblico è il padrone. L’operaio deve resistere un minuto in più del padrone. Ecco il mondo del lavoro musicale secondo Enzo Del Re ed ecco perché i suoi concerti dovevano durare 8 ore, o comunque il tempo che ci voleva per svuotare la sala e costringere alla resa l’ultimo spettatore. Questa idea di resistenza applicata ha alimentato da subito un certo alone mitologico intorno alla figura di Enzo Del Re, “il corpofonista”, un artista difficile da accettare, ma anche da dimenticare. Una incontaminata unicità, un assoluto inalterabile che per Giovanna Marini “lo salva dall’angoscia che proviamo noi tutti nell’assistere al crollo di molti ideali e alla decadenza della civiltà”.

Enzo, “l’ultimo cantastorie di Mola di Bari”, viaggiava a piedi con due valigie cariche di giornali e non buttava via niente, “perché la carta e la scrittura sono sacre”. “Mi ha sempre fatto pensare a Woody Guthrie, - mi ha detto Sandro Portelli –, non tanto per riferimenti diretti o somiglianze quanto per l’irriducibilità di entrambi agli schemi non solo della cultura dominante, ma anche della cultura alternativa”.
Resistente nella sua ostinazione e nella coerenza estrema, fino al suo ultimo concerto per grandine e cofani d’automobile, quando una tempesta inaudita ha accompagnato l’uscita del suo feretro dalla chiesa il giorno del suo funerale e, sempre contro la sua volontà, un tragitto in macchina e non a spalla lo ha condotto al camposanto. A sessantasette anni, solo il suo corpo non ha resistito, logorato da turni e ritmi serrati di emodialisi. Era il 6 giugno 2011, quando la sua sedia ha accolto il suo ultimo respiro. Pochi mesi prima, già molto indebolito, aveva finalmente sfidato il tempio della canzone d’autore, il Club Tenco. In quell’occasione, proprio in omaggio alla sua memorabile resistenza, annunciammo insieme l’uscita della sua biografia e proprio qui, a Sanremo, la presento, per la prima volta.


E’ resistenza la rivolta della gatta nera che sanguina per le ingiurie e l’ignoranza della gente che la scaccia a bastonate urlando “Scitt’rà”; è resistenza la rivolta contadina che nella canzone “Le pietre” progetta la più spontanea delle rivoluzioni: “non si deve legare più il ciuccio dove vuole il padrone”. E’ resistenza il viaggio della speranza di “Povera gente”, il dramma dell’emigrazione, “quando la cantava – ricorda Marco Chiavistrelli – il suo sguardo da dolce ed empatico diveniva vitreo, architettonico, di un popolo intero, da ruscello diveniva fiume che chiedeva il rivoltamento della storia.”


E’ resistenza il suo vivere e cantare “sempre fuori dal motore”, resistente il navigante con la bocca amara e il cuore nero che versa lacrime per il “bene suo” (la donna che lo attende a casa) cantando con “la schiuma alla bocca”, ma nessuno lo sente...

Era fiero, col suo "scazzettino" rosso in testa, quando mi parlava del carattere duro e testardo della sua gente, donne in prima linea. Persino alla resistenza molese contro Turchi e corsari aveva dedicato parole e schiocchi di lingua: "Le molesi capatosta": Fu verso la fine del 1500/ da mare arrivò l'equipaggio aggressore turco violento…/ Ogni molese lottò da valoroso si comportò, però le donne della resistenza/ furono l'anima, l'essenza./ Giovani e vecchie, maritate e zitelle, bionde e brune, grasse e magre, alte e basse/ Catarinella, Florina, Rosinella,/ Veronichella, Olimpiolla e Zenzella/ Donatella, Cecchella, Nenella, Porziella,/ quel giorno anche chi era racchia pareva bella."


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