Al Carpino Folk Festival l’abbraccio più sincero. Durante l’esibizione di Peppe Voltarelli, Otello Profazio irrompe sulla scena e dichiara: “Devo ammettere che sei bravo. Sei uno dei pochi che riesce a coinvolgere il pubblico come faccio io, solo con la voce, la chitarra e il racconto delle storie”.
“Voltarelli canta Profazio”, ha vinto la targa Tenco 2016 per la sezione “Interpreti”, un progetto che ha radici profonde e che ha portato due artisti nati in provincia di Cosenza, lo stesso giorno, ma a trentatré anni di distanza, a condividere palchi e rassegne, dalla Calabria a Sanremo, dove quest'anno Profazio ha ritirato il Premio Tenco alla carriera.
Peppe Voltarelli, quando è avvenuto il tuo primo incontro con Otello, il più divo dei cantanti folk?
Alla fine degli anni Settanta. Mio padre l’aveva invitato a fare un concerto al Festival dell’Avanti di Crosia. Ero un bambino e Profazio un gigante, la voce della mia terra. Quando arrivai alle scuole medie, la mattina al bar c’era la Gazzetta del Sud con le sue “Profaziate”, una specie di editoriale in prima pagina da eminente “pensatore dello Stretto”. Al mercato sotto casa, sulla bancarella di audiocassette, tra i successi del momento e qualche altro artista glocal da classifica, c’era sempre lui e la sua “Qua si campa d’aria”, il manifesto in musica di noi indipendenti, libertari, sfacciati, disperati, umili, essenziali, internazionalisti, naturisti, emigranti anche da fermi.
Otello come ha commentato la notizia del Tenco?
Mi ha mandato questo sms: “chissà se la Calabria ci perdonerà di aver vinto questo premio”.
Cos’è, un’altra “Profaziata”?
“Significa che quando fai una cosa buona dai sempre un po’ fastidio a qualcuno. E’ l’eterna paura dell’invidia, di trattenere le gioie nel timore di fare del male a un altro”.
Eppure, come scrivi nel libretto del cd : “Con i piedi nella terra, il canto dei lavoratori, il canto civile, l’amore, queste canzoni hanno dentro tutto l’essenziale per la pace”.
“Sono brani cha hanno tutto ciò che occorre per crescere, per diventare buoni cittadini e uomini migliori. Non sono fatte soltanto per intrattenere all’ascolto, ma per far muovere le idee. “Mafia e parrini” parla della connivenza tra Chiesa e malaffare, è come una lancia acuminata, ti dice che puoi difenderti dal sopruso”.
Nella scelta dei brani, tra il Profazio più sagace e pungente e quello scanzonato-disimpegnato, hai privilegiato il primo. Stai pensando di ampliare il tuo omaggio con altre canzoni?
“Quando ci riferiamo alle canzoni politiche di Profazio, parliamo soprattutto del suo lavoro su Ignazio Buttitta. Era l’aria che respiravo in famiglia, papà portava a casa i giornali di partito, era abbonato a Stella Rossa. Così, mi sono posto nei confronti di Otello come uno studente di un movimento universitario che sceglie il suo Che Guevara: ho scelto il Profazio meridionalista e socialista. Nel tour italiano, invece, e da fine novembre, anche in Canada, Argentina e Stati Uniti, dedicherò molto spazio anche al repertorio più leggero e più folk. Con me ci sarà Anna Corcione che cura la parte video dello spettacolo.
Di Profazio ti affascina anche la sua capacità di irretire il pubblico con piccoli artifici come il pizzicato che ricorda il movimento delle bici a scatto fisso o la “frullata della mano”. Puoi descriverci questa tecnica ?
“Immagina la tua mano quando butti il sale nella pasta e poi ti pulisci le dita, ecco lui le corde le tocca così. La sua impostazione è molto teatrale, stende il suo tappeto sonoro su cui, a intervalli regolari, poggia le strofe con pause, piccoli accenti, sussulti, tutto è funzionale alla narrazione. Non è un virtuoso, è un cantastorie.
Tre dischi di canzone d’autore da riscoprire?
Lungo i bordi (Massimo Volume), Le maschere infuocate (Alunni del Sole), Aria (Alan Sorrenti).
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Pubblicato su "Cantautori" novembre 2016