venerdì 6 ottobre 2017
Per una musica senza “fake news”. Niccolò Fabi a Stereonotte Radio1
A Stereonotte su Rai Radio1, Niccolò Fabi canta Dylan, parla della sua generazione e racconta i risvolti virali di titoli shock, di cui recentemente è stato, suo malgrado, protagonista...
Questa notte, su Rai Radio1, il programma musicale “Stereonotte” ha trasmesso il live acustico e una lunga intervista con Niccolò Fabi. Ai microfoni di Silvia Boschero, il cantautore ha ribadito che il concerto-evento del 26 novembre a Roma non sarà certamente l’ultimo, ma una grande festa all’alba dei cinquant’anni (Fabi li compirà nel 2018).
Sul rapporto tra media tradizionali, social media e fake news, Niccolò Fabi ha raccontato le surreali conseguenze di un titolo
sensazionalistico che annunciava il suo congedo dal mondo della musica: “Da una parte mi ha sorpreso positivamente scoprire che fosse importante per qualcuno la notizia di un mio ritiro definitivo dalle scene. Dall’altra mi ha terrorizzato la consapevolezza che tutti noi, senza distinzione di età o livello culturale, leggiamo solo i titoli. Che si tratti di vaccini, terremoti o canzonette, il tipo di atteggiamento è lo stesso: non abbiamo più l’educazione all’approfondimento. Nei due giorni successivi al titolo-bufala abbiamo venduto mille biglietti per quel concerto. Le carriere si devono molto di più a questa presenza mediatica basata su notizie shock, che ai manifesti pubblicitari nelle grandi stazioni. L’effetto di un grande investimento pubblicitario tradizionale è nullo rispetto a una notizia che buca la disattenzione e arriva al livello “A” di attenzione mediatica”.
Non è l’unico episodio per il quale Fabi si ritrova a fare i conti con la potenza dei social o dei media in genere: “Sui manifesti che pubblicizzavano la data di Napoli a inizio estate, la località Sant’Elmo è diventata S. Antelmo. Come se il santo si chiamasse Antelmo e non Elmo. La foto, con tanto di risatine e scritte ironiche, è finita sui social ed è rimbalzata immediatamente, tanto che il giorno dopo “Il Mattino” di Napoli ha titolato “Clamorosa gaffe sui manifesti della tournée di Niccolò Fabi”. Raccontare l’errore evidentemente fa molta più simpatia, tanto che a quel concerto abbiamo avuto un pienone che sinceramente non ci aspettavamo”.
Dopo i primi vent’anni di carriera suggellati con l’uscita, il 13 ottobre prossimo, del cofanetto Diventi Inventi 1997-2017”, Fabi prenderà solo una pausa. “E’ il tempo del festeggiamento. Dopo tanto "Costruire", è arrivata la fase del godimento. Bisogna anche assaporare quello che un uomo ha costruito con il tempo, altrimenti è una vita perennemente passata a una preparazione di qualcosa che poi rischia di non arrivare mai”.
A proposito di carriera, Niccolò parla della sua generazione: “A Roma avevamo un altro approccio estetico. A differenza degli Afterhours, dei Marlene Kuntz, dei La Crus e di altri protagonisti della scena anni Novanta, noi romani siamo etnicamente e biologicamente un popolo di cantautori. Questo non esclude il lavoro di gruppo. Tutt’altro: siamo dei cantautori che hanno sempre suonato con la band. Abbiamo trovato un difficilissimo equilibrio in cui poterci assumere la responsabilità nominale, personale del nostro lavoro e, allo stesso tempo, condividere la musica fra di noi. Abbiamo quindi una diversa modalità di essere “gruppo”. Inevitabilmente anche i riferimenti erano diversi: i Police, ad esempio, era la band che univa tutti noi. Quello di Sting era forse l’unico gruppo non ereditato dai fratelli maggiori, come è accaduto invece con i Led Zeppelin, i Pink Floyd o altri vissuti “di seconda mano”. E poi la nostra generazione aveva i cantautori con la chitarra: Dylan “l’inevitabile” perché era più facile da suonare rispetto a un James Taylor con i suoi arpeggi. Tra i riferimenti italiani sicuramente “i due Luci”, Lucio Battisti e Lucio Dalla, una produzione affascinante dal punto di vista delle sonorità con testi, manco a dirlo, grandiosi. Ma nel mio bagaglio ci metto anche i cantautori meno blasonati, più laterali, come Edoardo Bennato o Alberto Fortis, sicuramente meno aulici, meno letterari rispetto a Fabrizio De André che, invece, ho sempre masticato meno, perché ci sentivo poca sporcizia musicale”.
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