Avrò avuto sei, sette anni, ero sul divano davanti alla tv a casa dei nonni, il raduno dei nipoti, la domenica a pranzo. Monocanale per riflesso condizionato in era pretelecomando. Un via vai di adulti chiassosi, tra la cucina e il soggiorno. Fatto sta che, anche in tempi non sospetti, su quello schermo poteva accadere di tutto. Un film di cappa e spada all’improvviso si trasforma in una raffinata saga a metà tra il cinema d’autore anni ’60 e le cime tempestose delle copertine dei romanzi Harmony.
Un'attrazione sensualissima quella tra la bionda Angelica, marchesa degli angeli, e il suo Joffrey de Peyrac, quello con la cicatrice per sembrare sfigurato ma che, invece, non era brutto per niente.
A seguire, un altro amore, quello tra l'altrettanto bionda Marianna, la perla di Labuan e Sandokan di Kabir Bedi (l’unico e inimitabile), riproponeva sguardi, colori, intrecci e la stessa singolar tenzone.
Alla fine tutti fuori a giocare e al massimo a citofonare, dove macchine non ne passavano e una catasta di macerie sembrava lì apposta per farci arrampicare. Sarà stato per i capelli lunghi e ribelli e perché facevo scherma, ma finivo sempre con l’interpretare sempre un po' Angelica, un po' Sandokan, comunque a battagliare.
Bastava cambiare fascia, perché mia madre mi metteva sempre la fascia, non il cerchietto. Ne avevo una rossa e una celeste. Con la prima ero Sandokan, con l’altra la marchesa degli Angeli.
Non mi ricordo il mio primo incontro con De André, ma guardando “Principe libero”, la schermaglia
tra due personaggi belli e ribelli (quindi doppiamente belli), anche in questo caso la bionda e il tenebroso con cicatrice da qualche parte, mi ha fatto ripensare ai miei eroi dell’infanzia.
Dori Ghezzi e Fabrizio come Marianna e Sandokan, come Angelica e Joffrey, con la loro Corte dei miracoli fatta di pirati, esclusi, emarginati sociali o, per chiudere con le parole dello stesso De Andrè: “quel mondo disperato e affascinante dei miserabili, dei diseredati, di coloro che non hanno avuto fortuna, delle vittime insomma. Coloro, anche, che hanno peccato, che la giustizia dell'uomo tanto spesso condanna senza pensare che spesso è proprio la miseria, la sfortuna, la solitudine a spingerli sulla china del male. Sicché la conclusione è che soltanto la pietà, l'amore può salvare l'umanità''. Ecco, De Andrè e i cantautori sono stati la mia educazione musicale, ma anche e soprattutto, politica e sentimentale.
È come se lo avessi scritto io. Per te, naturalmente non sono un buon esempio. La mia educazione sociale e sentimentale è proprio in quello che descrivi. Complimenti
RispondiEliminache onore, grazie Gianfranco
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