foto di Roberto Coggiola |
Sui social impazza il dibattito sul Premio Tenco, molte vicende evocate da pungenti botta e risposta su facebook riguardano strettamente soci ed ex soci, lascerei a loro il confronto sulle dinamiche interne del Club, per concentrare, invece, l'attenzione sul concetto stesso di canzone d’autore, riflessione che la famiglia Tenco, con il comunicato chiamiamolo “della discordia”, indirettamente ci spinge a fare.
Cos’è il Club Tenco lo riporta direttamente il sito
internet della rassegna: “Il Club è stato fondato a Sanremo nel 1972 da un
gruppo di appassionati per promuovere e sostenere la cosiddetta “canzone
d’autore“, ossia la canzone di qualità. Lo scopo del Club è quello di riunire
tutti coloro che, raccogliendo il messaggio di Luigi Tenco, si propongono di
valorizzare la canzone d’autore, ricercando anche nella musica leggera dignità
artistica e poetico realismo. Il Club opera senza scopo di lucro, in assoluta e
riconosciuta autonomia dall’industria musicale”.
Sintetizzando e andando al punto di questa riflessione,
la famiglia Tenco sostiene che alcune scelte della direzione artistica
rappresentino “uno snaturamento inconcepibile, in contrasto con le ragioni per
le quali il Premio Tenco fu istituito” e avverte che “la partecipazione di
alcuni ospiti che non conoscono il mondo dei cantautori, specialmente qualora
venissero incaricati di interpretare la sigla di apertura della rassegna,
potrebbe apparire come una forma di pubblicità per costoro e far perdere la
storica funzione di riconoscimento culturale per coloro che invece creano
canzoni di spessore".
L’ospite a cui quest’anno verrà affidato l’onore di
interpretare “Lontano, lontano”, sigla di apertura della rassegna, si sa, è
Achille Lauro. In effetti, non c’è nel Tenco un criterio o un regolamento in
base al quale si possa scegliere l’interprete della sigla, ad esempio essere
stato vincitore di Targa o aver realizzato un disco con il migliore
arrangiamento, o vincitore di altro premio nell’ambito della canzone d’autore,
così per lanciare delle ipotesi. Niente di tutto questo, fino a poco tempo fa
la sigla era la vera sorpresa dell’edizione: l’interprete veniva svelato solo
quando si alzava il sipario.
Per quanto gli stessi eredi Tenco abbiano cercato di
riportare la discussione su altri aspetti, dispiace un giudizio così duro e
netto da parte loro nei confronti di un cantante.
Senza fare paragoni, prendiamo un caso illustre, che
resiste alle mode e agli anni: Rino Gaetano, semplicemente uno che al Tenco non
è mai stato invitato. Il suo stile fu etichettato “nonsense”, un modo per
accostarlo più al pop demenziale che alla canzone d’autore, per capire quanto
frettoloso possa essere tatuare una medaglia o una croce addosso all’emergente
di turno.
Nessun pregiudizio, quindi, se un artista arriva al
successo grazie a Sanremo e viene in seconda battuta invitato al Tenco, purché,
come ha già brillantemente sintetizzato Marco Molendini, questa scelta non
rispecchi “una tendenza generale, quella di cercare il soccorso del vincitore,
indipendentemente da ogni altra motivazione”.
Tra le cose, infatti, che vengono contestate, c’è il
tentativo di stabilire troppi legami con il Festival di Sanremo come
scorciatoia per rilanciare la Rassegna della Canzone d’Autore.
Questo contrasta con gli ideali fondativi del Tenco,
che nasce proprio come alternativa al Festival “dominante”, anzi in aperta opposizione,
come atto di protesta alle sue logiche commerciali, per volere di Amilcare
Rambaldi che all'inizio degli anni ‘70 leggendo un articolo su Guccini, Ciampi
e Vecchioni intitolato “Bravi, bravissimi, ma chi li vuole?”, rispose: “Questi
cantautori non li vuole nessuno, li voglio io”.
C’è chi apprezza e incoraggia questo avvicinamento,
ritenendo che sia questa la strada (cito da commenti vecchi e nuovi) per
“svecchiare” il Tenco, “il punto di equilibrio e vitalità per non diventare un
museo dal vivo” per “riempire il Teatro Ariston” e chi, invece, pensa che il
Tenco non esprima nulla di datato ma che debba dare spazio e attenzione agli
artisti che non hanno facile accesso ai canali mainstream, che non rientrano
nella programmazione dei network radiofonici, perché non hanno il booking o
l'etichetta giusta, sono autoprodotti, non ci sono spazi televisivi per la
“canzone d’autore”, o molto semplicemente perché l'industria discografica li
considera anagraficamente poco “spendibili”.
Grande spazio il Tenco riserva a proposte e nomi che
non hanno “pari opportunità” dei nomi più popolari, se la stampa dedicherà a
questi la stessa attenzione sarà un risultato positivo.
Così come sarebbe interessante che un Lauro, dopo
quest’esperienza, restasse più vicino e sensibile al richiamo di questa parte
meno visibile del mondo della canzone e dello show business.
Qualcuno ha ricordato che Vecchioni, vecchio amico del
club Tenco, ospite della Rassegna fin dai primi anni, ha anche vinto il
Festival di Sanremo. L’ha vinto dopo, però, a coronamento di una carriera.
Certo, ci sono tanti artisti che hanno calcato i due
palcoscenici, ma perché ognuno svolga al meglio il suo ruolo sarebbe auspicabile che
fosse il Festival ad accorgersi dell'esistenza di un circuito alternativo e invitasse cantanti che prima sono stati sul palco del Tenco. E così è stato per
alcuni, comunque pochi (e scusate se sbaglio qualche nome): Daniele Silvestri,
Sergio Cammariere, Francesco Baccini, Avion Travel, Tosca, Motta, Zibba,
Frankie Hi-Nrg, Elisa, Cristicchi (che ancor prima fece Musicultura).
Per anni ha regnato nel settore una “sindrome degli
anni 70” che ha portato a ridicolizzare quasi la figura del cantautore barba e
chitarra e ha penalizzato l’impegno in musica per trasformare il disimpegno in
un valore.
Negli ultimi tempi, paradossalmente con l’avvento della
comunicazione social, molti artisti hanno ricominciato ad “esporsi” su temi
ormai non più rinviabili, alcuni si presentano con look dimessi e la barba da
hipster. Persino De Gregori ha ricominciato a rispondere a domande sulla
politica. Proprio ora si vorrebbe andare in controtendenza?
E poi la questione anagrafica: Il punto debole non è
Achille Lauro, ma invitarlo perché “giovane”. Dalla dittatura del proletariato
siamo passati alla dittatura del giovanilismo.
In quel festival del ’67, Daniele Piombi chiese a
Tenco: “Lei ritiene che le sue canzoni siano adatte ai giovani?” Lui rispose “Io
credo che i giovani siano adatti alle belle canzoni”. Si potrebbe sintetizzare
così: le canzoni di Tenco erano canzoni di amore tormentato e di impegno civile e sociale. In risposta alle canzoni “beat”, il pop blandamente di protesta, Tenco
rispondeva : “Noi nella pace e nella libertà non vogliamo “sperare”, ma
preferiamo ora lottare su una trincea fatta di splendide e significative note,
per conservarle o conquistarle. Questo è bene che si sappia”.