“Ero una ragazza nera e bianca con i capelli lunghi. Mi interessava molto la cultura e i fotografi si interessavano molto a me”. Con queste parole, in un’intervista radiofonica di quarant’anni fa, la “rosa delle tenebre” (per Jean Cocteau), il “piccolo cucciolo da cabaret” (per Charles Trenet) o musa dell’esistenzialismo (per sempre e per tutti), svelava qualcosa di sé. Misteriosa come la Sfinge, con gli occhi grandi e truccati di nero come una dea egizia, la pallida Gréco, che secondo Pablo Picasso “si abbronzava alla luna”, indossa ancora i suoi lunghi abiti neri, ieri Chanel, oggi Sonia Rykiel. Il 7 febbraio Juliette Gréco compirà 78 anni e, prima del concerto del 16 gennaio all’Auditorium, è attesa domani a Catanzaro il 14 e a Catania il 15. La sua voce fascinosa e per nulla usurata dal tempo posa al telefono, dalla sua casa in campagna a 80 km a nord di Parigi.
Contenta di tornare in Italia, madame Gréco?
"Incantata. L’Italia è la mia seconda patria. Amo la sua bellezza, l’anima, la gente, la musica, la pittura, la scultura, il mare. E’ un paese che adoro”.
E’ vero che farà un disco con Paolo Conte?
“E’ quasi sicuro. Mi piace molto anche Zucchero, ma non
conosco altri musicisti italiani, purtroppo”.
Al suo arrivo troverà una sorpresa: il divieto di fumare.
“Lo so bene, la notizia è arrivata anche qui. La trovo una decisione piuttosto violenta. E poi è assurdo e incoerente che da una parte si faccia una legge del genere e dall’altra le strade siano piene di distributori a disposizione dei ragazzini. D’altronde è come in Francia, ma io ho smesso di fumare da molto tempo”.
Ha mai amato uomini italiani?
“No, nella mia vita molto agitata, questo non è capitato e
lo rimpiango”.
Ha mai parlato dei suoi affetti nelle canzoni?
“Ho scritto un brano per un figlio che non ho mai avuto. Ho una figlia che mi gratifica pienamente, ma questo bambino della canzone non l’avrò mai. Allora amavo un uomo con il quale non potevo avere bambini”.
Molti artisti hanno scritto per lei; ora chi sceglierebbe?
“L’uomo con cui sto: Gerard Jouannest, pianista e compositore di Jacques Brel”.
E qual è stato l’uomo più importante della sua vita?
“Quello che ho amato quando avevo 19 anni e che è morto
giovanissimo. Dunque ero “vedova” a 19 anni”.
Lei ha sempre preso una posizione in politica. Ci sono
canzoni che fanno altrettanto, come “Il disertore” di Boris Vian. Lei che ne
pensa?
“Non l’ho mai cantata, perché è una canzone adatta a un uomo. Ma penso sia perfetta per descrivere la situazione attuale e, finché esisteranno degli eserciti, lo sarà sempre”.
Cosa pensa della posizione della Francia rispetto alla
guerra in Iraq?
“Penso abbia avuto ragione a dire no. Un gesto coraggioso e molto bello”.
E della posizione italiana?
“Non mi riguarda”.
Avrà sicuramente un’opinione...
“Si, ma è negativa”.
Ha riflettuto sulla tragedia che ha colpito l’Asia?
“Spaventoso. Si ha un bel dire che Dio è buono, ma per il momento non ci tratta molto bene. Questa sciagura ci riporta alla nostra dimensione che è molto piccola. Ci dovrebbe richiamare all’umiltà, alla solidarietà e ricordare che c’è della gente che abusa della debolezza dei bambini per rapirli e venderli. Ancora più abominevole pensare che approfittino di momenti come questo per intensificare i loro traffici”.
Cosa può fare un artista?
“Detesto quelli che appoggiano le grandi cause per sostenere la propria. Io avrei l’impressione di servirmi del sangue degli altri. Si può essere utili al prossimo senza apparire. Per lanciare un messaggio a volte basta cantare”.
Timisoara Pinto (intervista gennaio 2005)