Prefazione di Don Luigi Ciotti
Introduzione di Mao Valpiana
Il libro contiene uno speciale inserto a colori con i ritratti dei sei cantautori realizzati da Milo Manara e Massimo Cavezzali.
I proventi del libro saranno devoluti al Movimento Nonviolento fondato dal filosofo Aldo Capitini
“Coltivo una rosa bianca” pubblicato da VoloLibero edizioni, è un libro dedicato a sei personaggi in cerca di pace, antirazzismo, rispetto per la natura, e nonviolenza. Perché proprio Tenco, De André, Jannacci, Endrigo, Bennato e Caparezza, da cosa sono accomunati?
"I sei artisti di questo libro sono accomunati dal fatto di aver cantato in misura più massiccia e con continuità, con insistenza, di antimilatirismo e nonviolenza, con spunti mai abbandonati in tutta la loro carriera, ma, a parte questo, cercano di farci capire cosa debba essere la pace, cosa sia una pace vera. Una pace iniqua, oppressa, omologata non è una pace, è piuttosto la “pace terrificante” di cui parla Fabrizio De André"
La musica e l’arte, scrive Don Luigi Ciotti nella prefazione, offrono specchi nei quali riconosciamo la nostra anima e binocoli per guardare più lontano e più in profondità. Qual è il suo preferito tra questi magnifici 6?
“E’ vero che ho scelto questi cantautori con un criterio oggettivo, ma li amo veramente tutti. Se proprio dovessi sceglierne uno, col fucile puntato, forse potrei dire Sergio Endrigo, perché proclama la sua indignazione sempre sottovoce, ma non per questo meno efficace, anzi”.
Nel 1962 Sergio Endrigo scrisse "Via Broletto 34" una canzone sulla violenza contro le donne, o meglio sul femminicidio, che non ha inserito nel capitolo dedicato al cantautore di Pola. Ce ne vuole parlare?
“E’ una canzone davvero sorprendente e non solo per lo stile e la forma, abbastanza inusuali per la canzone italiana. E’ ambientata nella più vecchia e centrale Milano, via Broletto appunto, ma il civico 34 non esiste, come andai subito, personalmente, a controllare la prima volta che andai a Milano da adolescente. La canzone non è né a favore, né contro l’omicidio, è un racconto, un bozzetto, e quando un grande autore come Endrigo ci racconta una storia come questa, con il gusto, l’eleganza, la disarmante trasparenza che gli è propria, allora in questi casi sono anche la forma, la classe, l’intelligenza compositiva che subentrano a escludere ogni misoginia e, ovviamente, ogni apologia di violenza. Una curiosità, fu proprio dopo l’ascolto di ‘Via Broletto 34’, che l’allora direttore della RCA, Ennio Melis, pensò che sarebbe stata una cosa molto interessante far incontrare Endrigo e Pasolini per realizzare altre canzoni come quella. Pasolini in quel momento non aveva il tempo di occuparsene ma diede a Endrigo l’autorizzazione ad usare alcuni suoi testi e da lì, in qualche modo grazie a via Broletto 34, nacque ‘Il soldato di Napoleone”.
Il libro affronta il tema della nonviolenza nei testi delle canzoni ma, come lei osserva giustamente, nel caso di Bennato e di Caparezza non meno importante è l’uso della voce o il modo di stare sul palco…
“In un libro così a tema, sono soprattutto i testi che analizzo, ma nelle mie pagine cerco di ricordare che la canzone va sempre letta contestualmente con la musica, il ritmo, la voce, l’intenzione del canto, la presenza scenica. Pensiamo ad esempio a Bennato che usa moltissimo l’ironia, dice delle cose che sono esattamente il contrario di quello che pensa e questo lo si capisce grazie all’uso della voce distorta, ai versacci, alle pernacchie, è la voce che fa satira. Penso anche a Jannacci, a come farfuglia le parole, alla poltiglia di vocaboli che mette insieme quando parla e canta e in questo modo riesce a dare una valenza disperata anche alle canzoni più grottesche”
Negli anni sessanta la chiamavano canzone di protesta, oggi come la definirebbe?
“La parola protesta, in verità, ci sta sempre bene, ma potremmo chiamarla canzone di coscienza”
Timisoara Pinto