lunedì 8 marzo 2021
Sanremo 2021. La tua banda suona il rock... in un’eterna ripartenza
E’ appena finita la settimana in cui tutto si sanremizza: la musica, la tv, i giornalisti, i gusti, le parole.
Sanremo è un grande rito nazionalpopolare e tutto viene riparametrato all’internodi quel recinto. Un esperimento di psicologia sociale, oltreché di comunicazione di massa. "Rivoluzione” riferito ai Maneskin, un termine utilizzato da uno dei maggiori quotidiani e intorno al quale giustamente si è scatenato il dibattito sui social, risuona troppo sbilanciato, eccessivamente ottimistico, almeno così arriva ai tanti che guardando Sanremo a distanza, al di fuori del meccanismo festivaliero, non sono travolti dallo stesso entusiasmo e neanche lo capiscono.
Per il Giornale Radio ho trasmesso il commento a caldo del critico Stefano Mannucci, grande penna del giornalismo musicale, che ha dichiarato: “I Maneskin hanno ribaltato l’Ariston, hanno portato quell’energia che manca ovunque nel paese. La loro vittoria certifica l’approdo del rock italiano al tavolo importante della musica. Il loro brano, dedicato a un professore che diceva solo “State zitti e buoni”, alla vigilia del ritorno di tantissimi studenti alla didattica a distanza, può essere interpretato come un segnale importante. E’ il rock italiano che dice qualcosa di sensato”. Ecco quello che ci è mancato soprattutto, la reazione del pubblico in sala, la standing ovation sull’intonazione e il possesso del microfono da parte di Orietta Berti, 77 anni e senza ear monitor. Avrei voluto vedere il pubblico, se davvero si sarebbe scatenato sui Maneskin, perché quello che riempie le poltrone dell’Ariston è un pubblico di età medio-alta, insomma una fascia anagrafica diversa da quella che con il televoto ha decretato la vittoria del gruppo romano. E’ chiaro che il termine utilizzato è una metonimia, dove l’Ariston sta per “pubblico che guarda Sanremo da casa” (quest’anno l’unica modalità possibile peraltro) quindi, il ribaltamento a cui allude Mannucci, riguarda il coinvolgimento di un pubblico che si è avvicinato alla musica attraverso i social e i talent tv. E’,infatti, con il televoto e la Sala Stampa, che i Maneskin hanno ribaltato la classifica: dopo le prime due serate erano quindicesimi nelle preferenze della giuria demoscopica, (quella composta da 300 persone, un campione statisticamente rappresentativo selezionato tra abituali fruitori di musica). Alla fine della terza serata, i Maneskin erano decimi con la cover di “Amandoti” dei CCCP, eseguita con il loro talent scout Manuel Agnelli, e grazie al voto dell’orchestra del Festival. Con il voto della sala stampa, i Maneskin sono risaliti al quinto posto e, infine, giornalisti accreditati e televoto sono le due giurie che, nella terna finale, hanno consegnato leone e palma d’oro alla band romana. Sono i risultati del televoto che hanno fatto gridare al miracolo. Nel Sanremo della pandemia, il pubblico degli adolescenti esulta e si commuove per il trionfo dei Maneskin, “Zitti e buoni” è un pezzo energico, un serenata sfrenata al "chiaro di luna" (Maneskin in danese) che incarna la voglia di urlare di tanti ragazzi, in questo anno difficile per la loro crescita, ragazzi che si sentono improvvisamente rappresentati da un festival che ha appena compiuto 71 anni. Collezionano like e visualizzazioni, come del resto i secondi Fedez e Michielin e il terzo classificato, Ermal Meta. L’equazione “forti sui social, forti a Sanremo” quest’anno ha funzionato, ma sono il coprifuoco, la socialità filtrata dagli smartphone, che hanno rivoluzionato la classifica. Decisivo è stato il voto di quella fascia d’età,la stessa o poco meno, di Victoria, Damiano, Ethan e Thomas, che sono belli, ammiccanti e sexy e si scatenano cantando "Siamo fuori di testa". Da un punto di vista musicale, rivoluzionaria è stata la vittoria di un brano che strizza l’occhio ai canoni trasgressivi del glam-rock e non un brano rap e o trap, ad esempio. Quello che era rivoluzionario fino all’anno scorso per stampa e addetti ai lavori, improvvisamente non lo è più? Insomma, la vera notizia è che ha vinto la trasgressione tradizionale delle rockband, hanno vinto le chitarre (per il mainstream sembrava che dovessero sparire) e non la moda dell’autotune. Togliete l’autotune dal bel pezzo di Madame (la mia preferita insieme a La Rappresentante di Lista e Colapesce/Dimartino) e apprezzerete meglio anche quello che dice in “Voce”, che guarda caso, ha vinto il premio Sergio Bardotti per il miglior testo. Quello che alla fine non torna è perché tutto questo tripudio? Perché dovremmo sentirci meglio per la vittoria di un artista che rappresenta i giovani e non, ad esempio, per un quarantenne o cinquantenne? A Sanremo quest’anno fortunatamente ci sono stati ottimi debutti, artisti fortemente voluti proprio perché arrivavano da palchi e contesti lontani dalla grande discografia, ma ci sono stati anche artisti “sanremesi”, dei veri e propri habitué. Ecco, alcuni di questi, finiti in mezzo o in fondo alla classifica, sono apparsi quasi come dei classici, più vicini a Orietta Berti che ai Maneskin, su cui neanche i bookmakers hanno scommesso qualcosa. Eppure sono i quarantenni e i cinquantenni i “giovani” ascoltatori di musica, quelli cresciuti con la capacità di apprezzare l’emergente e il veterano. Diciamo che purtroppo tra quelli, la categoria “e allora noi cosa rappresentiamo?”, una canzone che emergesse sulle altre, non c’era. Ma torniamo al punto: perché dovrebbe essere un valore piacere agli adolescenti, rincorrere il loro gusto? Ci poniamo questo problema nelle altre arti? Perché l’artista che fa musica deve rincorrere un linguaggio comprensibile ai ragazzi? Quando scriviamo un libro, realizziamo un film o uno spettacolo teatrale accade questo? In quei campi esistono, infatti, settori specifici come la letteratura per ragazzi. Attenzione, perché da qui discende la considerazione della musica, la distinzione in etichette come musica leggera o di consumo, commerciale, in cui va a finire anche il meglio del pop universale. Un’idea ce l’avrei. Fino ai 18 anni tutti scrivono poesie, diceva Benedetto Croce, poi rimangono a scriverle due categorie di persone, i poeti e i cretini.
E così anche nella musica. Fino ai 18 anni tutti “consumano” musica, poi crescendo,restano solo due categorie ad amarla e a viverla completamente, pochi appassionati e noi “addetti ai lavori”, i poeti e i cretini.
Con amore.
Timisoara Pinto
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