giovedì 12 maggio 2022

Altro che Arrivederci, Giorgio e Zsa Zsa decisero di non vedersi più...
Il ricordo di un amore e di una canzone nel giorno della nascita di Umberto Bindi

Non esisteva ancora l’espressione “Canzone d’autore” (creata da Enrico de Angelis nel ’69) e Umberto Bindi, padre della cosiddetta scuola genovese dei cantautori, in un’intervista della fine degli anni Cinquanta definisce i suoi brani “Canzoni a stato d’animo”, canzoni “che creano un’atmosfera passionale e serena”.
Oggi, per i 90 anni della nascita del “George Gershwin della canzone”, come lo definì Bruno Lauzi, mi torna in mente il racconto dettagliato che mi fece Giorgio Calabrese di “Arrivederci”. Lo intervistai perché il mio pezzo su questa canzone sarebbe finito in un bel libro collettivo a cura di Maurizio Becker e pubblicato nel 2011 da Coniglio editore, intitolato “Da Mameli a Vasco. Le 150 canzoni che hanno unito gli italiani”.

“Sai una cosa Zsa Zsa? Sono passati più di cinquant’anni, ma quando torno a Genova, ancora mi guardo attorno sperando di incrociare un viso che ti ricordi. E che potrebbe essere di tua figlia. Di tua nipote, chissà? Non ho più saputo nulla di te…”. Questo avrebbe voluto dirle non dirle, come in un film francese in bianco e nero. Certo, se ci fosse stato Facebook, Calabrese l’avrebbe rintracciata la sua Marisa, da Maria Luisa, detta Zsa Zsa. E invece da quella volta non si videro più.
Lo struggimento è già nell’eleganza del capoverso: arrivederci.
E’ la primavera del ’59, l’autore del testo incontra per caso una vecchia fiamma dei tempi della scuola, e accade l’irreparabile, ma lui è sposato e lei sta per farlo…
“Meglio lasciare in pace la gente che avrebbe dovuto vivere con noi”, mi ha raccontato lui qualche anno fa. “Si era appena consumato un grosso strappo, come quando ti tirano via un cerotto in malo modo. Carta e penna sul marmo bianco di un tavolo da cucina, a Genova. Poi, sono salito su un treno per Milano e non sono più tornato”. Calabrese consegna i suoi versi ad Umberto Bindi che impiega solo 5 minuti per musicarli e il brano entra in classifica il 6 giugno 1959 nella versione di Don Marino Barreto jr. (n.1 per 8 settimane), tirando la volata anche al 45 giri inciso dal co-autore che fa capoccetta in hit parade l’8 agosto. La prima ad inciderla, tuttavia, è una donna, Flo Sandon’s, perché suo marito, Natalino Otto, si innamora della canzone, ma si lascia andare al terzinato e sbaglia, non è più tempo... L’arrangiamento vincente si deve a Giulio Libano che vuole farne una ballad all’americana, ancor più indovinato l’interprete, Marino Barreto, che con la sua pronuncia cubana dice “con una estreta di mano”, che diventa il verso-tormentone.
“Quell’estate – racconta Calabrese – andai a trovare degli amici a Rimini. Una sera una ragazza mi chiese di ballare, finì il primo brano e dal juke-box partì “Arrivederci”. Sempre abbracciati, lei mi sussurrò “bella questa canzone di Bindi e Barreto”, ed io “Eh no, le parole sono mie”. Mi scansò dicendomi “ma fammi il piacere” e mi mollò solo, in mezzo alla pista. Ecco, questo è stato il mio primo successo personale come autore di canzoni”.
Innumerevoli le versioni: da Ernesto Bonino a Fred Bongusto, da Bruno Martino a Gianni Morandi, da Nilla Pizzi a Caterina Valente, da Ornella Vanoni ad Antonella Ruggiero. Nel 1960, proposta in duetto da Nicola Arigliano e Miranda Martino, si classifica seconda a “Canzonissima” e sempre del ’60 è la memorabile versione di Chet Baker, che la esegue voce e tromba, con l’arrangiamento di Piero Umiliani, nelle sequenze finali del film “Urlatori alla sbarra” di Lucio Fulci.

Timisoara Pinto

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