Se non avesse fatto lo scrittore e il poeta, cosa avrebbe scelto di fare Pier Paolo Pasolini?
Avrei fatto lo scrittore di musica.
Che musica ascolta?
Genericamente della musica classica, sono ossessionato da Bach e da Mozart e quando non ascolto musica classica, allora cerco la musica popolare, ma quella vera, quella raccolta dagli etnologi, quella che ho adoperato nel commento musicale di “Medea”, i canti tibetani popolari, i canti d’amore iraniani, ma non riesco mai a staccarmi da Bach e da Mozart.
La musica leggera quindi non le interessa?
Amando la vita sotto tutti i punti di vista, la amo, in un certo senso, anche in questo suo aspetto che io considero intellettualmente piuttosto volgare, di basso livello in Italia.
Quale aspetto, dunque, la incuriosisce?
La musica leggera italiana mi sembra veramente brutta, però ci sono certi dei momenti in cui non si può prescindere dal fatto che questa musica leggera ci sia. Risentendo certe canzonette di dieci anni fa, c’è quel fenomeno che Proust chiama “Les intermittences du coeur”. Sentendo delle note, pur stupide, di dieci anni fa, improvvisamente quel brano appare ai nostri occhi… nel ricordo acquista un’altra valenza, attraverso il sentimento che ci mettiamo, ma di per sé, la canzonetta ha scarso valore. Voglio dire che le canzoni, anche se non sono belle, possono essere importanti per noi per i ricordi che evocano. Quindi la musica leggera è misteriosamente legata alla nostra vita quotidiana e di conseguenza un certo amore ce l’ho, ma a livello intellettuale devo fare delle scelte piuttosto rigorose.
Lei non ha qualche ricordo legato a una canzone?
Un ricordo particolare non direi, le canzoni non sono mai entrate così a fondo nella mia vita privata da legarsi a un episodio privato della mia vita, più che altro evocano atmosfere, ricordi di certi periodi. In questo senso potrei dire che c’è una canzonetta, “Amado mio” cantata da Rita Hayworth, che mi evoca i tempi in cui andavo a ballare nelle balere friulane, quindi le estati un po’ umide del Friuli della mia gioventù.
Ci dica almeno un nome nell’ambito della musica leggera che ha ascoltato recentemente…
L’unica musica contemporanea che mi è piaciuta di questi tempi è quella dei Beatles e dei Rolling Stones, in Italia forse l’Equipe 84…
Allora qualche “canzonetta” che ha attirato la sua attenzione c’è…
Sulle canzonette potrei dare due tipi di risposte del tutto contrarie, niente meglio delle canzonette ha il potere magico abiettamente poetico di rievocare un tempo perduto. Sfido chiunque a rievocare il dopoguerra meglio di quello che possa fare il boogie woogie o l’estate del ’63, meglio di quel che possa fare “Stessa spiaggia stesso mare”. Les intermittences du coer più violente, cieche e irrefrenabili, sono quelle che si provano ascoltando una canzonetta. Chissà perché i ricordi delle sere o dei pomeriggi o dei mattini della vita si legano così profondamente alle note che infila nell’aria una stupida radiolina o una volgare orchestra, e anche la parte odiosa, repellente di un’epoca aderisce per sempre alle note di una canzonetta. Pensate a “Pippo non lo sa”. Ad ogni modo, non sono un buon giudice. Soffro di antipatie e simpatie profonde per i cantanti e le melodie, il massimo dell’antipatia è per la canzonetta crepuscolare, di cui potrei dare come paradigma “Signorinella pallida”. Aggiungo infine che non mi dispiace il timbro orgiastico che hanno le musiche trasmesse dai juke-box. Tutto ciò è vergognoso, lo so, e quindi devo dire che il mondo delle canzonette è oggi un mondo sciocco e degenerato, non è popolare, ma piccolo borghese e come tale profondamente corruttore. La tv è colpevole della diseducazione dei suoi ascoltatori anche per questo. I fanatismi per i cantanti sono peggio dei giochi del circo.
In questo scenario decadente, nemmeno un barlume?
Occorre operare un esercizio critico, rischiare l’impopolarità ma andare contro la componente passiva e fanatica, soprattutto nei giovani.
Quindi lei pensa che attraverso la canzone non si possano lanciare messaggi dire cose importanti…
Io non generalizzo, ci sono certe canzoni napoletane della fine dell’800 e del principio del Novecento che non davano nessun messaggio di carattere politico o ideologico, erano semplicemente canti d’amore o d’allegria o di vitalità, eppure erano bellissimi e così certe canzonette francesi, molto poetiche. Io stavo parlando, in particolare, della musica leggera italiana dagli anni ’30, quando ero ragazzo io, ad oggi, credo che non abbia mai avuto un momento di poesia o realismo, è stata sempre una cosa superficiale, puramente commerciale.
Da Scapricciatiello a corde della mia chitarra, nei suoi libri cita alcune canzoni, che funzione hanno in quel caso le “canzonette”?
Fanno parte di quello che in letteratura si chiama il discorso libero indiretto. Nel mio libro ci sono molti brani in cui non esprimo i miei pensieri, ma parlo attraverso i pensieri del mio personaggio e quindi attraverso i suoi miti, il suo modo di mettersi in rapporto con il mondo, il suo modo di giudicare gli altri uomini, e quindi anche attraverso le parole delle canzoni. Io queste parole non lo so, ho dovuto andarmi ad informare, ma siccome so che dentro i miei personaggi, mettiamo Tommasino Puzzilli de “La vita violenta”, queste parole ci sono e fanno parte della sua cultura, allora ho citato brani interi di canzoni. In qualche modo, Claudio Villa di allora o Giacomo Rondinella, in un modo, certo, sempre falsato, manipolato e alienante, avevano un punto di contatto col reale gusto culturale musicale del sottoproletariato del tempo. L’epoca di “Scapricciatiello”, “Io sono carcerato”, oppure “Luna rossa” ha rappresentato un momento in cui le canzoni hanno colto un momento popolare abbastanza vero.
Cosa le piace di Claudio Villa?
Mi piace il repertorio delle canzoni melodiche di Claudio Villa perché mi piace il pubblico che ama questo stile popolare e verace. Approvo che Villa scriva, musichi e interpreti le sue canzoni. Lui lo fa nel suo piccolo come Charlot ha fatto nel suo grande. In quanto agli atteggiamenti da bullo, la presunzione e gli atteggiamenti d’insufficienza che gli si imputano, io trovo che nella sua qualità di cantante-attore e di personaggio dello spettacolo tali atteggiamenti gli si addicano, perché fanno, appunto, spettacolo. Disapprovo invece che Claudio Villa sia dia a interpretazioni del genere urlato, anche perché io credo nella canzone come mezzo verace d’espressione e penso che il genere urlato non sia genuino. Le canzoni andrebbero portate a un livello d’espressione più interessante.
Su “Il Tempo” del 15 febbraio 1969 lei ha scritto: "È cominciato ed è finito il Festival di Sanremo. Le città erano deserte; tutti gli italiani erano raccolti intorno ai loro televisori. Il Festival di Sanremo e le sue canzonette sono qualcosa che deturpa irrimediabilmente una società”
Le cose sono andate ancora peggio del solito: perché c’è stata una contestazione, seppur appena accennata, al Festival. Si contestano i prezzi dei biglietti per ascoltare quelle povere creature che cantano quelle povere idiozie: e si protesta moralisticamente contro il privilegio di chi può pagare il prezzo di quei biglietti. Non ci si rende conto che tutti i sessanta milioni di italiani, ormai, se potessero godere di questo famoso privilegio, pagherebbero il prezzo di quel biglietto e andrebbero ad assistere in carne e ossa allo spettacolo di Sanremo. Non è questione di essere in pochi a poter pagare quelle miserabili ventimila lire ma è questione che tutti, se potessero, pagherebbero. Tutti, operai, studenti, ricchi, poveri, industriali, braccianti... I centomila disgraziati che si tappano le orecchie e si coprono gli occhi davanti a questa matta bestialità, sono abitanti di un ghetto che si guardano allibiti fra loro, senza speranza. E i più non osano neanche parlarne: perché parlarne, sinceramente, fino in fondo, fino all'indignazione, è impopolare come niente altro. E' per non rischiare questa impopolarità, che i contestatori sono in questo caso tanto discreti. Ma è un calcolo sbagliato, che li rende degni degli "innocenti" cantanti integrati e del loro pubblico."
Attualmente molti registi scelgono cantanti come attori anche in film impegnati, ad esempio Germi ha scelto Celentano per il ruolo di Serafino, Morandi ha recitato in diversi “musicarelli”. Lei sceglierebbe qualcuno dei nostri cantanti come attore?
Sono cose che non posso mai dire prima, perché io scelgo un attore soltanto in funzione del personaggio. Se avessi scritto un certo personaggio con certi caratteri fisici, potrei benissimo scegliere Gianni Morandi, perché no? Ha un bel viso, è un ragazzo simpatico, avendo un personaggio con quelle caratteristiche potrei scegliere lui, ma non lo posso calcolare a priori.
Nel frattempo, però, è diventato anche un autore di canzoni. Com’è nata la collaborazione con Sergio Endrigo per il brano “Il soldato di Napoleone”?
E’ stato il direttore artistico della RCA, Ennio Melis, a farci incontrare. Endrigo aveva 27 anni, era di undici anni più giovane di me e aveva già scritto “Io che amo solo te”, “Aria di neve”, “Viva Maddalena” e altre. Tra queste altre c’era anche “Via Broletto”, un testo che poteva far pensare ad alcune ambientazioni o atmosfere che ho descritto nei miei romanzi, ambientati a Roma e nelle sue periferie. Tuttavia, di Endrigo mi interessava la sua storia di esule istriano, le nostre comune origini, lui è nato a Pola, io a Casarsa della Delizia, Trieste a metà strada. Così gli chiesi di cercare fra le mie poesie friulane pubblicate ne “La meglio gioventù” e di musicarne una a suo piacimento e lui scelse “Il soldato di Napoleone”. In calce all’originale friulano, c’era già una mia versione in italiano ed Endrigo partì da quella, senza modificare nulla, se non lo stretto necessario per adattarlo alla metrica della musica che aveva scritto. Per cantarla in televisione ci chiesero di eliminare alcuni versi che la commissione censura ha definito “disgustosi”, noi naturalmente rifiutammo.
Erano versi ispirati alle memorie di famiglia, tra realtà e leggenda.
E’ il racconto delle gesta di un avo della famiglia di mia madre che si era arruolato con i francesi ed era andato a combattere in Polonia. I versi non graditi dalla televisione sono quelli legati a un particolare che nella famiglia Colussi si tramanda oralmente da generazioni. Una notte il giovane soldato, per non morire di freddo, squarciò il ventre al suo cavallo caduto in battaglia e si scaldò con le sue viscere.
Alcune di queste canzoni saranno cantate anche tra cinquant’anni...
Ho scritto due canzonette per Laura Betti, e poi facendo una specie di collage prendendo dei versi da “L’Otello” di Shakespeare, una breve canzone da inserire in un mio episodio che si intitola “Che cosa sono le nuvole” che faceva parte del film “Capriccio all’italiana”, queste mie parole le ha musicate Modugno, e devo dire che l’ha fatto molto bene.
(Le risposte di Pier Paolo Pasolini sono tratte da alcuni suoi scritti, da dichiarazioni di Sergio Endrigo e dalle interviste in diversi programmi Rai, raccolte recentemente da Elisabetta Malantrucco nello speciale di RaiPlaySound “Pasolini, appunti musicali”)
Testo di Timisoara Pinto inserito nel libro "Scritti su Pasolini. Il cammino è cominciato e il viaggio è già finito a cura di Gianfranco Blasi e Novella Capoluongo Pinto (Universosud)