Musicista per alienazione. Il disco d’esordio di Antonio Infantino come cantautore esce per l’etichetta “Gruppo 99”, una piccola scuderia musicale all’interno della Ricordi dedicata alla nuova canzone sociale e politica. Ho la criniera da leone, perciò attenzione che, all’ascolto, diventa “perciò tensione…”, con la sigla SMRL 6062 (stereo microsolco Ricordi leggera ) fa parte del primo lotto di dischi stereo prodotti in Italia. Arriva con Stereoequipe (SMRL 6060) dell’Equipe 84 e immediatamente prima del debutto a 33 giri di Lucio Battisti (SMRL 6063).
“Non sapevo suonare – ha detto Infantino –, ma mi feci avanti. Proponevo le mie poesie accompagnandomi con la chitarra, tutto sferraglioso: quello che veniva. Ero iscritto ad Architettura, conoscevo il futurismo. Non era la dimensione melodica che mi interessava, ma quella ritmica, la parola marinettiana, Joyce, il suono, il rumore”. Registrato a Milano con gli orchestrali della Scala, gli arrangiamenti di Mario De Sanctis e la produzione di Nanni Ricordi, l’album conserva la sua ispirazione psichedelica: “Gli occhi strabuzzati del surrealismo, ma il surrealismo della realtà, delle differenze di status. Nelle mie poesie c’era l’alienazione consumistica, la tragedia. Era un modo di essere tarantato non folkloricamente”.
Alle “sedie, tumbe, ecc.” il corpofonista Enzo Del Re, con cui Infantino darà vita ad un importante sodalizio artistico. Al tamburo persiano siede Yermian Eskandar, compagno di studi all’Università di Firenze nell’euforico dopotempesta dell’alluvione. A scoprirlo fu Fernanda Pivano che scrisse di lui: “Con intonazione sacerdotale e senza alcun rispetto per la neotradizione della musica beat e della canzone di protesta, un collage di salmi del Duecento e di reclames dei grandi prodotti favoriti della civiltà di consumo”.
Lunga vita allo spettacolo ovvero le doglie del teatro d'oggi / Viva Voltaire e Montesquieu - Giovanna Marini
La prima cosa che colpisce è il nome in copertina mandato a capo col trattino. Nel ’68 ci si poteva permettere anche questo. L’elegante cornice grafica rimanda a un disco di musica antica o di operetta, forse un omaggio ai personaggi tirati in ballo. In realtà, l'album contiene due lunghe "cantate" di Giovanna Marini, ciascuna delle quali occupa un'intera facciata: "Lunga vita allo spettacolo ovvero le doglie del teatro d'oggi" (lato A) e "Viva Voltaire e Montesquieu" (Lato B) con allegato un libretto di 44 pagine.
"Il '68 - dichiara l'autrice - è stato certamente fruttuoso, solidale, generoso, ma il pensiero schematico che bollava i miei concerti come cose da borghesi, mi faceva infuriare. Quel clima mi spingeva a scrivere in polemica contro i "i puri per difetto e i puri per eccesso" di cui era pieno il movimento, con una frenesia dettata dall'angoscia. Per questo, se da una parte, posso affermare di aver suonato magistralmente la chitarra, dall'altra devo dare ragione al mio amico Gian Maria Volontè quando mi diceva che cantavo così di corsa che non si capivano le parole".
Il disco mette insieme tutte le esperienze della Marini: recitativo-operistico, teatro politico, orazione civile con chitarra, tradizione orale, canto di lotta, oltre a un modulo compositivo sperimentato più volte e che troverà la sua sintesi esemplare ne "I treni per Reggio Calabria".
Nei due brani si rivolge sarcasticamente alla sua sinistra che, a distanza di cinquant'anni, è afflitta ancora dalle stesse divisioni. "Ivan della Mea, Paolo Pietrangeli ed io eravamo bersaglio degli Autonomi - spiega la Marini -. Contro l'ostentazione di un radicalismo ''duro e puro'', invocavo la Dea Ragione: quelli per i quali integrarsi era un reato, come potevano non rendersi conto che eravamo un paese della Nato? Come dire oggi ai 5 stelle che Casaleggio lavorava per le banche e per tutti gli enti statali, mentre loro vanno lanciando anatemi alle banche e agli stessi enti statali e tutti vivono tranquillamente la loro ignoranza rispetto ad ogni evidente conflitto d'interesse".
© Riproduzione riservata
pubblicato su "Vinile" Aprile 2018