“La spedizione dei Mille” Bauli a Piazza del Popolo è un titolo degno di un’impresa risorgimentale. Ci pensavo mentre ero lì, giorni fa, il 17 aprile per l'esattezza. Poi ieri, mentre tutti parlavano del Concertone del Primo Maggio, io seguivo la lunga diretta facebook di “Unomaggio Taranto” organizzata dal Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti. Un’edizione senza palco e senza musica, ma aperta alla riflessione sui temi del lavoro, della salute, dei diritti, del clima, dell’ambiente e della precarietà del settore dello spettacolo a cui hanno partecipato, come ogni anno, associazioni e attivisti da tutta Italia e i tre direttori artistici Diodato, Roy Paci e Michele Riondino. Roy Paci ha usato subito un’immagine da “Quarto stato” (il quadro icona di Pellizza da Volpedo per il quale la questione sociale è un tema imprescindibile dell’arte), dicendo che lavoratori dello spettacolo e i braccianti sono uniti nella stessa marcia, quella degli “invisibili”.
La pandemia ha fatto emergere la questione degli “invisibili”, anche quelli della cultura, che lavorano dietro le quinte, nei camerini, sui furgoni, al telefono, al volante, su una scala, quelli che portano i bauli, che organizzano, gli uffici stampa, i fonici, e tutto un mondo di talenti artistici che vivono tra passione e precarietà, un lavoro intermittente, indipendente, senza diritti e senza tutele.
“Dopo tanti anni dobbiamo dedicarci a loro – ha detto Roy Paci. - Questo limbo insopportabile è anche dovuto a una mancanza di risposte e interlocutori. Bisogna uscire dal cantuccio viscido dei non diritti”.
I lavoratori dello spettacolo chiedono una ripartenza che consenta a tutti, di ripartire, con aiuti concreti per tutti gli spazi culturali, dal più grande e importante al più piccolo e sconosciuto. Chiedono un tavolo interministeriale che coinvolga lavoratrici e lavoratori del settore dello spettacolo e cultura con il Ministero del Lavoro, il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, per una riforma strutturale necessaria di tutto il settore. A piazza del Popolo Daniele Silvestri mi aveva detto: “Quello che è successo è un’ecatombe, quindi ripartire significa dover essere aiutati a farlo. Questo settore è una fonte di pil e di indotto a cui lo Stato sta di fatto rinunciando. Chiediamo al ministro Franceschini di finire di ascoltarci, perché un po’ già l’ha fatto”.
Tutti quelli con cui ho parlato hanno indicazioni precise su come procedere, vorrebbero poter portare la loro esperienza e la loro testimonianza a quel tavolo interministeriale. Quello che molti denunciano è un sistema che “premia” gli interessi dei grandi enti, delle grandi aziende e delle fondazioni, ma non tutela lavoratrici e lavoratori, specie quelli indipendenti.
In questa edizione di “Unomaggio Taranto”, Roy Paci, che ha abbracciato il sindacalista Abubakar Sumaoro e la sua idea di “marcia degli invisibili”, ha spiegato:
“Quando parlo di invisibili, parlo di una realtà che conosco fin da bambino perché sono figlio di contadini e so quello che accade nelle campagne. Gestisco da venticinque anni un’azienda che dà da mangiare a venticinque persone, tra operatori e musicisti, che si sono ritrovati di fronte a realtà assurde, senza avere la possibilità di godere neanche di quei pochi contributi previsti, perché c’è sempre stato un mercato nero difficile da inghiottire e l’hanno inghiottito soprattutto quelli che sono stati da sempre schiavizzati nelle campagne o nelle grandi strutture capitalistiche e importanti dello show business nazionale”.
E’ per questo, hanno spiegato i tre direttori artistici, che anche quest’anno il concerto di Taranto è saltato: “Ci manca molto quel palco – ha detto Diodato - , ma abbiamo deciso di non relegare tutto a una diretta streaming con le esibizioni degli artisti, per solidarietà e rispetto nei confronti di tutti quei lavoratori che vivono una situazione insostenibile e inaccettabile. Vogliamo dare voce a coloro che restano nel backstage, i professionisti dietro le quinte che ci permettono di fare il nostro lavoro”.
Michele Riondino, rivolgendosi a chi il primo maggio ha fatto scelte diverse, ha aggiunto: “Quei lavoratori dello spettacolo dovrebbero avere uno scatto di dignità e dire che lo streaming non è la soluzione, è una toppa che è peggio del buco, perché lo streaming non può sostituire uno spettacolo vero con il pubblico”. Riondino non ce l’ha solo con lo streaming e con gli artisti che hanno aderito ad altre manifestazioni, molti dei quali sono stati anche sul palco di Taranto più volte, ma anche con i sindacati: “Ci sarebbe da fare uno sciopero generale contro Cgil Cisl e Uil perché si occupano solo di prodotto e attività produttiva. “Come comitato siamo nati per combattere l’ostracismo dei sindacati. Cgil Cisl e Uil oggi festeggiano senza considerare la precarietà del lavoratore dello spettacolo, senza considerare che come main sponsor di quella manifestazione c’è l’Eni, facendo della coerenza un elemento che manca nel sindacalismo italiano. Noi non siamo mai stati contro il sindacalismo, ma contro questo tipo di sindacalismo, che favorisce il sistema produttivo industriale più che il lavoratore, quindi tradisce addirittura il proprio statuto”.
Tornando al lavoratore invisibile e precario, Annarita Masullo di “La musica che gira” ha detto: “Non ci conoscono, chi deve legiferare non conosce nemmeno il vocabolario del nostro settore, non conoscono la differenza tra un manager, un tecnico altamente specializzato, uno che si occupa di booking. Si parla sempre di riaperture di cinema, teatri, musei, ma in tanti paesini d’Italia, dove tutto questo non c’è, spesso c’è un piccolo live club che è un presidio culturale, è la possibilità per tanti giovani d’aggrapparsi a qualcosa. Siamo completamente deregolamentati, e in un paese come l’Italia che ha inventato il concetto di economia culturale, tutto il mondo ci guarda per l’arte e la cultura, è la nostra caratteristica suprema, non considerare questo è un tradimento della nostra identità e del nostro futuro”.
Molte le realtà piccole e indipendenti, l’anello più debole della catena. “Il covid ha scoperchiato il vaso di Pandora – dice Marzia Ercolani, attrice. Il sistema spettacolo è una giungla fatta di lavoro in nero, di tantissimi lavoratori che, per questo, non hanno maturato le giornate lavorative e quindi non hanno potuto ottenere nessun ristoro e, soprattutto, la grande discriminazione tra lavoratori di serie A e di serie B, tutto il circuito mainstream, pur tra mille difficoltà, è riuscito a ripartire, la televisione, i teatri stabili, non sono ripartiti al meglio, ma hanno potuto riaprire il percorso lavorativo, grazie a sovvenzioni pubbliche o private. Noi vogliamo che tutti lavorino, ma abbiamo bisogno di farlo in sicurezza”.
Giada Lorusso, attrice diplomata al Piccolo di Milano: "Chiediamo un sistema di tutele e di welfare che oggi non c'è, contro il lavoro nero. Vogliamo essere riconosciuti come tutti gli altri lavoratori, non vogliamo più scendere in piazza ed ‘esibire’ con il canto, la danza, il nostro lavoro. Noi facciamo quel lavoro che serve alla cultura e questo dovrebbe bastare".
Hanno nomi, volti, sigle, tante sigle e avamposti di una realtà frammentata per cui quando si dice “il mondo dello spettacolo”, sarebbe più corretto parlare di “mondi dello spettacolo”. “Le misure pensate per la pandemia non sono arrivate a tutti, non sono arrivate fin dove dovevano arrivare – dice un rappresentante della rete Risp (Rete intersindacale professionisti dello spettacolo e della cultura). I lavoratori guardano al modello francese: “Il sistema deli Intermittents, che tutela il lavoratore culturale in Francia, prevede che di anno in anno si possa accedere allo status di “intermittente”, perché il nostro è un lavoro discontinuo, ma non siamo pagati quando studiamo, creiamo o facciamo le prove, abbiamo la paga solo per quando andiamo in scena”.
Bisogna immaginare una riforma che parli di reddito, ammortizzatori sociali, di un contratto nazionale unico di diritti e tutele per un settore che non ha mai avuto garanzie, nemmeno prima della pandemia. Dopo un anno ci siamo stufati che i nostri unici interlocutori siano i nostri datori di lavoro, e i nostri datori di lavoro sono, dal pubblico al privato, quelli che nella stagione 2019-20-21 hanno preso il fus, quelli a cui Franceschini ha erogato un extra fus senza neanche il paletto del mantenimento occupazionale: hanno preso i soldi e non sono stati obbligati a riassumerci. Io non mi voglio reinventare, voglio continuare a fare il mio lavoro con più tutele e diritti”.
In questa indagine nei “mondi dello spettacolo”, Maurizio Cappellini rappresenta invece “Bauli in piazza”, i lavoratori degli eventi dal vivo musicali, aziendali e fieristici: “Con la riapertura per noi cambia molto poco, i numeri consentiti non rendono sostenibili i grandi eventi, diverso sarebbe creare una capienza sulla base dei metri quadri, di dati certi, stabiliti da ogni commissione provinciale di vigilanza perché dare un numero che sia una percentuale indipendente da tutto, non ha molto senso e non crea i presupposti per un investimento economico. Quindi, poiché a livello imprenditoriale, nessuno organizza eventi in perdita, per noi cambierà poco o nulla”. Si spera che questo sia uno dei punti di analisi e approfondimento dei vari tavoli interministeriali che ci saranno. “Siamo in attesa che questi criteri vengano dichiarati e stabiliti. Per carità, ben vengano artisti che fanno eventi per mille persone all’aperto, sono virtuosi che non ci guadagnano nulla e lo fanno sostanzialmente per muovere i lavoratori e l’economia di mercato dello spettacolo, ma è un’aspirina, non risolve il problema. Questo ambiente va totalmente rianimato e foraggiato”. Rispetto ai lavoratori dei circuiti piccoli e indipendenti, quelli che lavorano per le grandi produzioni dovrebbero essere avvantaggiati. “Certamente sì – aggiunge Cappellini – siamo una realtà abbastanza sfaccettata, per cui dovremmo fare chiari riferimenti alle parti datoriali di cui stiamo parlando. Alcune sì e alcune no. Felicissimo per chi ha preso del denaro, perché credo che avere un’imprenditoria in salute sia comunque una speranza per il futuro. Di contro, tutto quella che è la parte ‘tecnica’, banalmente di manodopera, chiamala come vuoi, non ha avuto niente di tutto ciò, se non qualche ristoro o sostegno come si chiama col nuovo decreto, abbastanza casuale. Una delle nostre richieste è che sia un sostegno strutturato perché non è possibile non sapere cosa succederà di te”. Non spetterebbe al datore di lavoro che ha ricevuto l’indennizzo, trasferirlo poi alla manodopera? “Io sono un libero professionista e questo discorso per me non vale, ma sono d’accordo conte, qualcuno l’ha fatto, altri no, ma qui si entra nella coscienza dell’imprenditoria. E’ una delle cose che abbiamo lamentato nei confronti del ministero. Ci siamo sentiti rispondere “Noi i finanziamenti li diamo, ma dove vanno a finire non possiamo saperlo. Ecco, non mi aspetto una risposta così dalle istituzioni, no?” Chi ti ha dato questa risposta? “L’ho ricevuta più volte all’interno del ministero della cultura”.
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