Con Dori Ghezzi e Francesco Giunta, in occasione dell'uscita dell'album "La buona novella" in siciliano
T.: Francesco Giunta ha tradotto, con la consulenza del linguista Giovanni Ruffino, un intero album di Fabrzio De André. Perché proprio “La buona novella”?
F.G.: “La buona novella” si è innestata nella mia vita diventandone parte, avevo solo diciotto anni quando è uscita. La collaborazione di Ruffino e i consigli anche di un altro linguista, il professor Roberto Sottile, sono arrivati in una fase successiva di revisione e di verifica di ciò che avevo fatto. Ho scelto questo album di De André perché è stato un faro per me.
T.: Lei nel libretto, infatti, scrive: “Appartengo alla schiera di quanti sono convinti che l’opera di Fabrizio De André sia stata fondamentale nel suggerire loro la possibilità di essere e di diventare migliori rispetto a quanto previsto dal pensiero dominante ai loro tempi”
F. G.: Mi aiutò a crescere, ne sono assolutamente convinto. Non vuole essere un giudizio positivo su me stesso, dico che è stato fondamentale poter essere migliori grazie al lavoro di De André . Così, ho sentito l’esigenza di riavvicinarmi a quelle parole che tanto avevano seminato dentro di me, rileggendole nella lingua con cui da anni ho scelto di esprimermi.
T.: Prendiamo “Il testamento di Tito”, il testo si discosta molto dall’originale.
F.G.: Sì perché un’opera come “La buona novella” non poteva essere tradita perché tradotta, era necessario riadattarla. Un altro esempio è “Il ritorno di Giuseppe”. De André canta: “Un asino dai passi uguali compagno del tuo ritorno”, io in siciliano non potevo usare “sciecco”, perché ha un’accezione negativa. Così l’asino è diventato “l’armaluzzo compagno a l’arsura”. Questo è stato il lavoro più delicato, cercare delle metafore alternative che non tradissero l’intenzione originale.
T.: E’ solo per una coincidenza anagrafica, perché “La buona novella” è l’album che ha segnato i suoi 18 anni o perché ha un significato particolare rispetto ad altri dischi di De André?
F. G: Amo tutta l’opera di Fabrizio e questo è evidente, non ha neanche senso che io lo dica. Però credo che con “La buona novella” Fabrizio abbia raggiunto il suo apice, un lavoro di una sintesi e di una profondità uniche, è un disco fuori dal tempo.
T.: Dori Ghezzi, per lei è così?
D.G.: E’ incredibile come Francesco Giunta sia stato fedele nella traduzione e sia riuscito a dare alle parole scelte la sonorità che Fabrizio cercava. Il complimento che Leonard Cohen ha fatto a Fabrizio è stato quello: si è stupito per la fedeltà della traduzione e per la sonorità delle parole che usava. E questo è quello che ha fatto Francesco.
T.: Francesco cosa vuole aggiungere rispetto a quello che ha appena detto Dori Ghezzi sul suono dell’album?
F.G.: Volendo tradurre senza tradire, è stato necessario rimanere fedeli, per quanto possibile, al suono originale. In tal senso, l’aver fatto ricorso solo al pianoforte e alle percussioni, laddove l’incedere e l’incalzare dei brani lo richiedeva, mi ha consentito di stare vicino all'impianto classico dell’orchestra utilizzata dal maestro Giampiero Reverberi nell’album di De André. Per quanto riguarda il testo e quindi la parola cantata, ho cercato di mantenere lo schema delle rime voluto da Fabrizio e quindi la rima baciata, la rima alternata o l’assonanza, dove ricorreva. Tutto questo evitando un uso meccanico di questo criterio.
T.: Possiamo dire che “La buona novella” sia l’album più pasoliniano di De André?
D.G.: “Forse più che Pasolini, mi ricorda un altro autore, Josè Saramago che ha scritto “Il Vangelo secondo Gesù Cristo”, dove è evidente che anche lui si sia ispirato ai Vangeli apocrifi. E' impressionante come alcune frasi siano identiche, la cosa mi ha colpito moltissimo, e Saramago l’ha scritto dopo Fabrizio. Nessuno ha copiato da nessuno, non voglio dire questo, evidentemente entrambi si sono rifatti molto fedelmente ai Vangeli apocrifi. E’ incredibile come la loro visione sia molto vicina, nell’intendere la spiritualità e rispettare l’emblema femminile e “La buona Novella” è impostata, soprattutto sulla presenza di Maria”.
T.: “La buona novella” in siciliano con la pianista Beatrice Cerami e le quattro voci di Cecilia Pitino, Alessandra Ristuccia, Laura Mollica, Giulia Mei diventa, così, un’opera corale femminile.
D.G.: La scelta di quattro donne, contrariamente al fatto che la voce sia soltanto maschile nell’originale di Fabrizio, arriva profondamente.
F.G.: Ti dirò di più: le donne intorno a questo lavoro sono nove. In scena ci sarà una percussionista, poi c’è Maria Cristina Di Giuseppe che ha scritto una parte dei testi in italiano che faranno parte dello spettacolo teatrale, di cui sarà la regista, ci sarà un’attrice che li reciterà, e c’è Dori che le raccoglie tutte e che, dall’alto della sua affettuosa complicità, ci ha dato il coraggio per affrontare un progetto così grande.
T.: Qual è l’attualità de “La buona Novella”?
D.G.: E’ quella, come Fabrizio ha fatto, di continuare a salvaguardare gli idiomi locali che poi sono idiomi internazionali, secondo me. Fabrizio sarebbe stato un fanatico di questa operazione.
T.: Qual era il rapporto di De André con il dialetto siciliano, con la Sicilia?
D.G.: Ma sai, lui ha cantato in napoletano, piemontese, genovese, in lombardo addirittura, è uno che non si è mai tirato indietro. Non l’ha solo detto, l’ha sempre fatto. Poi, il siciliano è comprensibile a tutti, lo sentiamo circolare, contrariamente al lombardo che non lo conosce più nessuno e questa è una carenza enorme.
G.G.: Questo problema della perdita dei dialetti è grave, un grande linguista ha detto “I dialetti sono gli affluenti della lingua italiana”. Senza i dialetti la nostra lingua sparirà. Mantenere gli idiomi non è un richiudersi, ma è mantenere viva questa ricchezza, questa grande varietà.
T.: Dori, qual era invece il rapporto tra De André e Pasolini?
D.G: Non so se Pasolini ascoltasse Fabrizio, nessuno me ne ha mai parlato. Però Fabrizio ha letto molto Pasolini e abbiamo libri con i suoi appunti, sottolineature, annotazioni, commenti e ci sono delle cose molto interessanti e mi piacerebbe fare un lavoro su questa sua ricerca.
T. : Forse anche spunti per canzoni?
D.G.: No, sono commenti dove lo trovi d’accordo o in disaccordo.
T.: Un esempio?
D.G.: C’è un libro soprattutto, quello che è stato pubblicato postumo.
T.: “Petrolio”?
D.G. : Sì, Fabrizio sosteneva che se Pasolini fosse stato in vita non avrebbe permesso di pubblicarlo. Lo trova un po’ snaturato, non giudica tanto Pasolini, ma l’operazione di libertinaggio degli editori. Si è un po’ messo nei panni di Pasolini.
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